Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Gli Umanitari

Gli Umanitari

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Per un reuma d'un Cantante A Girolamo Tommasi
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GLI UMANITARI.



Ecco il Genio Umanitario
     Che del mondo stazionario
                    Unge le carrucole.

Per finir la vecchia lite
     Tra noi, bestie incivilite
                    Sempre un po’ selvatiche;

Coll’idea d’essere Orfeo
     Vuol mestare in un cibreo
                    L’Universo e reliqua.

Al ronzio di quella lira
     Ci uniremo, gira gira,
                    Tutti in un gomitolo.

Varietà d’usi e di clima
     Le son fisime di prima;
                    È mutata l’aria.

I deserti, i monti, i mari,
     Son confini da Lunari,
                    Sogni di geografi.

Col vapore e coi palloni
     Troveremo gli scorcioni
                    Anco nelle nuvole;

Ogni tanto, se ci pare,
     Scapperemo a desinare
                    Sotto, qui agli Antipodi;

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E ne’ gemini emisferi
     Ci uniremo bianchi e neri:
                    Bene! che bei posteri!

Nascerà di cani e gatti
     Una razza di Mulatti
                    Proprio in corpo e in anima.

La scacchiera d’Arlecchino
     Sarà il nostro figurino,
                    Simbolo dell’indole.

(Già per questo il Gran Sultano
     Fe la giubba al Mussulmano
                    A coda di rondine!)

Bel gabbione di fratelli!
     Di tirarci pe’ capelli
                    Smetteremo all’ultimo.

Sarà inutile il cannone;
     Morirem d’indigestione,
                    Anzi di nullaggine.

La fiaccona generale
     Per la storia universale
                    Farà molto comodo.

Io non so se il regno umano
     Deve aver Papa e Sovrano;
                    Ma se ci hanno a essere,

Il Monarca sarà probo
     E discreto: un re del globo
                    Saprà star ne’ limiti.

Ed il capo della Fede?
     Consoliamoci, si crede
                    Che sarà Cattolico.

Finirà, se Dio vuole,
     Questa guerra di parole,
                    Guerra da pettegoli.

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Finirà: sarà parlata
     Una lingua mescolata,
                    Tutta frasi aeree;

E già già da certi tali
     Nei poemi e nei giornali
                    Si comincia a scrivere.

Il puntiglio discortese
     Di tener dal suo paese,
                    Sparirà tra gli uomini.

Lo chez-nous d’un vagabondo
     Vorrà dire in questo mondo,
                    Non a casa al diavolo.

Tu, gelosa ipocondria,
     Che m’inchiodi a casa mia,
                    Escimi dal fegato;

E tu pur chetati, o Musa,
     Che mi secchi colla scusa
                    Dell’amor di Patria.

Son figliuol dell’Universo,
     E mi sembra tempo perso
                    Scriver per l’Italia.

Cari miei concittadini,
     Non prendiamo per confini
                    L’Alpi e la Sicilia.

S’ha da star qui rattrappiti
     Sul terren che ci ha nutriti?
                    O che siamo cavoli?

Qua o là nascere adesso,
     Figuratevi, è lo stesso:
                    Io mi credo Tartaro.

Perchè far razza tra noi?
     Non è scrupolo da voi:
                    Abbracciamo i Barbari!

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Un pensier cosmopolita
     Ci moltiplichi la vita,
                    E ci slarghi il cranio.

Il cuor nostro accartocciato,
     Nel sentirsi dilatato,
                    Cesserà di battere.

Così sia: certe battute
     Fanno male alla salute;
                    Ci è da dare in tisico.

Su venite, io sto per uno;
     Son di tutti e di nessuno;
                    Non mi vo’ confondere.

Nella gran cittadinanza,
     Picchia e mena, ho la speranza
                    Di veder le scimmie.

Sì sì, tutto un zibaldone:
     Alla barba di Platone
                    Ecco la Repubblica!