Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/8

A Francesco Terzi di Sissa

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A SUA ECCELLENZA IL SIG. CONTE

D. FRANCESCO TERZI DI SISSA,


Che ritornò da Vienna decorato dell’eccelso Carat-

tere di Consigliere intimo di S.M.C.C.


M
E, che volea I’ armoniose corde

Recarmi in mano, e su quest’Alba amica
     Vestir di schietta gioja i novi carmi,
     Secreto sussurrar d’ignote voci
     5Improviso ferì: perche, dicea,
     Perche si canta, e sopra industri fogli
     Pien di pubblico onor si manda impresso
     A i più lontani dì questo Ritorno?
     O di servile età poveri ingegni
     10Che a lusingar nasceste! Arsi di sdegno,
     E fra me dissi: Io ti ravviso a i detti
     D’acerbo sele, e di menzogna tinti:
     Tu quella sei, che su le altrui vicende
     Liete ti struggi, e a l’altrui ben contrasti,
     15Torva d’alme malnate atroce cura,
     Di cui non ritrovar peggior tormento
     T Trinacrj Tiranni: e se costei,
     Poscia soggiunsi, me più ch’altri sede,

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     E qual più sà, sempre su l’opre mie
     20Versa amaro venen da l’empio labbro,
     Io resterò da l’onorata impresa?
     Se me dolente, e de i miglior nemica
     Con incessante, non placabil morso
     Non percotesse invidia, io forse quella
     25Avrei sul crin treccia d’eterno lauro,
     O questa, che da terra alto mi leva
     Sopra gli anni, e l’obblio, Ligure Cigno,
     D: perenne favor aura feconda?
     Mordami l’infelice, e sul mio nome
     30Dolgasi eternamente: Io di lei sento
     Pietà, che in gentil cor mai non vien meno
     So grado ad essa, che le vie d’onore
     Correr mi fa con più veloci passi,
     Come pungente spron, se tocca il fianco
     35D’abil corsier, fa, che da l’ampie nari
     Vivo spirando impaziente foco
     Rapidissimo mova, e vinte lasci
     Dietro il fervido piè l’aure seguaci.
     Dunque fra le mie dita, amabil pregio,
     40Dolce conforto mio, dolce fatica,
     Vieni in questo buon dì, cetra diletta:

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     Vieni, e mentre il tuo suon ricerco, e tempro
     L’importuno garrir, preda de i venti,
     Abbiansi le spumose onde Tirrene.
     45Non è senza ragion, se al ritornato
     Cavalier prode, avventuroso Germe
     De Magnanimi Terzi il Taro sona
     Di festoso concento. E che? vedremo
     Sopra nudi argumenti, e d’onor voti
     50Forzata impallidir la bella Euterpe;
     E allor potrà, quasi cagion non abbia,
     Tacer la giusta universal querela?
     E dove degno de’ suoi sacri studj
     Suggetto appaja, se vorrà da Pindo
     55Ella mandargli incontro accesi d’estro
     Inni dovuti, qual in Ischia suole
     Per cupe vie di sotterraneo vano
     Liquido zolfo serpeggiare, occulto
     Scotitor de la terra, ascosa, e bieca
     60Rampogna invida andrà di lingua in lingua
     Tentando biasmo a i ben diffusi inchiostri?
     Quanti mai sete, ma non sete molti,
     Perocché a pochi dier gli Dei divina
     Tempra d’ingegno, e rapido tesoro

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     65Di sublime parlar, quanti mai sete
     Toscani Cigni a questa età concessi,
     Udite a quali oggi lodate cose
     Serbansi i sudor vostri, i vostri carmi.
     Semplice figlia, che 1’avvolto lino
     70Sa trar sedendo sul girato fuso,
     O punger d’ago le segnate tele,
     Se marital per lei talamo s’orna,
     Da voi si dee cantar, da voi si dee
     Per essa andar ne l’avvenire incerto,
     75E con augurj , che a produr son presti
     I difficili Eroi, far, che tra poco
     Rinasca un novo Ulisse, un novo Achille.
     Vostra egregia fatica anco dee farsi
     Garzon da l’Alpi a la Città disceso,
     80Orrido al par de le materne querce,
     Che per desio di mutar Cielo, e sorte
     Te prende a coltivar, Temi severa,
     Che sol del giusto insegnatrice in Delfo
     Nome, e culto di Dea, delubro, ed ara
     85Degna dei Voti de’ Mortali avesti:
     O si rivolge a Te, de l’arti mute
     Primo inventor, che 1’Epidauria piaggia,

