Varenna e Monte di Varenna/Secolo XVII/La Pesca
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LA PESCA
La pesca nel lago di Como non era regolata da leggi e regolamenti molto chiari, tanto che nel 1606 il fisco dovette fare delle pubbliche e curiose cerimonie in tutte le acque del lago per dimostrare il suo diritto a percepire il dazio sulla pesca.
Alcuni funzionari saliti su di un battello si recarono davanti a tutte le località dove risiedevono pescatori, ripetendo la cerimonia, che è così descritta nella relazione dei funzionari stessi: «si fece l’atto di possesso con far gettare le reti a nome della Regia Ducal Camera nel lago per pescare e poi tolendo dell’acqua di esso lago nelle mani che gli veniva data da Bartolomeo Tatti portiere suddetto e getandola per detto lago e facendo altri atti possessori dimostranti essersi tolto detto debito possesso essendo giorno chiaro, nè essendovi chi lo proibisse».
Questa spedizione risalendo il lago giunse a Varenna «dove il lago fa porto, ed ivi intendendo che Giovanni Battista Bruzzo era fitavolo di detto lago lo facessimo chiamare, qual disse essere stato investito dalli redituari di Como per pubblico istrumento, ma non si ricorda del nome del nodaro, nè del tempo che fosse rogato per essere un pezzo fa fuori della città done ha le sue scriture, et che molti sono gli reddituari et anche che ogniuno di essi investisse et che essi subloca alli pescadori da Como in su a chi viene et a chi ne vole et gli piglia un tanto per boiadura de reti et che senza rete bollate non si può pescare, anzi se può fare invenzione, et che da Como in su per il lago si pesca come si quò vedere dove gli piace. Noi dunque per compire l’atto possessorio procurassimo che ci riconoscesseno contentandosi che aggiungesse qual cosa di più di quello pagano alli reddituari. Perciò trattato il negotio finalmente fu concluso et promise pagare da qui a Calende Gennaro.»
Ma dopo qualche tempo Varenna e le altre terre della così detta riviera di Lecco si rifiutarono di pagare questo dazio a Como, e vi fu una causa contro le comunità di Bellano, Mandello, Varenna, Corenno, Onno e Dervio.
Nel voto del fiscale sono esposte le ragioni delle comunità le quali si possono così riassumere: «1° Esse sono terre di diritto diverso dalle terre sottoposte alla città di Como in quanto diconsi terre del lago di Lecco; sichè non essendo sottoposte alla giurisdizione della città di Como non sono tenute come le altre che si trovano in dette condizioni a pagare il dazio della pesca e bollare le reti in virtù degli statuti di Como.
2° Esse furono, già fin dall’anno 1480 infeudate al conte Pietro Dal Verme e dopo di lui a Clara Sforza sua moglie, gli eredi della quale le vendettero ad Antonino Sfondrati autore dell’attuale possessore Ercole Sfondrati e la concessione fu fatta col mero e misto imperio e regalie. Ne segue che spettando ad esse terre il diritto di pesca sul lago per quanto si estendono rispettivamente i loro territori, quel diritto non può spettare alla R. Camera, ma al feudatario cui furono concesse le regalie. E data siffatta eccezione, ipso iure rimane esclusa l’azione del R. fisco. Che se poi si desuma tal diritto dagli statuti di Como, consta invece che esse terre non vi sono sottoposte essendo del Ducato; nè può dirsi che si tratti di diritti spettanti al principe che i privati non possono possedere poichè le regalie non possono essere del fisco quando ai privati furono specialmente concesse.
3® Esse terre sono di giurisdizione per sè stante e tolti i diritti del feudatario, pretendono che a loro competa il dominio delle rive del lago e della pesca, come dimostrano così moltissimi documenti. Pertanto il fisco non vede in che modo l’azione intentata possa sostenersi e difendersi dalle eccezioni sollevate ed è costretto a ritenere che sia il caso di recedere da qualsiasi ulteriore molestia.»
La sentenza in data 26 febbraio 1611, confermando il parere emesso dal fiscale, assolve le comunità della Riviera di Lecco dal pagamento dei dazi richiesti, e solo riserva la facoltà di emanare per utilità pubblica una legge sul modo di pescare rispetto alle predette comunità, e per eliminare quei legnari costruiti sul lago da alcuni privati di Mandello, qualora siano d’impedimento alla navigazione.
⁂
Nell’anno 1661 si accese una disputa fra il feudatario della Valsassina don Giulio Monti e il Conte della Riviera feudatario di Varenna Mandello ecc. per la costruzione di un porto, e per il diritto di pesca nelle acque del lago prospicienti il territorio del Monte di Varenna. Benchè contigue le terre di Varenna e del Monte di Varenna dopo la metà del secolo XVI seguirono, quali feudi, sorti diverse, perchè il Monte di Varenna essendo stato considerato come appartenente alla Valsassina, venne dato in feudo a Don Giulio Monti. Allora come oggi il territorio del Monte di Varenna si estendeva giù fino al lago, e confinava con Varenna mediante il torrente Esilio, che una volta era chiamato Oliverio ed anche Olivedo.
