Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Per un reuma d'un Cantante
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PER UN REUMA D’UN CANTANTE.
V’è tal che mentre canti, e in bella guisa
Lodi e monete accatastando vai,
Rammenta i dolci che non tornan mai
Tempi di Pisa,
Quando di notte per la via maestra,
Il Duo teco vociando e la romanza,
Prendea diletto di chiamar la ganza
Alla finestra.
E a lui gli amici concedeano vanto
Di ben temprato orecchio all’armonia,
E dalla gola giovinetta uscia
Facile il canto.
Pazzo, che almanaccò per farsi nome
Con un libraccio polveroso e vieto,
Lasciando per il suon dell’alfabeto
Crome e biscrome!
Or tu Mida doventi in una notte;
E vìa portato da veloce ruota,
Sorridi a lui che lascia nella mota
Le scarpe rotte:
Ed ei lieto risponde al tuo sorriso,
E l’antica amistà sente nel seno
Che a te lo ravvicina, a te che almeno
Lo guardi in viso.
Vedi? passa e calpesta il Galateo
Lindoro, amor d’inverniciate dame,
E d’elegante anonimo bestiame
Tisico Orfeo.
Eccolo; ognun si scansa, ognun trattiene
L’alito, e schianta ansando dalla tosse;
E creste all’aria e seggiole commosse....
Ei viene, ei viene.
Svenevole s’inoltra e sdolcinato;
Gira, ciarla, s’inchina, e l’occhio pesto
Languidamente volge, e fa il modesto
E lo svogliato.
Pregato e ripregato, ecco sorride
In atto di far grazia ai supplicanti;
I baffi arriccia in su, si tira i guanti,
E poi si asside.
La giovinetta convulsa e sbiadita
Très-bien gorgoglia con squarrata voce,
Mentr’ei tartassa il cembalo, e veloce
Mena le dita;
E nelle orecchie imbriacate muore
Semifrancese lambiccato gergo
Di frollo Adon che le improvvisa a tergo
Frizzi d’amore.
Piange intanto il filosofo imbecille,
E dietro l’arte tua chiama sprecato
L’oro che può lo stomaco aggrinzato
Spianare a mille.
Piange di Romagnosi, che coll’ale
Dell’alto ingegno a tanti andò di sopra,
E i giorni estremi sostentò coll’opra
D’un manovale.
Pianto sguaiato, che del mondo vecchio
In noi l’uggia trapianta e il malumore!
Purchè la pancia il cuoco, ed un tenore
C’empia l’orecchio,
Che importa a noi del nobile intelletto
Che per l’utile nostro anela e stenta,
Del Poeta che bela e ci sgomenta
Con un sonetto?
Dell’ugola il tesoro e dei registri
Di noi stuccati gli sbadigli appaga:
Torni Dante, tre paoli; a te, la paga
Di sei Ministri.
Signor! Tu che alla pecora tosata
Volgi in aprile il mese di gennaio,
E secondo il mantel tarpi a rovaio
L’ala gelata,
Salva l’educatrice arte del canto;
A te gridano i palchi e la platea:
Miserere, Signor, d’una trachea
Che costa tanto.
Anzi del cranio rattrappiti e monchi
Gli organi lascia che non danno pane,
E la poca virtù che vi rimane
Cali ne’ bronchi.
S’usa educar, lo so; ma è pur corbello,
Bimbi, chi spende per tenervi a scuola!
Gola e orecchi ci vuole, orecchi e gola;
Pêste al cervello!