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     Di medich’ erbe in su gli altar cosparsi,
     Trasfigurato in lucid’ angue accolse,
     90Favolosa, cred’io, prole di Febo.
     Questi avrà a pena de le ambigue leggi
     Corso i lunghi volumi, o pur vedute,
     E non intese del buon veglio antico
     Le sentenze, che a Coo dier tanta fama,
     95E fra il lieto fragor di vostre cetre
     Se gli porrà sul crin celebre alloro,
     Onor d’Imperatori, e di Poeti,
     Troppo oltraggiato onor, onde ne freme
     Libero, qual son’ io, spirto, che nacqui
     100Dove animosa libertà pensieri
     Del retto amanti, e franchi genj instilla.
Misero Vulgo, sai chi debba in sommo
     Pregio tenersi, e de’ Castalj modi
     Farsi perpetuo memorabil segno?
     105Quei, che da vecchi secoli traendo
     Non interrotta mai vena di sangue
     Generoso, e gentil, nè mai turbata
     Da men pure commiste altre sorgenti,
     Fornito di ricchezza, onde suo lume,
     110E sue ragioni Nobiltà sostiene,

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     Prima Dio cole, onde ogni ben deriva,
     E l’alma sua Religion, Maestra
     Sola del vero, e sola di salute,
     E d’onor sola non mai secca fonte,
     115Repone a tutto, e i dubbj umani casi
     Solo con essa in cor libra, e consiglia:
     Quei, che il terreno suo Signor, che pose
     Su la sua fronte l’Arbitro de’ Regni,
     Fedele osserva, e sopra gli altri onora
     120Pronto, ove onesta occasion sel chiede,
     Vita, e fortune a non curar per Lui:
     Quei, che a i maggior non niega, ed a gli eguali,
     E a i non eguali unqua i dovuti uffizj,
     E questi poscia senza folle orgoglio
     125Da gli altri aspetta, come suol da i semi
     Fidati al campo l’aratore a i caldi
     Mesi aspettar la rispondentc Messe,
     Benche non sempre, a i duri stenti ingiusta
     Sterilità di bionde ariste avara,
     130Sia del benigno solco ingrata colpa:
     Quei, che gl’imbelli, e da le ingiurie afflitti
     Del secol guasto d’insultar paventa,
     Anzi, qual può, gli riconforta, e regge,

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     Viti neglette, che non trovan’ olmo,
     135Sul qual poggiando non sentir si spesso
     Superbo piè, che le calpesti, e prema:
     Quei, che per variar d’interni affetti
     Non altrimenti de le cose estima,
     Verace, quando amor, verace, quando
     140Ira lo move, ognor tenendo invitto
     Da le tiranne passioni il core.
     Quei, che la data fè franger ricusa,
     Saldo leal mantellitor securo
     Di sua parola, che mentir non puote:
     145Fido custode del commesso Arcano,
     Amico a i solchi, ed a i sereni tempi,
     Nato a giovar, nè per inutil vanto
     Divulgator de’ beneficj suoi,
     Ch’ anche taciuta ogni laudabil opra
     150E’ di se stessa il guiderdon più bello;
     Quei, che falso valor su le nocenti
     Di riprovato error vergate carte
     Saggio non imparò, ma da i buon Avi
     Ma da le leggi non ai Cielo avverse,
     155Non a ragion rubelle, onde si guida,
     Onde l’Equestre inclito onor si solce,

