Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XXVIII

Capitolo XXVIII

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CAPITOLO XXVIII.



Era alfin giunto presso al mio scrittojo; già, allungando il braccio, avrei potuto forse toccarne l’angolo a me più vicino; quando fui sul punto di veder distruggere il frutto d’ogni mia fatica, e di perdere la vita. Dovrei passare sotto silenzio l’accidente che mi avvenne, per non iscoraggiare i viaggiatori; ma è sì difficile andar rovesciato dalla sedia di posta, di cui io mi servo, che bisogna essere sventuratissimo all’ultimo segno — sventuratissimo com’io, per correrne il pericolo.

Io mi trovai disteso per terra, trabalzato, gettato là; e ciò repentinamente, sì inopinatamente, che avrei [p. 104 modifica]rivocato in dubbio la mia sciagura, se un intronamento nella testa, e un gran dolore nella spalla manca non me lo avessero provato anche troppo.

Fu questo pure uno scherzo della mia metà. — Spaventata dalla voce improvvisa d’un poverello, che si affacciò al mio uscio domandando limosina, e dell’abbajar di Rosina, fei girar frettolosamente la mia seggiola, prima che l’anima avesse tempo d’avvertirla, che mancava di dietro un mattone; e la scossa fu sì violenta, che questa seggiola trovandosi fuori affatto del suo centro di gravità, si rivoltò e mi venne in capo.

Ecco, il confesso, una delle occasioni, in cui più ebbi a lagnarmi della mia anima; poiché in luogo di rammaricarsi della propria assenza, e di sgridar la compagna della sua sconsideratezza, [p. 105 modifica]prese parte al suo veramente animale risentimento, e giunse a maltrattare con parole quel povero innocente. — Scioperato! va a lavorare, gli gridò ella. (Apostrofe esecrabile, inventata dalla avara e crudele ricchezza). — Signore, diss’egli allora per intenerirmi, sono di Chambery. — Tanto peggio per te. — Sono Jacopo, quello che avete veduto alla campagna, quello che conduceva i montoni alla pastura. — Cosa vieni a far qui? — La mia anima cominciava a pentirsi della brutalità delle mie prime parole. — Credo anzi che se ne fosse pentita un istante prima di lasciarle sfuggire. Così, quando s’incontra inopinatamente correndo un fosso o un pantano, si vede ma non si ha più tempo di evitarlo.

Rosina compì in me l’opera della ragione. Essa riconobbe Jacopo, il [p. 106 modifica]quale spesso avea diviso con lei il suo pane; e gli attestò colle sue carezze la sua memoria e la sua riconoscenza.

In questo mezzo Gioannetti avendo raccolto gli avanzi del mio desinaruccio, ch’erano destinati pel suo, li donò senza esitare al povero Jacopo.

Buon Gioannetti!

Così, nel mio viaggio, vò prendendo lezioni di filosofia e d’umanità dal mio domestico e della mia cagnuola.