Nel 1651 il feudatario della Valsassina avendo comperato alcuni fondi sulla riva del lago presso Molvedro vi fece iniziare la costruzione di un molo1. Saputo ciò il conte della Riviera fece intimare dal Senato a Don Giulio Monti di desistere da tale costruzione sopra una riva che egli considerava di giurisdizione propria e della terra di Varenna suo feudo, la quale ne riceveva pregiudizio nella pesca e nella estensione delle reti.
La contesa fu lunga e pareva che non si potesse comporre quando s’interposero amici comuni, i quali rimisero la questione all’arbritato del Gran Cancelliere, che sentite più volte le parti, i loro procuratori ed avvocati, viste le scritture, e considerato che si trattava di mettere d’accordo due delle principali famiglie di Milano congiunte in parentela, ha arbitrato come segue.
«Primo che il signor conte della Riviera o sia le dette terre di Varena sua giurisditione debbano continuare nel loro possesso di pescare in detta parte di lago con che non s’intenda proibito il signor conte di Valsasina di potervi ancor esso farvi pescare per suo uso et recreatione.
Secondo che sia lecito al detto signor Conte di Valsasina proseguire e perfetionare la fabrica del porto principiato dell’istessa larghezza e lunghezza con la quale è stato cominciato per suo proprio uso e comodità e de suoi successori.
Terzo che il signor conte di Valsasina sia tenuto comprare dal sig. Conte della Riviera quelli beni che furono acquistati nel luogo d’Oliveto vicino al detto porto del Signor Don Carlo Sfondrati in nome di esso sig. Conte della Riviera et pagarli l’istesso prezzo; con che però ii signor Conte della Rivera non sia tenuto per l’evittione di essi se non pro dato et facto suo tantum e solamente alla rastitutione al prezo in caso d’evitione et non altrimente et solo s’intende posto in suo luogo e stato.
Quarto perchè li huomini di Varena per questa lite sono stati costretti venir più volte a Milano e far diverse spese di procuratori, avocati et altro, et attesa la loro povertà, si compiacerà il signor conte di Valsasina dare alti detti huomini per una volta solamente le somme di Lire......
Quinto che per rispetto delle altre raggioni, pretese o spettanti all’una et all’altra parte non s’intenda per il presente arbitramento fatto pregiudicio alcuno ad esse parti, dovendo restare nel stato et vigore nel quale di presente si trovano.
Sesto et ultimo che mediante le cose sudette le parti debbano rinunciare alla detta lite promossa et agitata come sopra. Et in questa conformità et nel sudetto modo dichiara et arbitra il predetto illustrisimo Gran Cancelliere che si debba osservare et eseguire da tutte le parti»2.
Dalla relazione di una visita compiuta dal questore Antonio Maria Guidoboni per ordine del Magistrato sulle acque del lago di Como togliamo queste notizie: Nell’anno 1669 erano in Varenna sei pescatori con la barca e cioè: Giovanni Pietro Scanagatta, Gioachino Campione, Giuseppe Forno, Guglielmo Aureggi, Nicolò Calvasina e Giovanni Battista Scanagatta; vi erano inoltre Giorgio Campione e Andrea Venino che pescavano con la canna.
Che nelle acque del lago di Varenna vi erano ogni sorta di pesce buono comprese le trote. Che la comunità era sempre stata padrona del dazio sulla pescagione affittandolo d’anno in anno mediante pubblico incanto, e che nell’anno 1669 era stato deliberato a Carlo Scotto per lire 36. Che i pescatori pagavano per detto dazio da soldi 20 a 25 per ogni barca all’anno. E infine che Carlo Scotto e Gioachino Campioni tenevano un vivaio di pesci.
Circa il regolamento sulle restrizioni nella pesca riproduciamo qui perchè se ne abbia un’idea, la grida del Tribunale di Provisione della città di Milano, sulla pesca nel ramo di Lecco, pubblicata il 26 gennaio 1617.
«Li persichi non si possono pescare da Pasqua di Resuretione fino a maggio, li tenconi non si possono pescare per tutto Gingnio fino a mezzo Luglio, li agoni non si possono pescare da Pasqua di Resuretione fino a S. Barnaba, gli antesini non si possono pescare da niun tempo nè medesimamemte quelli pesci piccoli chiamati stacchette sotto la pena di cento scudi d’oro e tratti tre di corda per la prima volta, per la seconda di due anni alla galera. Barbi e cavedini non si possono pescare per tutto il mese di maggio. Barburi sive carpani non si possono pescare per tutto il mese di Giugno e Luglio.
