Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/XXVI
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XXVI. | NAMPONT |
L’ASINO MORTO
— E questa, diceva egli riponendo i frusti d’una crosta di pane nella sua bisaccia — e questa
saría la tua parte se tu vivessi a mangiartela meco — Dall’espressione mi parve che egli parlasse all’ombra del suo figliuolo: parlava al suo asino;
e appunto all’asino morto su per la strada, e che
diè la mala ventura a La Fleur. E quel pover’uomo mostrava di rammaricarsene pur assai; e mi
tornò subito a mente la lamentazione di Sancio
per l’asino suo: ma l’uomo ch’io udiva, doleasi
con tratti di natura più schietti.
Il dolente sedeva a un muricciuolo dell’uscio, col basto e la briglia del suo asino accanto; e di tanto in tanto li ripigliava — poi li posava — rimiravali; e crollava la testa. Ripigliò la crosta di pane fuori della bisaccia, quasi volesse mangiarne; la tenne alquanto — e poi la posò sul morso della briglia dell’asino — mirò pensieroso all’apparecchio ch’egli avea fatto — e sospirò.
La semplicità del suo cordoglio gli trasse attorno assai gente; fra gli altri La Fleur — ed io, tanto che si allestivano i cavalli, rimasi nella mia sedia donde poteva vedere e ascoltare sovr’essi.
— Disse, ch’ei veniva di Spagna dov’era ito dagli ultimi confini della Franconia; e trovandosi ancor sì lontano dalla sua terra, l’asino suo gli morì. Mostravasi ognuno bramoso d’udire perchè mai un uomo sì vecchio e sì povero si fosse tolto dal proprio tetto ed accinto a tanto cammino.
Piacque al cielo, ei diceva, di benedirlo di tre figliuoli, bellissimi fra tutti i garzoni in Germania; ma in una settimana perdè i due primogeniti di vajuolo; e ne ammalò anche il minore: però temendo di rimanersi deserto nella sua casa fe’ voto, che se Dio non si toglieva anche questo, egli per gratitudine peregrinerebbe a sant’Jago in Ispagna.
Qui tacque perchè la natura gli ridomandava il tributo — e pianse amaramente.
Poi disse, che il cielo aveva accettati i patti, e ch’egli erasi partito dal suo tugurio con quella povera creatura la quale gli fu pazientissima compagnia nel suo viaggio — e che aveano in tutto il loro cammino mangiato del medesimo pane; e vissero come due amici.
Tutti i circostanti ascoltavano contristati — La Fleur gli esibiva del danaro — N’ho un poco — e non piango, dicea quel dolente, l’importo — piango la morte dell’asino — l’asino mio, e ne sono sicuro, mi amava — Su di che raccontò la lunga storia di certo disastro per cui, mentre passavano i Pirenei, s’erano per tre giorni smarriti l’uno lontano dall’altro; che in que’ tre giorni l’asino aveva cercato di lui quanto egli aveva cercato dell’asino; e che non aveano quasi mai toccato pane nè acqua finchè non si furono riveduti.
Tu hai, se non altro, una consolazione, o uomo dabbene, io gli dissi, nella perdita della tua povera bestia: perch’io sono certo che tu gli fosti misericordioso padrone — Ohimè! mi rispose quell’addolorato — così anch’io mi credeva finchè il mio asino visse; non così ora ch’è morto — e temo, che il peso di me, e delle mie afflizioni insieme, non gli sia stato assai grave — e avrà logorato la vita a quella povera creatura — e temo che dovrò renderne conto — Vergogna a noi! dissi meco — se tra di noi almeno ci amassimo quanto questo povero vecchio amava il suo asino — non saria poco.