Un romanzo/XXVII
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XXVII.
In casa della signora Chiara la vita scorreva placidissima e serena fra le gioje tranquille dell’amicizia.
Giulia scendeva sovente e rallegrava colla sua gioventù la solitudine dei due fratelli.
Pompeo si era umanizzato — poco è vero — ma sorrideva qualche volta e — al dire di sua sorella — aveva l’occhio più vivo.
La signora Chiara osservava appunto questi miglioramenti, una mattina, mentre l’avvocato leggeva accanto alla finestra il giornale quotidiano — ed ella, con una foglia di insalata fra due dita rinnovava la provvigione de’ suoi canerini.
— Pompeo, tu stai bene?
— Ma sto sempre bene, cara.
— Ora più del solito, mi pare.
— Ebbene, sarai contenta.
— Sì, sono contenta, ma vorrei essere sicura che è un vero miglioramento; potrebbe dipendere da uno stato di esaltazione momentanea....
La buona donna parlava a caso, tuttavia il giovane arrossì.
Improvvisamente diede un grido, il foglio gli cadde di mano e cadde egli stesso con tutti i sintomi del deliquio che lo aveva côlto due anni prima.... se il lettore si ricorda.
Figurarsi la signora Chiara!
Fece un balzo che mandò a gambe levate tutti i canerini e precipitandosi sul fratello non potè tenersi dall’esclamare:
— Ah! ch’io lo sapevo — quel miglioramento non era naturale!
Pompeo fu trascinato sul suo letto; faccio grazia dei particolari che ognuno potrà indovinare da sè pensando alla disperazione della signora Chiara.
Fasciato, strofinato, coperto di lana, imbevuto d’aceto, con una tazza di camomilla a fianco, lo si lasciò finalmente solo — avendone egli manifestato recisamente il desiderio.
Allora la signora Chiara mandò di sopra la servetta per vedere se Giulia era in casa e se poteva scendere un momento.
La buona donna scoppiava a non aver qualcuno da potersi sfogare — frattanto il caso, che regola da tanti secoli questo vecchio mondo, le preparò un altro soggetto di ansie e di timori.
Nel ritornare in sala, proprio al posto dove Pompeo era caduto ella vide in terra, sul tappeto, una piccola chiave frastagliata, di forma bizzarra a lei perfettamente ignota.
Senza alcun dubbio quella chiave era uscita dalle tasche di Pompeo; ma la signora Chiara si piccava di conoscere tutte le chiavi di suo fratello — e poteva crederselo in buona fede, poichè aveva la costante abitudine di frugare nei di lui tiretti.
Cos’era dunque quella chiave? di quali interessanti misteri era guardiana? e perchè Pompeo la teneva nascosta? Essa forse racchiudeva l’enigma de’ suoi cupi silenzi, della sua vita malinconica. La signora Chiara che da due anni ne cercava la soluzione, credette a un intervento della provvidenza e invece di restituire la chiave se la celò guardinga fra l’abito e il busto.
Giulia, cui la servetta aveva raccontato lo svenimento del padrone, accorse tutta turbata, ma si calmò vedendo la sua amica tranquilla — e diffatti, pel momento, la signora Chiara pensava più al segreto di suo fratello che al suo deliquio.
— Come è stata? domandò Giulia.
— Lo so io! — leggeva il giornale....
— Allora qualche cattiva notizia....
La signora Chiara si battè la fronte come se una luce improvvisa l’avesse illuminata. — L’idea era semplicissima, ma proprio non vi aveva riflettuto prima.
Prese il giornale, ma nella smania che l’invadeva le parole le danzavano davanti agli occhi — non riusciva a decifrare nulla.
— Veda lei, mi faccia questo favore — disse porgendolo a Giulia.
Giulia lesse:
— Rivista Politica — qui non vi sarà nulla.
— Passi.
— Una questione importante: il macello degli animali bovini, ovini e suini.
— Avanti, avanti.
— Corrispondenza particolare del Montenegro.
— Mio fratello non si occupa di seta, nòdi bachi, nè dell’indipendenza ellenica. Tiri via.
