Versi editi ed inediti di Giuseppe Giusti/Alli Spettri del 4 Settembre 1847

Alli Spettri del 4 Settembre 1847

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Storia contemporanea Istruzioni a un Emissario
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ALLI SPETTRI DEL 4 SETTEMBRE 1847.



Quella notizia gli aveva dato una
disinvoltura, una parlantina, insolita
da gran tempo.
Promessi Sposi, cap. 38.


Su Don Abbondio, è morto Don Rodrigo,
     Sbuca dal guscio delle tue paure:
     È morto, è morto: non temer castigo,
                                        Destati pure.

Scosso dal Limbo degl’ignoti automi,
     Corri a gridare in mezzo al viavai
     Popolo e libertà, cogli altri nomi,
                                        Seppur li sai.

Ma già corresti: ti vedemmo a sera
     Tra gente e gente entrato in comitiva,
     E seguendo alla coda una bandiera
                                        Biasciare evviva.

Cresciuta l’onda cittadina, e visto
     Popolo e Re festante e rimpaciato,
     E la spia moribonda, e al birro tristo
                                        Mancare il fiato,

Tu, sciolto dall’ingenito tremore,
     Saltasti in capofila a far subbuglio,
     Matto tra i savi, e ti facesti onore
                                        Del sol di luglio.

Bravo! Coraggio! Il tempo dà consiglio:
     Consigliati col tempo all’occasione:
     Ma intanto che può fare anco il coniglio
                                        Cuor di leone,

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Ficcati, Abbondio; e al popolo ammirato
     Di te, che armeggi e fai tanto baccano,
     Urla che fosti ancor da sotterrato,
                                        Repubblicano.

Voi, liberali, che per anni ed anni
     Alimentaste il fitto degli orecchi,
     Largo a’ molluschi! e andate co’ tiranni
                                        Tra i ferri vecchi.

A questo fungo di Settembre, a questa
     Civica larva sfarfallata d’ora,
     Si schioda il labbro e gli ribolle in testa
                                        Libera gora.

Già già con piglio d’orator baccante
     Sta d’un Caffè, tiranno alla tribuna;
     Già la canèa de’ botoli arrogante
                                        Scioglie e raguna.

Briaco di gazzette improvvisate,
     Pazzi assïomi di governo sputa
     Sulle attonite zucche, erba d’estate
                                        Che il verno muta.

«Diverse lingue, orribili favelle,»
     Scoppiano intorno; e altèra in baffi sconci
     Succhia la patriottica Babelle
                                        Sigari e ponci.

Dall’un de’ canti, un’ombra ignota e sola
     Tien l’occhio al conventicolo arruffato,
     E vagheggia il futuro, e si consola
                                        Del pan scemato.

Stolta! se v’ha talun che qui rinnova
     L’orgie scomposte di confusa Tebe,
     Popol non è che sorga a vita nuova,
                                        È poca plebe.

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È poca plebe: e d’oro e di penuria
     Sorge, a guerra di cenci e di gallone:
     Censo e Banca ne dà, Parnaso e Curia,
                                        Trivio e Blasone.

È poca plebe: e prode di garrito,
     Prode di boria e d’ozio e d’ogni lezzo,
     Il maestoso italico convito
                                        Desta a ribrezzo.

Se il fuoco tace, torpida s’avvalla
     Al fondo, e i giorni in vanità consuma;
     Se ribollono i tempi, eccola a galla
                                        Sordida schiuma.

Lieve all’amore e all’odio, oggi t’inalza
     De’ primi onori sull’ara eminente,
     Doman t’aborre, e nel fango ti sbalza,
                                        Sempre demente.

Invano, invano in lei pone speranza
     La sconsolata gelosia del Norde.
     Di veri prodi eletta figliolanza
                                        Sorge concorde,

E di virtù, d’imprese alte e leggiadre
     L’Italia affida: carità la sprona
     Di ricomporre alla dolente madre
                                        La sua corona.

O popol vero, o d’opre e di costume
     Specchio a tutte le plebi in tutti i tempi,
     Levati in alto, e lascia al bastardume
                                        Gli stolti esempi.

Tu modesto, tu pio, tu solo nato
     Libero, tra licenza e tirannia,
     Al volgo in furia e al volgo impastoiato
                                        Segna la via.