Li persici piccoli da due onze in giù, tutte le tenche carpani da tre onze inclusive iu giù non si possono pescare da niun tempo.
Comandano parimente che niuna persona ardisca di gettar pasta nè altra compositione nociva alli pesci. É curiosa questa dichiarazione a rogito di notaio rilasciata dal prete Giuseppe Scotto e relativa al modo di popolare il lago di pesci.
1610 addì 3 luglio. «Io prete Giuseppe Scotto capellano nella chiesa di S. Giorgio del borgo di Varena et habitante in detto borgo vicino al lago, dicto lago de Como. Per tenore della presente faccio piena fede a qualunque persona che sono più di cinquanta anni che habito in decto borgo et nella mia casa vicina al lago come sopra, et per il tempo passato mentre si pescavano ancora le reti d’acquedo in questo lago alli tempi delle freghe cioè quando li pesci erano piene d’ovi et di latte, avanti a detta mia casa più volte li pescatori li pescavano et prendevano quantità di pesci e specialmente de agoni et come li pescatori li avevano presi li cavavano le budella a detti agoni et poi li lavavan con le cavagne in detto lago, si che cascava et andava fuori in detto lago gran quantità di ovi et latte di essi pesci cioè in particolare delli agoni et nello spatio di sei overo otto giorni seguenti non si vedevano altro in detto lago che pescetti nasciuti in quei luoghi dov’erano levati come sopra, et di tanta abbondanza che nel pigliar l’acqua del lago se ne raccoglieva gran quantità, uno di poi che non si usano dette reti non ha visto questi effetti et per essere così la verità ho fatto scrivere la presente firmata da me per propria mano alla presenza dell’infrascritto nodaro»3
Da uno strumento del 19 ottobre 1063 apprendiamo qual’era il prezzo del pesce in quei tempi.
Dal giorno d’ognisanti a carnevale soldi 18 per una libbra di pesci compresi gli agoni, da quaresima sino a Pasqua soldi 24 la libbra, eccettuati i carpeni che si pagano soldi 28. Da Pasqua a Ognisanti soldi 14 la libbra per i pesci e gli agoni e soldi 15 per i carpeni.
Come appare da questo documento la pesca rappresentava un commercio attivo e proficuo. Da questo stesso atto firmato in Tondello appare che il monte di Varenna doveva essere ricco di frutteti, pur troppo ora scomparsi, poichè è detto che il signor Scotto «consegnerà al sig. Frigerio o ai suoi agenti la frutta da condurre a Milano dandone tutto quel prezzo che si pagherà alle banche del Verzaro di Milano, col patto che il signor Scotto debba farle condurre fino a Malgrate a sue spese»
Nell’anno 1606 Varenna pagava al fisco pei fitti dovuti alla R. Camera per la pescagione la somma di L. 300.
Con istrumento primo Agosto 1605 in rogito Martino Sambuco notaio di Como, Giuseppe Forno di Varenna del q. Nicolao vende a Don Ercole Sfondrati duca di monte Marciano figlio del q Barone Paolo una peschiera «nominatrice de piscina una appellata il Viverio cum suis accesibus et regressibus solitis muris circundata sita in territorio Varene ubi dicitur alli Vivarii prope molendinus Ughe, cui coheret ab una parte lacus ab alla flumen Ughe, ab alla Retri de Veninis de Flumine Laetis; et ab alla ripe communis.»
Note
- ↑ Il molo la di cui costruzione venne iniziata dal conte Don Giulio Monti «è longo braccia 53 in circa da farsi 60 — largo braccia 40 parte in asciutto e parte in acqua, li detto molo ciappa dal Vignolo della Vedova dove hanno adequato della calcina et anno tagliato una pianta di ciresa, alcune viti et le radici di piante di noci vicino alla toppa della calcina che morranno. Il muro del molo che è già fatto resta ancora tutto sotto l’acqua per la crescita del lago il quale va calando di giorno in giorno però piovendo tornerà a crescere. Ci sarà ancora sina a braccia 15 di lunghezza da fondare il detto molo che è la parte più profonda. Avvertendo che facendosi il detto molo è capace non solo per tenerci le gondole del detto conte, ma anco tre o quattro alltre barche.»
Dall’Archivio Serbelloni ora Crivelli. - ↑ Fra le ragioni portate dai Valsassinesi in favore della loro causa vi era anche le seguente: «perchè nelle rive di Oliveto appaiono vestigia di porto antico, onde viene denominato Molvedro» cioè molo vecchio.
I Varennesi in appoggio alle loro tesi citarono gli statuii di Varenna «che determinano i confini della Giurisdizione di detta comunità sul lago (posita ad saxum Oltii et ad ripam Albam) e proibiscono a qualunque forestiere di pescare in quel tratto se non dopo aver pagato il dazio prescritto».
A. S. M. Acque - Parte antica Laghi - Como b. 292. - ↑ A. S. M. Acque. Cartella 261.