Un nuovo grosso inedito di Gio. Antonio Falletti
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- Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1897
Mentre per ogni canto d’Italia corre un fremito di gioia, all’annunzio desiderato delle prossime nozze di S. A. R. il Principe di Napoli, io, altero di Suo benigno assentimento, con animo ossequioso e riconoscente, mi permetto di dare notizia di un nuovo e preziosissimo cimelio numismatico, che recentemente è entrato a far parte della splendida raccolta di monete italiane che S. A. coltiva ed accresce, con squisito discernimento e con intelletto di amore. Sono pochi anni che l’Augusto Principe di Sua iniziativa, e con quel diletto che negli animi gentili destano le patrie memorie, va riunendo una collezione di monete, la quale già è addivenuta assai numerosa, e racchiude pezze di gran pregio in ogni metallo, fra le quali non poche rarissime e talune eziandio uniche.
In queste ultime va compreso il grosso di cui imprendo la illustrazione. Proviene dalla vendita Durazzo, tenuta a Genova nello scorso maggio, nel cui catalogo era classificato sotto Bologna, con questa avvertenza: " Inedita. Sono della massima persuasione che questa moneta non è coniata a Bologna; dovendo per altro catalogarla, l’ho inserita in questa zecca, lasciando allo studioso acquirente la soddisfazione di studiarla e pubblicarla precisamente „.
Godo pertanto di poter costatare che questo grosso è senza dubbio della zecca di Benevello2.
Prima che il comm. Vincenzo Promis, in una nota comunicata all’Accademia delle Scienze di Torino, nel novembre del ’88, segnalasse due monete di Gio. Antonio Falletti3, conte di Benevello, questo piccolo feudo era del tutto sconosciuto nella numismatica italiana. Le due monete, allora prodotte ed illustrate, uno uno scudo d’oro noto solamente dalle antiche tariffe, al tipo dell’aquila bicipite e della croce; e un grosso, nel medagliere di S. M. in Torino, coll’aquila medesima e uno stemma alla banda scaccata di tre tiri. Nelle leggende, che si completano a vicenda, il lemma di onore Carolus Imp: ovvero Karolus Romanor. Imperat, con le note nominali del signore o feudatario Jo: Anto: Fa: Comes: Bene: 1537.
Riproduco dalla detta memoria il grosso di argento:
Il ch. autore nell’erudita monografia concludeva che tali monete erano state battute forse in Germania, ad imitazione di simiglianti pezze tedesche, italiane e svizzere, dal conte di Benevello Gio. Antonio Falletti, per privilegio o in onore di Carlo V, nel cui esercito aveva comandato un reggimento di fanti italiani. E questi fu il primo e l’ultimo conte di Benevello, tra il 1520 e il 1550, e durò finche Carlo V non gli tolse la contea, insieme con la signoria di Mombarcaro, per investirne un tale D. Alvaro di Sanchez spagnolo, in pena dell’avere il Falletti abbandonato il servizio imperiale per rivolgersi alla Francia.
La terza moneta, che ora viene alla luce, è pure del Falletti, ma di tipo e leggenda totalmente vari dalle precedenti, sebbene sia senza dubbio ad esse contemporanea.
È parimenti un grosso di argento: ha nel diritto un santo vescovo vestito di casula, reggente con la sinistra una lunga croce astata e con la destra le chiavi, in alto l’armetta de’ Falletti4, in giro
S · PETRVS · BE · C (comes)
nel rovescio un cavaliere con la spada in resta, nel giro
CAROL · IMPERAT
in alto l’aquiletta bicipite.
Il nome di Carlo V, l’aquila imperiale, l’armetta e le iniziali BE · C non permettono dubbiezza alcuna intorno all’attribuzione del grosso al Falletti per Benevello. Anzi possiamo aggiungere due nuovi indizi tolti dalle figure rappresentanti san Pietro in vincoli, già assunto a patrono del Comune; e san Secondo martire, a cavallo, titolo della chiesa parrocchiale.
Ma la singolarità che accresce gran pregio alla moneta si è quella di presentare una tecnica affatto italiana e l’avvicinarsi al tipo dell’agontano, tanto da farne credere una imitazione fedelissima.
È noto che Ancona, antica città marittima e commerciale, coniava sua moneta già nel secolo XIV, e volendo emulare il credito, che nelle contrattazioni riscuoteva il matapane di Venezia, ne imitò il taglio, migliorandone il valore5. Le zecche marchigiane vicine, vista la buona prova, ne seguirono l’esempio, e l’agontano o ancontano divenne moneta conosciuta e ben ricevuta, come già quella di Ravenna, Lucca e Pavia.
