Viaggio sentimentale di Yorick (Laterza, 1920)/LXIX. Il caso di delicatezza

LXIX. Il caso di delicatezza

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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
LXIX. Il caso di delicatezza
LXVIII. Le grazie Appendice - Saggio di una redazione primitiva del Viaggio sentimentale

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LXIX

IL CASO DI DELICATEZZA

Come s’è tócca la vetta del Tararo, si corre all’ingiú sino a Lione. Addio per allora a tutti i celeri moti! vuoisi viaggiare con avvertenza: il che conferisce assai meglio a que’ sentimenti che non amano le fughe. M’acconciai dunque co’ muli d’un vetturale, perché nel mio sterzo mi conducessero, a loro comodo e a mio salvamento, a Torino per la Savoia.

Povera, paziente, pacifica, onesta gente della Savoia! non temere: il mondo non porterà invidia alla tua poverà, che è il tesoro delle tue schiette virtú, e non invaderà le tue valli! O Natura! qui tu sembri adirata; e qui nondimeno tu sei propizia alla povertà, creata anch’essa da te: qui ti sei cinta di edifici orribilmente magnifici, e t’è avanzato assai poco da concedere alla vanga e alla falce; ma quel poco è quieto e sicuro sotto al tuo patrocinio; e sono pur cari i tuguri cosí protetti da te!

Si crucci a sua posta il viaggiatore arso, affannato, e si disacerbi in doglianze contro alle improvvise tortuosità ed i pericoli de’ vostri sentieri, e contro alle rocce ed a’ precipizi, e alla noia dell’erta, e al ribrezzo della discesa, e contro alle vostre disastrose montagne, e alle cateratte che, spalancando nuove voragini, strascinano da’ burroni quegli sterminati macigni che gli precludono il passo. Anch’io, quando vi giunsi, vidi gli alpigiani che sino dall’alba sudavano a sgombrare la strada d’uno di que’ frammenti dell’alpe tra San Michele e Modàna, e per aver l’adito non bastavano forse due altre lunghe ore di stenti; ma io mi contentai del rimedio dell’aspettare e della pazienza: se non che la notte annuvolavasi burrascosa, e indusse il mio vetturale, che vedeva l’indugio, a pernottare, cinque miglia di qua dalla sua consueta posata, in un pulito alberghetto ch’era di poco fuor della strada. [p. 143 modifica]

E immediatamente pigliai possesso della mia stanza da letto: feci gran vampa di fuoco: chiesi da cena, e ringraziai la provvidenza che non mi avesse fatto capitar peggio, allorché soprarrivò la carrozza d’una signora con la sua cameriera.

L’ostessa, senza star molto sui convenevoli, le condusse nella mia camera, ch’era, a dir vero, la sola di tutto quell’alberghetto nella quale si potesse dormire. Ed entrando diceva loro, che non v’era nessuno, fuorché un gentiluomo inglese: ma che v’erano due buoni letti ed un altro nell’attiguo stanzino; e l’accento, con che raccomandava il letto dello stanzino, non pareva di buon augurio. Comunque fosse, l’ostessa diceva che v’erano tre persone e tre letti, e si riprometteva che il signore non avrebbe guastate le cose. Per non dar tempo a’ disegni della signora, dichiarai ch’io dal mio canto avrei fatto quel piú ch’io poteva.

Il che non importava l’assoluta rinunzia della mia camera; anzi volli adempiere a’ doveri dell’ospitalità, e pregai la signora che s’accomodasse, e la ripregai finché accettò la sedia prossima al fuoco; ordinai doppia legna, e mi raccomandai per cena piú larga alla ostessa, e perché ci favorisse una bottiglia del suo miglior vino.

La signora, rifocillatasi appena per cinque minuti, cominciò a torcere il collo, e riguardava i due letti; e di volta in volta i suoi sguardi tornavano piú perplessi; ed io era travagliato per essa e per me, poiché in pochissimo tempo quelle sue occhiate, e il caso in sé, mi mettevano in grande pensiero.

E l’avere a dormire in due letti d’una medesima stanza bastava ad angustiare l’anime nostre; ma la loro situazione (perché erano paralleli e divisi da sí angusto intervallo che al piú ci capiva una scranna di paglia) ci angustiava assai peggio. Inoltre, que’ letti non erano discosti dal fuoco, e lo sporto del camminetto da un lato, e dall’altro una trave massiccia, che attraversava la camera, gli appartavano in una specie di alcova assai dissonante da’ nostri pensieri. A tanti inconvenienti s’aggiungeva, purtroppo! la picciolezza de’ letti, insormontabile impedimento; talché fin anche il compenso che le due donne si [p. 144 modifica] coricassero insieme riesciva disperatissima cosa: benché non fosse da desiderarsi, il compenso non era poi sí terribile che la loro fantasia non potesse almeno per una sola notte accomodarvisi.

Poca o nessuna consolazione recava a noi lo stanzino, freddo, umido, con un’imposta del balcone sdruscita, preda del vento e con le finestre inermi di vetri o di carta ogliata contro la tempesta e la notte. Né io, mentre la signora le andava considerando, rattenni per civiltà la mia tosse.

Dunque, la necessità riduceva la signora a questi termini: o di posporre la salute al pudore e contentarsi dello stanzino, rinunziando alla cameriera il letto prossimo al mio; o di confinare nello stanzino la cameriera, ecc. ecc.

