Versi - Paralipomeni della Batracomiomachia/I. Versi (1816-1826)/III. Poesie varie (1817-26)/3. Due canzoni/2. Nella morte d'una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte d'un chirurgo

2. Nella morte d'una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte d'un chirurgo

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2. Nella morte d'una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte d'un chirurgo
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2.

NELLA MORTE DI UNA DONNA

fatta trucidare col suo portato dal corruttore
per mano ed arte di un chirurgo

(1819)

     Mentre i destini io piango e i nostri danni,
ecco nova di lutto
cagion s’accresce a le cagioni antiche.
Io non so ben perch’io tanto m’affanni,
5che poi ch’il miserando
nunzio s’intese, io me ne vo per tutto
gemendo e sospirando:
parmi qualch’aspro gioco
fatto m’abbia fortuna, e pur m’inganno;
10dal cor l’ambascia si riversa e move,
e sol dalla pietà non trovo loco.
Ahi non è vana cura;
che, s’altrui colpa è questo ond’io m’affanno,
peggio è la colpa assai che la sciaura.

     15Forse l’empio tormento
di tue povere membra a dir io basto,
o sventurata? e può di queste labbra
uscir tanto lamento
ch’al tuo dolor s’adegui, allor che guasto

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20t’ebber la bella spoglia?
Tu lo sai, poverella, che non puote
voce mortal cotanto;
tu sai che, per ch’il voglia,
a narrar tuo cruciato altri non vale.
25Che s’al ver non cedesse il nostro canto,
giuro che ’l bosco e ’l sasso umano e pio
di pietade immortale
faria per la tua doglia il canto mio.

     Ahi ahi! misera donna, io gelo e sudo
30pur quando ne la mente
mi ritraggo il tuo scempio: or sofferirlo
nel tuo tenero vel come fu crudo!
Ma dimmi, non ti valse
pria de lo strazio il palpitar frequente
35e '1 tremito? e non calse
a quegli orsi del volto
sudato e bianco; e non giovârti in quella
orrida pena e sotto a’ ferri atroci
il pianto miserabile né il molto
40addimandar pietate,
e non le tristi grida, e non la bella
sembianza, e ’l gener frale, e non l’etate?

     Misera! invan le braccia
spasimate stendesti, ed ambe invano
45sanguinasti le palme a stringer vòlte,
come il dolor le caccia,
gli smaniosi squarci e l’empia mano.
Or io te non appello,
carnefice nefando, uso ne’ putri
50corpi affondar l’acciaro:
odimi, a te favello,
o scellerato amante. Ecco non serba
la terra il tuo misfatto, e invan l’amaro

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frutto celasti a la diurna luce,
55cui già di sotto a l’erba
ultrice mano al pianto e al sol riduce.

     Vieni, mira, crudel. Questo giuravi
a lei ne la suprema
ora di sua costanza, e quella colpa
60che a te largia tu col suo sangue lavi?
Così la sventurata
virtú ch’ella ti fea vittima estrema
le contraccambi? Or guata
questi martori, e questi
65atteggiati d’asprissimo dolore
infelici sembianti: io grido, o fera,
io grido a te; quando cotal vedesti
far la meschina, in quella
non ti sovvenne de l’antico amore?
70non quando al tuo desir la festi ancella?

     Che misero diletto
fu ’l tuo, tradita amante! oh come poco
godesti di tuo fallo! E t’avea pure
già punita il sospetto
75e la paura, e di vergogna il foco,
e le angosce, e lo sprone
del pentimento: or non bastava al fato
sì greve pena; or questo
ultimo guiderdone
80serbava al fallo tuo: morir per opra
di quel che tanto amavi, e così presto
per l’età verde, e in barbaro cruciato;
e non lasciar qua sopra
altro che ’l sovvenir del tuo peccato.

     85Che dico? or qui non mi badar, ch’io mento,
alma affannosa. Ed era

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pur crudo il tuo destin, ma di pietade
spogliar non valse il lagrimoso evento.
E s’io con mesta voce
90la tua vo lamentando ultima sera,
non infiammar l’atroce
rossor ti voglio; oh pria
schizzin le corde e fiacchisi la cetra,
e la lingua si sterpi e ’l braccio mora:
95per consolarti io canto, o donna mia,
canto perch’io so bene
che non ha chi m’ascolta un cor di pietra,
né guarda il fallo tuo ma le tue pene.

     Or dunque ti consola,
100o sfortunata: ei non ti manca il pianto,
né mancherà mentre pietade è viva.
Mira che ’l tempo vola,
e poca vita hai persa, ancor che tanto
giovanetta sei morta.
105Ma molto piú, che misera lasciasti
e nequitosa vita
pensando, ti conforta;
però che omai convien che piú si doglia
a chi piú spazio resta a la partita,
110e tu per prova il sai, tu che del mesto
lume del giorno ha spoglia
tuo stesso amante, il sai che mondo è questo.

     Ecco l’incauto volgo accusa amore
che non è reo, ma ’l fato
115ed i codardi ingegni onde t’avvenne
svegliar la dolce fiamma in basso core.
Voi testimoni invoco,
spirti gentili: in voi, dite, per fiato
avverso è spento il foco?
120Dite, di voi pur uno

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è che non desse a le ferite il petto
per lo suo caro amor? Tu ’l vedi o solo
raggio del viver mio deserto e bruno,
tu ’l vedi, amor, che s’io
125prendo mai cor, s’a non volgare affetto
la mente innalzo, è tuo valor non mio.

     Che se da me ti storni,
e se l’aura tua pura avvivatrice
cade, o santa beltà, perché non rompo
130questi pallidi giorni?
Perché di propria man questo infelice
carco non pongo in terra?
E in tanto mar di colpe e di sciaure
qual altr’aita estimo
135avere a l’empia guerra,
se non la vostra infino al sommo passo?
Altri amor biasmi, io no che se, nel primo
fiorir del tempo giovamil, non sono
appien di vivere lasso,
140m’avveggio ben che di suo nume è dono.