Viaggio sentimentale di Yorick (1813)/XLIV
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Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
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XLIV. | LE PATISSIER |
versailles
Nè fui a mezza via che mutai strada; e pensai, potrei pure, poichè ci sono, dare una scorsa a Versailles. E tirando il cordone, dissi al cocchiere, che andasse attorno per le vie principali, da che mi pareva che la città non fosse assai grande — Il cocchiere mi domandò scusa se per mio lume diceva, che anzi la città era magnifica, e che molti de’ primi duchi, marchesi, e conti v’avevano des hôtels — Il conte de B***, del quale la sera innanzi il librajo m’aveva sì favorevolmente parlato, mi venne subito in mente — E perchè non andremo, mi disse il cuore, dal conte de B** che ha in tanto concetto i libri inglesi e gli inglesi? — gli dirò il caso mio. Così mutai strada due volte; anzi tre: perch’io m’era obbligato per quel giorno con madame de R** rue de SS. Pères; e le aveva fatto divotamente significare dalla sua fille-de-chambre ch’io la visiterei domattina senz’altro — ma le circostanze mi governano — nè io so governarle — Vidi frattanto a capo della via un uomo ritto davanti a un canestro che vendeva non so che; e vi mandai La Fleur acciocchè s’informasse dell’hôtel del conte de B***.
La Fleur tornò mezzo smorto dicendo, che il venditore de’ pâtes era un chevalier de St. Louis — Ti pare! La Fleur! — Nè La Fleur sapeva indovinare il fenomeno — ma non v’è da dire; l'ho veduto io, e la croce è legata in oro, diceva La Fleur; ed appesa con la fettuccia rossa all’occhiello; ho guardato nel canestro, e ci sono i pasticcettì; e chi li vende è quel chevaller: non isbaglio.
Tanto rovescio nella vita d’un uomo eccita nell'altr’uomo un istinto ben diverso dalla curiosità; e mi fu forza di considerarlo per un pezzo dalla carrozza — ed esso e la croce e il canestro mi s’imbrogliavano sempre più nel cervello — smonto e me gli accosto.
Era cinto d’un politissimo grembiule di tela che gli cascava oltre il ginocchio; il pettorino del grembiule gli arrivava a mezzo il petto; e dalla cima del pettorino, e un po’ sotto l’orlo, pendeva la croce. Il canestro e i pasticcetti erano coperti d’un tovagliuolo bianchissimo damascato, e un altro consimile era disteso nel fondo; e vedevi tal apparato di propreté e di nitidezza, che tu potevi comperare de’ suoi paté tanto per appetito quanto per sentimento.
Nè gliFonte/commento: 274 esibiva a veruno ma stava sempre sul canto d’un hôtel davanti al canestro; e chi n’avea voglia ne comperasse.
Aveva da quarantott’anni — d’aspetto posato, e che tenera del grave. Io senza mostrarmene meravigliato — m’accostai più al canestro che a lui; e sollevando quel tovagliuolo mi presi un pâté — e pregai che non gli dispiacesse di piegarmi il fenomeno che mi percoteva.
Mi narrò in poco, come avendo egli consunta la migliore età militando, e spesovi il tenue suo patrimonio, aveva finalmente conseguito una compagnia e la croce; se non che il reggimento, dopo l’ultima pace, fu riformato, e gli ufficiali sì del suo, sì d’altri reggimenti rimasero destituti d’ogni sussidio — Così, diceva egli, mi sono in un punto trovato ne’ labirinti del mondo, senza un amico, senza uno scudo — anzi a dir giusto (e toccò la sua croce) unicamente con questa — Il povero cavaliere s’era conciliata da prima la mia pietà, ma mentre finiva il racconto io principiava a stimarlo.
E continuò: Il Re è generosissimo fra tutti i principi, ma la sua generosità non può dar soccorso e premio a tutti quanti; ed io non sono così sfortunato se non perchè mi trovo confuso tra i più. Ho una moglie che si dilettava di pâtisserie; e se ora per me e per la donna ch’io amo, lotto con quest’unico mezzo contro la miseria, non però mi credo disonorato — finchè la Provvidenza non m’apra strada migliore.
Or se dissimulassi la ventura che nove mesi dopo consolò il povero cavaliere, defrauderei d’un piacere le anime buone; e questa sì che la saria cattiveria.
Pare ch’ei facesse per lo più residenza presso a’ cancelli di ferro che menano al palazzo del re; e poichè la sua croce dava nell’occhio, molti gli movevano, siccome io feci, la stessa domanda — Ed esso li compiaceva, raccontando la sua disavventura; e con tanta sincerità e discrezione che pur una volta arrivò all’orecchio del re — il quale udendo anche che il cavaliere era valoroso soldato, e tenuto da tutto il suo reggimento per uomo onorato e dabbene — lo dispensò da quel povero traffico con l’annua pensione di lire mille cinquecento.
Ho scritto questo fatto per amor del lettore: abbia dunque pazienza ch’io ne scriva un altro, come episodio, anche per amor mio — e i due avvenimenti si riflettono tanto lume scambievolmente che chi li separasse farebbe peccato.