Vera storia di due amanti infelici ovvero Ultime lettere di Iacopo Ortis (1912)/Lettera III

Lettera III

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LETTERA III

8 settembre.

Ti giuro che non ho dimenticato la tua lettera in tasca per bizzarria di dimenticarla o per fare a mio modo, ma perché infatti non me ne sono piú ricordato. La casa della tua amica, alla quale è diretta, è discosta due miglia, la stagione non s’è rinfrescata: a che dunque prendersi tanta briga? Una nuova conoscenza con una donna, alla quale non dovrei fare che delle visite, non è poi l’affare di sì grande importanza da non potersi differire a due giorni. [p. 81 modifica]

Questa mattina mi sono alzato per salutare l’aurora. Arrampicava a fatica per trovarmi su la cima della montagnetta che domina queste campagne, quando mi distolse un lontano fremito d’acque. Mi fu guida l’orecchio, e, dopo una discesa difficile verso la parte opposta al mio romitorio, ho veduto cinque fonticelli che s’affrettavano a unirsi tutti in un limpido lago. Come fresche erano quell’acque, ombreggiate da folti salici, i quali non poteano però impedire al sole di rompere i furtivi suoi raggi su le onde riscintillanti e agitate pel continuo cascar de’ruscelli! Ad onta che questo mese non sia amico ai bagni, ho voluto spogliarmi ed immergermi in quel laghetto, che pareva accogliermi con voluttá. Il mio cuore cantava un inno alla natura, e la mia fantasia s’illudeva invocando le ninfe, amabili custodi delle fontane. «Illusioni!» grida il filosofo. E non è tutto illusione? tutto! — Beati gli antichi, che si credevano degni de’ baci di Venere, che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie, che diffondevano lo splendore della divinitá su le imperfezioni dell’uomo, e che trovavano il bello ed il vero accarezzando gl’idoli della loro immaginazione! La religione greca e romana ha educato gli artisti e gli eroi, e a questa dobbiamo i capi d’opera che il caso ha rapito alla inclemenza de’ secoli. — Così io riflettea, diguazzandomi. Mi son rivestito e con due grappoli còlti di fresco son ritornato a passare il resto della mattina in compagnia del mio Plutarco.

9 settembre.

Non avendo per tutto ieri veduto Michele, non mi fu possibile d’inviare questa lettera alla posta di Padova. La riapro per raccontarti un avvenimento, che porrá termine alle nostre contese.

S’avvicinava la sera, innamorato della mia nuova Tempe, ho diretto il mio passeggio verso i cinque ruscelli. Giunto appena al laghetto, mi pare di scorgere sul pendio della montagnetta una persona che meditava; cosa veramente comune, alla quale non avrei badato in tutt’altro luogo fuori che in questo ritiro, da me creduto deserto. I solitari, simili agl’infelici, s’amano [p. 82 modifica] scambievolmente. Per potere osservar non veduto, m’avvicino fra i salici: temea di turbarlo...; ma l’opacitá delle frondi e le tenebre, che piú e piú s’addensrvano, mi vietavano di distinguere. M’avvanzo un po’ piú. Quest’era un giovane seduto sul tronco d’un albero tagliato. Tenea sopra un ginocchio un pezzo di carta, che andava di tratto in tratto segnando con la matita. S’avvede ch’io lo sto osservando, gira l’occhio sopra di me, e prosiegue il suo lavoro. La notte è imminente. Egli s’alza, scende al laghetto e, passando, mi guarda e si leva il cappello. Io, rispondendo al saluto, gli domando se abitava molto discosto. — Poco piú di un miglio; appunto presso la villa di *** — Al nome della villa mi ricordo della tua lettera: la traggo dal portafoglio. — Conoscete questo nome? — Ei sorride. — ... Davvero — io prosieguo — voi potrete insegnarmi dov’abita. — Seguitate — ei mi dice — questo ramo d’acqua, ch’esce dal lago per renderlo piú capace ad accogliere le onde de’ cinque rivi: questo ramo vi guiderá diritto alla sua casa. A rivederci. — Tutto ciò è avvenuto ier sera.

Immagina di avermi veduto questa mattina sdraiato sul margine di uno de’ cinque rivi a due ore di sole, attendendo l’ora d’indirizzarmi a far la mia visita. Una voce, che pronunzia il mio nome quasi chiamandomi, mi scuote da certe vane meditazioni, ch’io ruminava guardando stupidamente il corso dell’acque. Mi volgo; ed eccomi innanzi il giovane di ier sera. In veritá non è bello, ma di una fisonomia così liberale, ch’io mi sono sentito, in vederlo, una delle mie solite simpatie. M’alzo per abbracciarlo, come se l’avessi conosciuto da molto tempo. — Volete avviarvi meco — ei mi dice — per recare la lettera che mi avete mostrato? — Io lo seguo. Parlando delle belle arti lungo il cammino, ci è mancato poco che non si svegliasse una contesa fra noi. Egli credeva indegno dell’immortalitá quell’artista che non si studiasse di perfezionar la natura...; io mi sentiva un certo dispetto e una smania d’interromperlo... Per buona fortuna ci siamo trovati, senza avvedercene, alla villa. Addio.