Viaggio intorno alla mia camera/Capitolo XXI
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Traduzione dal francese di Giuseppe Montani (1824)
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CAPITOLO XXI.
Io ne aveva uno; e la morte me lo ha rapito... sul cominciamento della sua carriera... quando la sua amicizia diveniva un bisogno urgente pel mio cuore. — Noi ci eravamo di mutuo sostegno nelle fatiche della guerra; non avevamo che una pipa fra tutti e due; bevevamo nella medesima tazza; dormivamo sotto l’istessa coltre; e in questa calamità di tempi ogni luogo, ove ci si concedeva di vivere insieme, era per noi una nuova patria. La morte parea risparmiarci l’uno per l’altro. Mille volte ella scaricò intorno a lui i suoi dardi senza colpirlo; ma solo per rendermi più dolorosa la sua perdita. Il tumulto dell’armi, l’entusiasmo, che s’impadronisce dell’anima
all’aspetto del pericolo, avrebbero potuto
impedire che le sue grida giungessero
fino al mio cuore. — Ove il
morir suo fosse riuscito utile al nostro
paese, e funesto ai nemici, — io me
ne sarei meno rammaricato. — Ma
perderlo nelle delizie d’un quartiere
d’inverno! vederlo spirare fra le mie
braccia, quando più sembrava sorridergli
la salute; quando il vincolo, che
ci univa, si facea più forte nel riposo
e nella tranquillità!... ah! mai mai io
non potrò consolarmene.
La sua memoria intanto più non vive che in fondo al mio cuore: — quelli, che lo circondavano, e gli sono succeduti, lo hanno obliato; il che mi rende ancor più penoso il sentimento della sua perdita. La natura, indifferente anch’essa alla sorte degli individui, ripiglia la sua veste brillante di primavera, si adorna di tutto lo splendore della sua bellezza intorno al cimitero, ov’egli riposa. Gli alberi si coprono di frondi, e intrecciano i lor rami verdeggianti; gli augelli sciolgono dolci note alla loro ombra; gli alati insetti ronzano tra’ fiori; tutto respira la gioja e la vita nel soggiorno della morte. — E la sera, quando la luna percorre tacita gli azzurri campi del cielo, ed io vo meditando in questo tristo luogo, odo l’allegro grillo, che canta infaticabilmente nascosto sotto l’erba, che copre l’umil tomba del mio povero amico. La distruzione insensibile degli esseri, e tutte le sciagure dell’umanità non sono contate per nulla nel gran tutto. — La morte di un uomo affettuoso, che spira fra i suoi amici desolati, e quella d’una farfalla uccisa dal freddo aere del mattino sovra il calice d’un fiore, sono due avvenimenti similissimi nel corso della natura. — L’uomo non è che un fantasma, un'ombra, un vapore, che s’alza appena, e si dissipa per sempre.
Ma già l’alba incomincia ad imbiancare il cielo; le nere idee, che mi funestavano, svaniscono coll’ombre della notte, e la speranza rinasce nel mio spirito. — No, quegli, che inonda così l'oriente di luce, non la fa brillare a’ miei sguardi, per inabissarmi bentosto nelle tenebre del nulla. Quegli che stende quest’orizzonte incommensurabile, quegli che elevò queste masse enormi, le cui ghiacciate sommità or tutte sfolgoreggiano de’ primi paggi del sole, è per quegli che ordinò al mio cuore di battere e al mio spirito di pensare.
No l’amico mio non è già entrato nel nulla: qualunque sia la barriera che ci divide, io lo rivedrò. — Io non fondo già la mia speranza sovra un sillogismo. — Il volo di un insetto basta ad ispirarmela, e sovente la vista della campagna, il profumo dell’aria, non so quale incanto che mi circonda, sollevano talmente i miei pensieri, che una persuasione invincibile dell’immortalità s’impadronisce della mia anima, e l’occupa tutta intera.