Versi sciolti dell'abate Carlo Innocenzio Frugoni/7
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AL SERENISSIMO SIGNOR
DUCA ANTONIO FARNESE
Più, che del Nume lor, pieno de’ tuoi
Reali Auspicj, alto Signor, che reggi
L’Avito scettro, ed in Te solo aduni,
5Non che il valor, non che la gloria antica,
Le felici speranze, e i risorgenti
Venturi pregi, e il redivivo onore
De l’Aurea de’ Farnesi Augusta stirpe,
Io de 1’Itale cetre i fausti Voti,
10E i discesi dal Ciel candidi augurj
Al Nuzial tuo letto, or bella, e prima
Cura di Giove, guiderò d’intorno.
Guarda quante, o Signor, ne l’ampio grembo
Città care a Minerva Italia serra,
15Ricche nudrici di bennati ingegni:
Qual è, che a questo tuo Talamo eletto
A stabilir la pubblica salute,
Non goda offrir di volontarj carmi
Nobil tributo? Te il Romuleo Tebbro,
20Che i gran genj d’Augusto in Te rinati
Veder s’avvisa, Te il gentil Sebeto,
Albergo de le grazie, e de’ bei studj,
Onde a i migliori dì Grecia fioria,
Te il coronato di populea fronda
25Pò, che ripieno ancor d’armi, e d’amori
Bagna 1’antica gloriosa Patria
De 1’Italico Omero, e Te il vicino
Felsineo Reno, ove lor bella sede
Poser da lunga età, quasi Reine,
30L’alme Scienze, Te 1’invitto Serchio,
Che di sua chiara libertà superbe
Porta al Mar 1’onde, e Te l’augusta Dora
D’armi famosa, e di reali cure,
E Te il sonante tortuoso Fiume,
35Che altero va del suo divin Catullo,
E quel, che fende l’Antenoree piagge
D’aureo saper cultrici, e quel, che inonda
L’Alma Ravenna, e Te diletta a Febo
La colta Etruria di parlar Maestra,
40E la celebre Insubria, e la possente
D’arti, e d’oro Liguistica Contrada,
Anzi fin quella sì da noi disgiunta
Per aspri gioghi, e per frapposti Mari
Senna real, sul desiato tanto
45Tuo felice Imeneo 1’auree sciogliendo
Libere lingue , che mentir non sanno;
Te, come d’amor nato ardor gli sprona
Te, come l’alta tua Virtù richiede,
Cantano a prova. Il tuo soave nodo
50Era comune Voto ; ed or che ’l stringe
L’eterna Mano, qual più sa, si move,
E impaziente in Pindo poggia, e prende
Da i Toschi Vati, onde più accesa, e viva
E più leggiadra al regio Piè prostrarsi
55La gioja universal, voci, e colori.
Vera stirpe d’Eroi, che per lunghi anni
Provvida, giusta, generosa, e forte
Regger si vide i popoli commessi,
Troppo è agli Uomini cara. Essa, qual dono
60Il più pregiato de’ benigni Dei,
Si riguarda, e si cole. Al primo grido
Che Te de 1’Atestina eccelsa Donna,
Luce d’Italia, divulgò sublime,
E magnanimo Sposo, ecco si disse,
65Ecco rifiorirà la regal Pianta,
Che omai vicina a soggiacer parea
Al fato de le cose. A la grand’ ombra
Sicure torneran Giustizia, e Fede,
Clemenza, Largità, Pace a rifarvi
70Più lieto nido, e a ribaciarsi in fronte.
L’ultimo amabil suo possente ramo
Tutta in se chiude de 1’antico seme
L’Indole invitta, e ’1 vigor maschio, e primo:
E con sì belle cure, e sì remote
75Dal pensar nostro custodillo il Cielo,
Che ben si puote argumentar, che 1’abbia
Unica, e sola, ma verace, e certa
Speme lasciata al glorioso Tronco.
Signor, quest’era il favellar concorde,
80E ’1 pregar de le Genti; e non mai meglio
Manifestossi, come ovunque grande,
Ed adorato il Nome tuo risoni,
E qual di tue fortune alto risieda
In ogni gentil cor tenace affanno.
85Or con quel Volto, fuor di cui traspare
Perpetuo lume di rcal clemenza,
Queste, o Farnese Eroe, placido accogli
Industri carte, che il divino Apollo,
Perche del Nome, e de’ tuoi vanti piene,
90Sì destro guarda, e fra l’eterno cedro
Di viver degne di sua man ripone.
Vengon tarde al tuo Piè, vengono, e sanno
Qual d’esse lungo desiar s’è fatto:
Ma in Conca Oriental non suole perla,
95Oro non suole in Indica Miniera
Nato a fornir corona a regie fronti,
Che crescer lento, e lentamente degno
Del bel destin, del nobil uso farsi.
Tu, che Te stetto, e la tua gloria intendi,
100Teco pensando, che laudevol cura,
E che bella cagion questi a Te sacri
Fogli tardò, le lor dimore assolvi.
E me, che umilTe gli offro, e a Te mi prostro
Me, che sol per Te vivo, e per Te piaccio
105A le Castalie Dee, ma che a Te deggio
Questa dolce, che spiro, aura onorata,
Senza cui forse già m’avrebbe involto
La pallid’ onda de 1’eterno obblio,
Signor, degna d’un guardo, onde in me nova
110Mente, anzi nova Deità discende
Troppo ancor de’ tuoi pregi, e del tuo Nome
A i versi miei, non anco detto, avanza;
E poiche Pindo, tua mercè, mi vede
Cultor felice di tua bella lode,
115Non certamente lascerò, che tanta
Messe d’onore su tuoi ricchi solchi
Altra mano si mieta, altra ne faccia
A tutte le future Età tesoro.