Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XXIX
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Traduzione dal francese di Giuseppe Montani (1824)
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CAPITOLO XXIX.
Prima d’andar oltre, bramo dissipare un dubbio, che potrebbe essersi introdotto nello spirito de’ miei lettori.
Non vorrei, per tutto l’oro del mondo, che si pensasse ch’io avessi impreso questo viaggio, unicamente per non sapermi che fare, e forzato in certa maniera dalle circostanze. Assicuro e giuro ch’io avea l’intenzione di farlo assai tempo innanzi all’avvenimento, che mi tolse per quarantadue giorni la libertà. Il mio forzato ritiro non fu che un’occasione di mettermi in via più presto.
So che la protesta gratuita, ch’io fo qui, sembrerà sospetta a certe persone; — ma so altresì che le persone sospettose non leggeranno questo libro; — esse hanno occupazioni bastanti in casa propria e co’ loro amici; hanno altri affari; — e la buona gente mi crederà.
Confesso, per altro, che avrei preferito occuparmi di questo viaggio in altro tempo, in quaresima, per esempio, anziché in carnevale. Tuttavia alcune riflessioni filosofiche, ispiratemi dal cielo, mi hanno molto ajutato a sopportar la privazione de’ piaceri, che Torino presenta a dovizia in questi giorni di strepito e d’agitazione. — È certissimo, io diceva a me stesso, che le pareti della mia camera non sono così magnificamente adornate come quelle d’una sala da ballo: il suo silenzio non vale il piacevole strepito della musica e della danza. Ma, fra le brillanti persone, che s’incontrano nelle feste anche lietissime, è pur certo che ve ne sono di più annojate di me.
Ma perchè andrò io confrontandomi con quelle, a cui tutto sorride nella vita, mentre il mondo formicola d’altre, a cui tutto è contrario? — In luogo di trasportarmi coll’imaginazione in quel superbo casino, ove tante beltà sono eclissate dalla giovane Eugenia; per credermi felice, io non ho che ad arrestarmi un istante lungo le vie, che vi conducono. — Quanti sventurati mezzi nudi sembrano vicini a spirar di freddo e di miseria sotto i portici, a cui sovrastano gli appartamenti dell’opulenza? — Qui al rigido sereno dormono alcuni colla testa appoggiata contro i limiti marmorei delle soglie d’un palagio. — Altrove è un gruppo di fanciulli, ristretti gli uni contro gli altri, per non morire trafitti dal gelo della notte. — Più in là è una donna tremante, e ormai senza voce per lamentarsi. — La gente va e viene senz’essere commossa da uno spettacolo a cui è accostumata. — Il rumore delle carrozze, gli schiamazzi dell’intemperanza, gli allegri suoni della musica si mescolano talvolta alle grida degli infelici, e formano un’orribile dissonanza. — Oh questa pagina vorrei che potesse esser letta dall’universo!