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VASI. — ATTO l. Chiunque innanzi agli occhi suoi te veda, Straniero aspetto, anche un istante solo, Se t’allontani, al turbamento è in preda; Or, pensa tu, che non farà lo stuolo Di tue compagne da gran tempo stretto A te dal nodo d’un possente affetto? Urvàsi (fra li). Ohi la soavità di questi accenti AU’ambrosia somiglia ! Ma solo dal dio Ciàndro L’ambrosia viene affé, qual meraviglia! Purur. (indicando con ìa ma no). Le tue compagne, ch’or la vetta aduna Dcll’Emacùto, già gli sguardi han fissi Al tuo volto, o gentil, come alla luna Quando libera appar dopo l’ecclissi. (Urvasi guarda co» ansietà). Che guardi, o cara? Io bevo Con gli avidi occhi mici chi m’e consorte Nel gaudio e nell’affanno. Chi dici mai ? (torridendo) La schiera delle amiche 1 Compagne, ecco il Ragiàrsi ! Urvàsi a noi diletta E Citralfcca insiem libere ei fece: Si che a vederlo in mezzo a lor tornare, Al sommo Luno eguale Fra le stelle Visàca egli n’appare! Doppia ventura, amiche, è a noi toccata : Riede l’amica Urvàsi, c la persona Del sir n’appare illesa I Pur tu dicesti: « abbatter quei Danàvi È ben ardita impresa ! » Auriga, orsù, pel ripido pendio Vo’ che discenda il carro. Al tuo voler son pronto, augusto sire. (l’auriga esegue). Oh vi I Dalla discesa Ho qualche frutto anch’io: che il carro riceve lungo la china, e si appoggia al re timidamente). Or che sbalzando il carro s'abbandona A la china del colle aspra e scoscesa, Presso a tanta beltà la mia persona Di fremito e desire t gli compresa; Chi il contatto genti 1 delle sue membra Una febbre d’Amor quasi mi sembra. ClTRALÈCA. Urvàsi. ClTRALÈCA. Urvàsi. Ramba (osservando con gioia). MÉNACA (dopo di avere] alquanto riflettuto). Sauagiàxya. Pururàvasa. Auriga. PURURÀV. (mentre Urvasi] imita col getto te icone] VICRAMÒR