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     Ben consigliata, e di viltate ignara
     Trasse prodezza, che non cieca ultrice
     Non d’empietà, non di furor ministra,
     160Ma per la patria, e per la fè con fermo
     Braccio pronta a sfidar nobil periglio,
     E del suo nome, e in un de’ suoi diritti,
     Com’ equità, come dover le detta,
     Senza rancor conservatrice accorta
     165Sol per giusta difese al fianco appende
     Illustre pels d’onorata spada.
Quei, che tai pregi in se germoglia, e nudre,
     Quasi terren beato, ove non aspro
     Silvestre cardo, ove di frutto scema
     170Metter non osa sventurata felce,
     Che a l’erbe liete, ed a i buon’ usi nate
     La propria sede, e l’alimento usurpi;
     Quei, cieco vulgo, in su le tese fila
     De la curva testudine febea
     175Dee celebrarsi, o se le patrie case
     Al terminar de le stagion funeste
     Provvido lascia, e a i tollerati danni
     Schermo cercando, o se le proprie cose
     Ricomposte, e cresciute a’ suoi ritorna.

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180E però noi cantiam Te da 1’auguste
      Soglie de 1’alto Cesare guerriero,
      Te de gli ottimi suoi doni splendente,
      Terzi, a noi reso. E forse Tu non sei
      De i canti nostri non che rara luce,
      185Materia ancor sì riccamente stesa,
      Quasi miniera Eoa, per tanti rami
      Di sempre pullulante oro riposto,
      Onde ogni largo ragionar si stanchi?
Io non andrò là per la muta, e sacra
      190Di tante età caligine profonda,
      A rinvenir l’invitto Terzo, ond’ebbe
      L’eccelsa Gente tua principio, e nome:
      Allor d’Adam dal riparato fallo
      Dodici volte sopra mille il sole
      195Dei tempi guidator, corso avea tutti
      I segni ardenti de 1’obliquo cerchio:
      Terzo di Longofredo inclita prole,
      Di Longofredo, che i cavalli, e 1’aste
      Con Rolofando Regnator Boemo
      200Nel sen d’Ausonia a guerreggiar venute
      Reggea congiunto al Re Duce supremo,
      Nembo di guerra, che l’Italia avvolse,

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      E trionfante largo Regno ottenne:
      Terzo in Italia nato, e grande eletto
      205Novo in Italia a radicar Legnaggio,
      Che de le bellicose Aquile, un giorno
      Del domato universo arbitre fole,
      Fin da l’origin sua ligio, e devoto,
      Carco de lo splendor di tanti lustri
      210Oggi de l’Eridania avita Sissa
      Soave frena, e signoreggia i lidi.
Questi del Greco, e insiem fatal rovina
      Del Saraceno ardir, di quante stragi
      Sazio, e di quante mai palme superbo,
      215Da cento uscendo superate pugne,
      A piè non venne del fecondo Enrico,
      Che il crin cingea d’Imperial corona?
      Quanta, e quale da lui non indi forse
      Sincera di magnanimi Nepoti,
      220Per ogni lato di sublimi Donne
      Rinovellata dai fecondo grembo,
      Non tralignante mai serie felice?
      Non i forti Gherardi, e non quel prode
      Per buon valor, per militar consiglio
      225Insigne Pietro, e non il primo Guido

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     Invincibile petto, onde a i famosi
     Giorni per crudeltà, d’assedio cinta
     Meglio assai che per doppio armato muro,
     Secura, e salva la fua Patria stette:
     230E non Guidone, e non Filippo, aspersa
     Di bellico sudor, fraterna Coppia:
     E non Giberto intrepido, e non seco
     Nicolò invitto, a giorni suoi tremendo
     Folgore rovinoso di Bellona,
     235Cui per aver tanto col nudo ferro
     Sempre indefesso, e fido in guardia tolte
     L’alte ragioni del Latino Impero,
     Memore ancor de gli Avi suoi fedeli,
     Il quarto Augusto Carlo ampio concesse
     240Su genti, e terre di non umil grido
     Risorgente ne’ Posteri remoti
     Dominio d’ogni servitù disciolto:
     E non l’egregio formidabil’Otto,
     Che ne l’Etruria dal terror precorse
     245Portò le Insubri Marziali insegne,
     Uso il crin sotto l’elmo, uso la destra
     Sempre vittrice a faticar ne l’armi,
     E de’ suoi lunghi, e gloriosi affanni