Nell’epoca in cui battè sua moneta il Falletti per il feudo di Benevello, il grosso di Ancona presentavasi artisticamente elegante, trovandosi, in quel tempo, a modellare nelle officine romane i celebri incisori e zecchieri i Migliori fiorentini.
Il Bellini, nella diss. II, pag, 7 e 8, riporta due esemplari di tal grosso: io do la incisione di altro presso di me, il quale a prima vista manifesta tutta la rassomiglianza di cui ho fatto cenno.
Il santo (san Pietro o san Ciriaco), in ambedue le pezze, ha le medesime vesti, lo stesso atteggiamento, la identica croce astata terminata a palline, la mitra, l’aureola, tutto perfettamente somigliante. Il cavaliere, andante di galoppo a sinistra, impugna la spada con la destra in alto, pronto a colpire: e qui pure l’andatura del cavallo, la posa e le vesti del cavaliere hanno corrispondenza talmente perfetta, da far supporre che l’impronta sia stata fatta con uno stesso punzone.
Una variante è stata necessariamente introdotta, sostituendo nel grosso di Benevello l’aquiletta bicipite alle chiavi decussate dell’anconitano; ma anche questa modificazione è talmente riuscita da potersene appena rilevare la differenza.
E bene scelse il Falletti la imitazione del grosso di Ancona, anche per la ragione che il tipo del cavaliere, sebbene in movenze non del tutto a questa simili, si trovava fin da que’ tempi nelle monete di Milano, di Saluzzo, di Lavagna e di Monferrato.
Due questioni tuttavia lasciò impregiudicate il Promis: quale, cioè, fosse stata l’officina produttrice, se italiana od estera; e se la coniazione fosse legale ovvero abusiva e contraffatta.
Con la osservazione della nuova moneta mi sembra potersi rischiarare l’uno e l’altro dubbio, affermando essere la zecca italiana e la moneta legale, quantunque di tipo imitato, ma non falsificato.
In fatti la nazionalità della zecca apparisce dai tipi scolpiti, il santo e il cavaliere. Il santo vescovo, effigiato come nel grosso di Benevello, lo troviamo, oltre Ancona, a Rimini, Bologna, Reggio, Camerino, Arezzo e Volterra. Del cavaliere accennammo più sopra, come fosse tipo prediletto da molte zecche dell’alta Italia. Si manifesta altresì per l’arte, per il disegno, per la semplicità dei contorni, senza centinature e perline, e per la correttezza delle lettere.
Escludo finalmente nel Falletti lo scopo di contraffare e falsificare: chi vuole frodare lo Stato con coni adulterati non vi spaccia sopra il suo nome e titolo e l’arma patente; ma stampa leggende anomale, o equivoche, o mancanti, a fine di non essere scoperto e sottoposto alle leggi severe dei falsari. Di più, il Falletti si sarebbe fatto reo d’ingratitudine verso il suo protettore Carlo V, e ciò ripugna per fermo al carattere leale di un condottiero d’armi.
Riepilogando: la esistenza di una zecca a Benevello è omai accertata, sebbene abbia lavorato per breve tempo; e questo feudo col suo signore Falletti, che fin qui timidamente erano comparsi nella Bibliografia dei sigg. fratelli Gnecchi6 e nel Manuale dell’Ambrosoli7, hanno diritto al loro posto definitivo nei nostri cataloghi e nelle serie di monete italiane.
Roma, Agosto 1896.
Note
- ↑ Pubblicato nello scorso settembre 1896 in occasione delle Nozze di S. A. R. il Principe di Napoli. (N. d. D.).
- ↑ Benevello, capoluogo di mandamento, circondario e diocesi di Alba, provincia di Cuneo.
- ↑ La memoria del Promis fu stampata a parte (E. Loescher, Torino, in-8, di pag. 9) e nel frontispizio incorse l’errore di scrivere Gio. Battista, invece di Gio. Antonio Falletti: quest’equivoco fu pur ripetuto da altri.
- ↑ I conti Falletti di Villafalletta portano anche oggi d’azzurro, alla banda scaccata di oro e di rosso di tre file: cimiero, un’aquila di nero coronata dello stesso. (V. Calendario d’oro, 1896, pag. 216).
- ↑ Tonini, Period. di Numis. e Sfrag., anno II, pag. 203.
- ↑ Milano, 1889. Suppl., III, pag. 457.
- ↑ Milano, Hoepli, 1891, pag. 117.