La signora era piemontese, presso ai trent’anni e con guance incarnate dalla salute: la cameriera n’avea quasi venti, ed era lionese, briosa negli atti ed agevole al pari di qualunque fanciulla francese; e l’una e l’altra pendevano tra il sí, il no, il ma, il se, il forse: talché il macigno, che ci aveva tanto impacciati lungo la via e dava tanto da sudare a chi si provava di smuoverlo, paragonato all’impedimento presente, pareva una piuma. Restami solo da dire che l’oppressione del nostro spirito era aggravata dalla delicatezza, la quale non ci permetteva di spassionarci scambievolmente della nostra tribolazione.

Cenammo; e, se non si fosse bevuto fuorché del vino generoso che un alberghetto di Savoia può dare, le nostre lingue si sarebbero rimaste impedite, finché la necessità non le avesse di propria mano snodate. Ma la signora aveva parecchie bottiglie di Borgogna nella vettura, e mandò la cameriera a recarne un paio. Pertanto, quando fu sparecchiato e ci siamo trovati a quattr’occhi, quel nuovo calore ci diede spirito di palesarci, non foss’altro, liberamente l’angustie dello stato nostro e di conferire tra noi due per venire a composizione. E si sono ventilati, agitati, considerati punto per punto tutti i termini dell’accordo; e dopo due ore e piú forse di andirivieni, ci venne fatto di concludere e di stipulare a guisa di trattato i capitoli; né credo che veruno fra quanti trattati meritarono d’essere conservati [p. 145 modifica] alla memoria de’ posteri sia stato mai stipulato né con piú lealtà né con piú timorata coscienza da ambe le parti.

Gli articoli furono:

I. Il signore, come possessore della camera, stimando che il letto prossimo al camminetto debba essere piú caldo, pretende che sia occupato dalla signora.

Accettasi dalla signora: con che le cortine di esso letto (perché sono di bambagia assai rada e troppo misere a chiudere convenientemente) siano dalla cameriera o appuntate con lunghi spilloni o cucite con ago e refe, in guisa che oppongano argine competente a’ confini del signore.

II. La signora pretende che il signore si corichi ravviluppato tutta notte nella sua vesta da camera.

Ricusasi: tanto piú che il signore non possedè vesta da camera, e non ha nella sua valigia fuorché sei camicie ed un paio di brache di seta nera.

L’aver mentovato le brache mandò sossopra l’articolo, e furono richieste in compenso della vesta da camera; laonde si stipulò ch’io dormissi con le mie brache di seta nera.

III. La signora pretende, e sarà stipulato, che, non si tosto il signore giacerà a letto, e la candela ed il foco saranno spenti, egli non dirà per tutta quanta la notte una sola parola.

Accettasi: salvo che, quando il signore dirà le sue devozioni, ciò non s’apponga a violazione del trattato.

S’era trasandato un unico punto di poco rilievo, ed è: in che modo ci saremmo spogliati e coricati ne’ nostri letti: or non v’era che un modo solo; però il lettore può immaginarlo da sé. Protesto bensi che, ov’ei trapassasse i termini della verecondia naturale, e non ne imputasse la colpa alla sua fantasia, io me ne richiamerò solennemente: la qual mia doglianza non è già la prima né l’unica1.

Or, poiché ciascheduno fu sotto le coltri, io, fosse la novità o che si fosse, noi so; ma io mi giaceva a occhi spalancati, [p. 146 modifica] e cercava il sonno di qua e di là; e mi voltava e smaniava, e mi rivoltava: suonò mezzanotte, e poi un’ora: la natura e la pazienza erano agli estremi: — O Gesú mio! — dissi.

— Avete rotto l’accordo — disse la signora, la quale anch’essa non aveva chiuso mezz’occhio. Le domandai tante e tante scuse, ripetendo tuttavia che la mia era una iaculatoria, né piú né meno; e la signora si puntigliava a rispondere ch’io aveva rotto irremissibilmente l’accordo; ed io le andava dicendo che no, e me ne appellava alla clausula dell’articolo terzo.

Ma, mentre la signora voleva vincere il suo punto, disarmava da per sé le proprie barriere; perché, nell’ardore del diverbio, mi giunse all’orecchio il tintinnio di tre o quattro spilloni, che, cascando sullo spazzo, lasciavano aperta una breccia nelle cortine.

— In buona fede, e sull’onor mio, signora mia, neppure per un diadema... — e stesi in via d’asserzione il mio braccio fuori del letto, e voleva dire che non avrei neppure minimamente peccato, quand’anche mi fosse promesso un diadema, contro al decoro. Se non che la cameriera, intendendo che si veniva a parole, e dubitando non si trascorresse alle ostilità, sbucò furtiva del suo stanzino, e brancicando alla meglio per quell’oscurissimo buio, penetrò chiotta chiotta nello stretto che separava i due letti, e si fé’ tanto innanzi che si trovò per l’appunto tra la signora e me; cosí... che la mia mano, sporgendosi stesa, pigliò la cameriera per...2

E Yorick continuava l’itinerario d’Italia; ma, essendosi, intorno alla fine del 1767, partito dal suo romitorio di Coxwould nella contea di Yorck, per dare alle stampe questo volume in Londra, vi morì dopo due mesi: né potè, com’egli aveva da piú anni desiderato, lasciare le sue ossa al camposanto della propria parrocchia con l’epitaffio:

ahi - povero - yorick

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Giace in un cimitero di Londra presso una lapide con una iscrizione che suona:

QUI - PRESSO
RIPOSA - IL - CORPO
DEL - REVERENDO - LORENZO - STERNE - M. A.
MORTO - L’ANNO - MDCCLXVIII.
DELLA - E. S. LIII.
AH MOLLITER OSSA QUIESCANT.

Note

  1. Vedi la nota i al capo x [F.].
  2. L’aggiunta, che segue, è del F. [Ed.].