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alli spettri del 4 settembre 1847. |
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È poca plebe: e d’oro e di penuria
Sorge, a guerra di cenci e di gallone:
Censo e Banca ne dà, Parnaso e Curia,
Trivio e Blasone.
È poca plebe: e prode di garrito,
Prode di boria e d’ozio e d’ogni lezzo,
Il maestoso italico convito
Desta a ribrezzo.
Se il fuoco tace, torpida s’avvalla
Al fondo, e i giorni in vanità consuma;
Se ribollono i tempi, eccola a galla
Sordida schiuma.
Lieve all’amore e all’odio, oggi t’inalza
De’ primi onori sull’ara eminente,
Doman t’aborre, e nel fango ti sbalza,
Sempre demente.
Invano, invano in lei pone speranza
La sconsolata gelosia del Norde.
Di veri prodi eletta figliolanza
Sorge concorde,
E di virtù, d’imprese alte e leggiadre
L’Italia affida: carità la sprona
Di ricomporre alla dolente madre
La sua corona.
O popol vero, o d’opre e di costume
Specchio a tutte le plebi in tutti i tempi,
Levati in alto, e lascia al bastardume
Gli stolti esempi.
Tu modesto, tu pio, tu solo nato
Libero, tra licenza e tirannia,
Al volgo in furia e al volgo impastoiato
Segna la via.