Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Frammenti

Frammenti

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A uno Scrittore di satire in gala Ad una Donna
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FRAMMENTI.



Di tenersi nel confine
     Della propria intelligenza,
     E l’umane discipline
     E l’eterna sapïenza,
     Ammoniscono le menti
     D’ogni freno impazïenti.

. . . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .

Il divieto di quel pomo
     Che, sedotta dal serpente,
     Pregustato offerse all’uomo
     La consorte incontinente;
     E lo sforzo di Babele
     Che confonde le loquele;

£ Fetonte che alle prove
     Si scottò la mano ardita,
     E colei che fu di Giove
     Nell’amplesso incenerita,
     Fanno il saggio circospetto
     Nell’ardir dell’intelletto.

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Colla vista in alto assorta
     Muove Empedocle le piante,
     E cadendo non ha scôrta
     La voragine davante.
     Che ti val studio del vero,
     Se fallisci il tuo sentiero?

Che ti vale il forte acume
     Della mente irrequïeta,
     Se t’abbagli in troppo lume,
     Se sbattuto oltre la meta
     Ricadesti in cieco errore
     Per trascorso di vigore?

A ciascuno è dato un punto
     Al suo sè convenïente:
     O varcato o non raggiunto,
     Tu disperdi egualemente
     La virtù che ti misura
     Il Signor della natura.

Chi per manco di potere,
     O per troppa lontananza,
     Inesperto fromboliere
     Non avvista la distanza,
     Vide il sasso andar distratto,
     O morire a mezzo il tratto.

Chi sostenne a forte altezza
     Del pensier la gagliardia,
     Moderò colla saviezza
     Del saper la bramosia,
     E si mosse a certo segno
     Colla foga dell’ingegno.

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Nobilmente obbedïenti
     Alia man che c’incammina
     Siamo arnesi differenti
     Di mirabile officina,
     E fornire indarno spera
     Uno solo all’opra intera.

È la vita una magione
     Che c’è data a seguitare
     Sul disegno del Padrone
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . .

Quando il cómpito hai pagato,
     Cedi l’opera; e conviene
     Ripigliar l’addentellato
     A colui che sopravviene;
     E così di mano in mano
     Acquistar l’ultimo piano.

Ogni secolo, ogni gente,
     Lavorando alla diritta,
     E pensando arditamente
     D’arrivare alla soffitta,
     Si condusse a fin di salmo
     A procedere d’un palmo.

E noi pur tirando innanzi,
     Aggiungiamo il nostro tanto,
     Procacciam che in bene avanzi
     L’edificio altero e santo,
     Rimettiamone anco noi
     Il suo tanto a chi vien poi.

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Finirà l’opra mortale
     Un artefice divino:
     Si contenti il manovale
     Di portare il sassolino
     . . . . . . . . . . . . . . . .
     . . . . . . . . . . . . . . . .

Chè non so dell’Architetto
     Agguagliar gl’intendimenti.
     Lascerò mettere il tetto
     A chi pose i fondamenti,
     E la fabbrica compíta
     Goderò nell’altra vita.