Vae Victis/Parte terza/XXIV

XXIV

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XXIV.


Dopo la partenza di Miss Elliot la casa sembrò più che mai deserta e malinconica. Luisa stava per lo più chiusa in camera sua e Chérie non parlava mai. Già, con chi avrebbe parlato? E di che cosa avrebbe parlato se non del suo bambino?

Altre mamme — rifletteva Chérie con amarezza — parlavano tutto il giorno dei loro bambini; anch’ella avrebbe voluto parlarne. Ma chi le avrebbe dato ascolto?

A chi poteva essa raccontare tutte le meraviglie che andava scoprendo di giorno in giorno nella sua creatura? A chi dire che nei sogni il piccino sorrideva sempre? (E questo, tutti lo sanno, significa che gli angeli gli vengono a parlare!) A chi mostrare la fossetta nel mento, le fossette nei gomiti, i morbidi riccioli d’oro chiaro, i piedini rosati come petali di eglantina? Luisa stessa di tutte queste meraviglie non sapeva nulla, nè Chérie osava parlargliene. [p. 303 modifica]

No. Il silenzio — un silenzio profondo e crudele — era intorno a quella povera culla.

Per timore che il bambino disturbasse Luisa, Chérie aveva lasciato fin dai primi giorni la sua camera, e dormiva nella stanza degli ospiti accanto al salotto — quella stanza dalla portiera rossa che, strano a dirsi, pareva non ridestare in lei alcuna memoria.

Un giorno ch’ella vi sedeva malinconica, col suo bambino tra le braccia, Luisa — che non varcava quasi mai quella soglia — aprì l’uscio ed entrò.

Con un sorriso di gioia Chérie alzò il viso per darle il benvenuto, ma vedendo che Luisa distoglieva lo sguardo da lei e dal bambino dormente, non osò dir nulla.

«Vengo a dirti,» fece Luisa ad occhi bassi, «che questa sera verrà qui Mirella. Vado adesso da Madame Doré a prenderla.»

Chérie sussultò. «Mirella!... Mirella verrà qui?»

«Pensavi forse ch’io volessi lasciarla eternamente in casa d’estranei?»

Gli occhi di Luisa si riempirono di lacrime. «Ho sofferto già troppo della sua lontananza.»

«Oh, lo so.... lo capisco,» balbettò Chérie. «Ma... io — che cosa farò?» [p. 304 modifica]

«Che cosa vuoi fare?» chiese con infinita amarezza Luisa.

Chérie si chinò sul piccino. «Non so. Vorrei che ci potessimo nascondere, il bambino ed io; nascondere dove nessuno mai ci potesse trovare.»

Luisa non rispose. Sedette, volgendo altrove il capo, cercando di non essere spietata, lottando contro quel senso di feroce, implacabile rancore di cui ella stessa era la prima a soffrire.

«Mirella verrà qui!» ripetè Chérie sommessa. «E quando vedrà il bambino — che cosa dirà?»

Luisa alzò il capo con un singulto di selvaggio dolore. «Ah, non dirà nulla, povera Mirella! Non dirà nulla.»

No! No! qualunque cosa accadesse, Mirella — quel folletto un tempo così allegro e chiacchierino — non direbbe nulla. Vedrebbe Chérie con un bambino tra le braccia, e non direbbe nulla. Vedrebbe sua madre inginocchiata davanti a lei implorando una parola — e non direbbe nulla.

Vedrebbe tornare suo padre dalle trincee — ed ella resterebbe muta. O forse, egli non tornerebbe più, ed alla notizia della sua morte ella non schiuderebbe il labbro.

Quest’altro bambino, questo intruso, questo [p. 305 modifica]essere aborrito e funesto, crescerebbe allegro e sano, imparerebbe a parlare, imparerebbe il riso ed il sorriso; chiamerebbe Chérie col dolcissimo nome che a Luisa nessuno direbbe mai più. Mentre Mirella....

Chérie si era alzata col piccino in braccio. Trepida venne a inginocchiarsi ai piedi della cognata.

«Luisa! Luisa!... Non puoi amarci un poco? Non puoi perdonarci? Che cosa ti abbiamo fatto, Luisa? Che cosa ti ha fatto di male questo povero piccolo essere, perchè tu debba odiarlo così? Non è per me, vedi, non è per me che imploro la tua pietà, il tuo affetto. Io posso vivere disprezzata e odiata, perchè so... perchè capisco.... Ma per lui t’imploro, per lui! che entra nella vita credendo di essere come tutti gli altri bambini, credendo che tutti l’ameranno... Ah, per lui ti supplico, t’imploro — una parola di tenerezza, Luisa, una parola di benedizione!»

Aveva afferrato con mano tremante l’orlo della veste di Luisa, e si chinava a baciarlo piangendo. «Luisa, se tu mettessi la mano sulla sua fronte e dicessi: «Iddio ti benedica!» credo che io ne morrei di felicità. Non puoi dirle, Luisa, queste tre parole che tutti dicono, anche ai [p. 306 modifica]più poveri, anche ai più reietti? «Iddio ti benedica!...» Che cosa ti costa? Questa piccola preghiera, la più breve di tutte — dilla, dilla per lui!»

Silenzio. Luisa non si mosse.

«Luisa,» singhiozzò disperata Chérie. «Pensa, pensa ai giorni di dolore che verranno per me e per lui. E non vuoi fargli un augurio? Non vuoi che Dio lo salvi e benedica?... Ah, Luisa, è troppo triste, è troppo crudele che nessuno, nessuno abbia mai invocato una benedizione sopra un bambino così derelitto e disgraziato!»

Gli occhi di Luisa si soffusero di pianto. Chinò lo sguardo sul tenero viso del piccino — e trasalì. Aveva incontrato lo sguardo strano di quegli occhi chiarissimi fissi nei suoi.

Erano occhi crudeli. Erano gli stessi occhi che l’avevano fissata beffardi e canzonatori dal fondo della stanza, quand’ella a ginocchi davanti all’oppressore implorava pietà. Sì; nel momento supremo in cui le sue preghiere e quelle di Mirella parevano aver commosso il cuore del nemico — quegli occhi, quegli stessi strani occhi grigio-chiari che ora vedeva aperti nel piccolo volto di fiore, avevano lampeggiato su lei freddi, ironici, spietati....

.... «Il suggello della Germania deve essere impresso sul paese nemico....» [p. 307 modifica]

Erano quegli occhi che avevano pronunciato la sua condanna.

«Non posso, non posso benedirlo,» singhiozzò Luisa. E distolse il viso.