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     Bella mercede, non rapito scettro
     250Stese su l’aurea Parma, e su le arene,
     Che Crostolo non linge, e l’Arda innonda:
     Poi sì pregiato, ove di prisco, intatto,
     Libero di regnar beato dono
     Fra i gravi Seggi de’ togati Padri
     255La Donna d’Adria va superba, e lieta,
     Ch’Ella a Lui, come a novel Fabio, a novo
     Scipio per Lei rinato, i suoi Vessilli
     Commetter volle, e le falangi, e i fati
     De le pubbliche cose, e poi di mille
     260Meriti onusto, come d’altra pianta
     Estrania, e rara le radici, e il tronco,
     Novo decoro suo, raccor s’allegra
     Folta d’annose chiome, e non mai tocca
     Da ferro ardito veneranda selva,
     265A le preclare sue patrizie stirpi
     Con quanta gente indi da lui scendesse,
     Volontaria lo aggiunse, e se negollo
     Natura a Lei con innocente errore
     Volle mostrar, che gliel dovea virtute:
     270E non cent’altri trarrò fuor da tanti
     Secoli andati, o d’arduo lauro il crine,

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     O di placido ulivo, o il petto adorni
     D’inclito segno, troppo folta schiera,
     Che tutta numerar potrebbe a pena,
     275Se risolcato il fatal guado estremo
     Quassù tornasse il gran Cantor di Tebe;
     E voi pur di silenzio involte andrete,
     Di Virtù mille già ne gli Avi accolte
     Più conosciute immagini vicine.
     280Tu primo accorto Antonio, onde il Farnese
     Nome a i lontani Re mosse, recando
     Splendidi uffizj, e non vulgari arcani;
     E Tu solo di nome a Lui secondo,
     Chiaro non men per dotta equestre penna,
     285Ond’utili a la Patria, utili a l’altre
     Lontane terre usciro aurei consigli,
     Non degni certo di restarsi ancora
     Senza postumo onor d’eterna luce,
     Che per ben cinto, e valoroso brando,
     290Il qual tentato, e da giustizia mosso
     Non tardo in mano a folgorar ti venne;
     E Tu quarto fra gli altri, ancor taciuto,
     Feroce Guido, ir dei, cui vide l’Adda,
     Vide l’Italo Pò contro la Senna

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     295Spinger aste, e destrieri, e il giusto freno
     Mal ricusante vide l’ampio Drava
     Sul procelloso Ungarico tumulto
     Portar fin dentro l’espugnate Rocche
     Di bellica vendetta estremo lutto:
     300Saggio! che poscia fra i Boemi acquisti,
     Lungo a i posteri tuoi fermo retaggio,
     Volesti dopo i ben sofferti in campo
     Vittoriosi dì, placate l’ire,
     Dovuto anche a gli Eroi cercar riposo.
305Te, Francesco, io vorrò sol de’ tuoi raggi,
     Mostrar di Cirra da l’ombrose cime
     Alteramente ornato, unica stella,
     Che su i miei versi, e su gli altrui scintilli.
     Quest’alma Tua, che d’onorato zelo
     310Tutta ferve, e sfavilla, onde non sai
     Fuor dei retti sentieri imprimer’orma,
     Questa è la luce tua, che da Te nasce,
     E senza l’altra de’ Maggiori tuoi
     Se stessa sopra Te larga spargendo
     315Te nobilmente illustra, e da sinistro
     Caliginoso tempo onta non pave.
     Questa t’accompagnò, quando varcato

[p. lxiv modifica]