— Una lettera di Garibaldi.
— Egli è monarchico.
— Cronaca cittadina.
— Sentiamo un po’.
— Oggi, in uno dei nostri principali alberghi, si raduneranno in fratellevole banchetto i rappresentanti della società dei conciapelli, presieduta....
La signora Chiara fece un movimento di impazienza. Giulia riprese:
— Furti, arresti, fatto orribile.
— Dica, dica.
— Ieri sera, verso le dieci e mezzo, due carabinieri attirati da uno sparo di revolver nella via dei *** e precisamente entro il viottolo su cui gira l’angolo del palazzo *** trovarono due persone giacenti in un lago di sangue. Uno respirava ancora e fu trasportato nel vicino palazzo dove la contessa Réa *** con un sentimento di filantropia che altamente l’onora prodigò al ferito le più squisite cure — nondimeno spirò quasi subito. Fu riconosciuto per il signor Roberto *** pittore. Oh mio Dio! fece Giulia diventando pallida.
— È quel pittore suo amico?
— Precisamente. Povero Roberto!
— Ma l’altro?
— Vediamo, non è finito.
— L’altra persona che fu raccolta freddo cadavere svelò nei lineamenti perfettissimi del volto che la morte aveva rispettato una nota celebrità del nostro mondo elegante, il signor Olimpio ***.
Giulia non potè finire — un tremito nervoso le serrò le parole in gola e rimase impietrita cogli occhi sul foglio.
Quello fu un gran giorno per la signora Chiara!
Le emozioni si succedevano e l’ultima cancellava le prime.
L’aceto, la camomilla, i pannicelli caldi tornarono in ballo.
La condotta di Olimpio aveva disgustata profondamente la sua giovane sposa, ma un marito è sempre marito e quell’improvviso annuncio d’una morte tragica la ferì nel vivo del cuore. Si sentì mancare il fragile anello che la congiungeva alla società e gettassi piangendo nelle braccia della signora Chiara, persuasa che nessuna felicità l’aspettava più a questo mondo.
E la signora Chiara a consolarla, a tergere quelle lagrime, a dirle che alla fin fine suo marito — buon’anima — non le aveva dato che dispiaceri e forse il Signore sapeva lui quello che faceva togliendolo di vita.
— Non si affligga a quel modo — se è la prospettiva di rimanere sola che le dà pensiero, coraggio, ci faremo compagnia; sarà come della famiglia. Va bene? È contenta? Lo dirò a Pompeo e Pompeo dividerà il mio consiglio. Ella non ha parenti e noi saremo i suoi parenti — ma a proposito, l’ho vista tanto bambina che vorrei mi permettesse di darle del tu. Eh! che ne dice? Ci sembrerà di essere sorelle.
Come resistere a quello sfogo di affezione sincera e di schietta cordialità?
La giovane vedovella riabbracciò l’ottima signora Chiara e baciandola con trasporto:
— Sì, sì, mi dia del tu. Mi farà bene.
— Ma anche te allora! Non voglio differenze. Posso esserti madre e come tale ti ordino di imitarmi.
— Mia buona Chiara! esclamò Giulia cui in mezzo alle lagrime spuntava un sorriso.
Pompeo che non sapeva nulla di questa scena e che nell’isolamento della sua camera si era ricomposto, venne a mutare il duetto in terzetto. Non negò che anche a lui l’impensata notizia aveva fatto molto effetto.
— È tanto sensibile! interruppe la signora Chiara.
— Ma mi trovavo già poco disposto.
— Al contrario, avevi detto che stavi così bene!
Pompeo si morse le labbra e capì che non era tanto facile ingannare quell’Argo — ma anche lui non era per nulla avvocato e ripiegò con un cavillo.
— Moralmente, mia cara, moralmente.... Conviene distinguere.
Il suo segreto! pensò la signora Chiara — e dopo ch’egli fu partito e Giulia risalita nella sua cameretta non potè tenersi dall’incominciare un viaggio di ispezione che doveva condurla alla scoperta di questo benedetto segreto.