     Tanto Ciel, tanto Suol, l’Istro vedesti,
     E là vedesti il bellicoso Carlo
     320Quaggiù nato a i trionfi, il qual già fermi
     D’Italia, e fermi già d’Europa i fati,
     A l’empio Oronte, e a l’infedele Arasse,
     Vero Campion di Dio, giuste catene
     Nei grandi pensier suoi volge, e destina.
     325Quindi quanto su Te Cesareo lume
     Poi non discese, o se de’ suoi consigli
     I sacri penetrali a Te schiudendo,
     Veder fè, guanto l’illibata fede,
     E la chiarezza del tuo sangue antico,
     330E quelle due, che ognor Ti stanno a lato,
     Prudenza, ed onestà, tue fide scorte,
     In pregio avesse: O se innocenza, e insieme
     Ragion per Te movendo atte preghiere,
     Che là di tutti avvalorar godea
     335II meritato amor, potesti a i lunghi
     Boemi danni ampio impetrar ristoro,
     E ben dura tentando opra di senno,
     Di tanti invano per Te corsi Autunni
     A i cumulati frutti aprir potesti
     340Non facil calle, che dal dì, che oppresse

[p. lxv modifica]

     Turbo di guerra Ausonia, avea divieto
     Supremo a i Voti tuoi negato, e chiuso:
     O se splendido a tempo, o se cortese,
     Sincero, e d’arti, e d’alterezza scarco,
     345O se ammirato per amabil foggia
     Di parlar sempre amico, e sempre onesto,
     Caro al congiunto sagro, alto ornamento
     Di Partenope sua, sul qual non poca
     Di Cesare immortal grazia rifulge:
     350Caro al gran Collourat, a cui la fronte
     Contento piega, e i giusti prieghi affida
     Il Boemico Regno, Anima eccelsa,
     Che tutto intende, e su diritta lance
     Tutto librando, e governando il corso
     355D’immense cose a la sua fè commesse
     I dover sommi de l’augusto grado,
     E quelli ancor del suo gran sangue adempie:
     E caro in fine a i primi, onde si stanno
     Belle a mirarsi le Cesaree foglie,
     360Dilette sedi già del tuo buon’Avo,
     Potesti riveder le terre tue,
     Che non più visto salutaron liete
     Te suo nobil Signor, come da gli Antri

[p. lxvi modifica]

     Affaticato da semestre notte
     365Esce, e giocondo il breve Sol saluta
     L’abitator de l’agghiacciato Polo?
Però qual non ti dee, mentre a noi riedi,
     Plauso la Patria tua, plauso Elicona,
     Dov’io tra le felici aure di Giano,
     370Non vulgar sangue per le Muse nato,
     ( Taccia il bieco livor ) unqua non volli
     Su detestata adulatrice lira
     Mendicar grazia, e far dispetto al vero?
     Non certo io tacerò, che grato a mille
     375Favor signorilmente in me diffusi,
     Lieto più ch’altri, al tuo Ritorno, e a i fausti
     Successi tuoi, del non oscuro ingegno
     Diffondo l’ali, e la tua schiatta egregia,
     E l’egregio tuo nome ergo, e di molto
     380Giorno di bella eternità cospargo:
     Perocché sconoscenza, orrenda peste,
     Da i lividi, cred’io, stagni d’abisso
     La civil vita a contristar mandata
     Nel ricordevol mio candido petto
     385Su i beneficj altrui, qual suol talora
     Di fertil Vite su le molli gemme

[p. lxvii modifica]

      Nuvoloso mattin sparger maligna
      Nebbia palustre, non ancor poteo
      Ombra gettar d’ingiurioso obblio.
390Vieni, su dunque, e i tuoi paterni lari,
      L’inclita Donna, che de l’altre esempio,
      Per vago aspetto, e per costumi alteri,
      Piena d’alto talento, e d’onor piena,
      Da lunghe età di Semidei ferace
      395L’eccelso Sanvital Tronco produsse,
      E le tre Figlie tue, che somiglianti
      Le tre Sorelle Dee, sotto i migliori
      Materni Auspicj sì leggiadre, e sagge
      Crescon degne di Te, degne di Lei,
      400De la tua cara desiata Vista
      Riconsola, e rintegra; e fra spiranti
      Soavissimo odor fiori a Te colti
      Su i margini Pimplei quest’onorato,
      Questo da tanta via, da tante cure
      405Esercitato fianco addatta, e posa.