Trionfi di donna/Il trionfo delle rose
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- IL TRIONFO
- DELLE ROSE.
Il trionfo di Mimì che amava tanto le rose, è nella sua umiltà fra i più gloriosi di cui io abbia ricordanza.
Come eravate magra! Tutta occhi, tutta capelli, tutta tristizia, tutta bei denti bianchi! Diafana e preziosa anche allora come una perla!
Il mio amore per voi fu una di quelle febbri acute dei vent’anni che non si dimenticano più!
La colpa di questo innamoramento, oltre che dell’età, fu un po’ di Giovanni Boccacci dove ragiona della rara bellezza delle donne Bolognesi e un po’ di Olindo Guerrini che aveva spiegato in un suo fresco idillio il gran mistero de’
verso che pareva fatto con speciale deferenza verso di voi.
Comunque, o Giovanni Boccacci o Olindo Guerrini, la verità è che io mi innamorai di voi in così pazzo modo che se voi m’aveste assicurato di essere la Venere di Milo, Giovanna d’Arco, Isotta, Aspasia, Maria Vergine, vi avrei creduto senz’altro su la parola.
In qualche libro francese avevate imparato a bere l’assenzio: e voi lo insegnaste a bere a me.
Non dirò che io ci provassi una speciale soddisfazione a sentirmi bruciare lo stomaco, ma voi dicevate che era molto piacevole e nobile cosa bere e intossicarsi con l’assenzio, ed io figuratevi! bevevo.
Macchè! Voi non dicevate di essere nè Venere, nè Aspasia, nè Giovanna; ma semplicemente la povera Mimì, cioè una piccola gracile creatura dicevate voi di essere, destinata fra poco a morire etica. Etica! Una cosa deliziosa; morire etica a vent’un anno (allora, scusate, avevate due anni più di me)! Anzi questa vostra carriera dell’etisia vi commoveva tanto che componeste persino uno stornello:
- fiorin di rosa,
- me lo prometti, di’ me lo prometti
- di portarmi dei fiori alla Certosa?
Allora, cioè più che tre lustri or sono, non era alla cognizione publica nessuna cura sieroterapeutica contro la tubercolosi: i sanatori non erano di moda e perciò gli etici, compresa Mimì, erano destinati a morte lenta ma sicura, ed agli amanti non restava che di piangere amaramente la perduta compagna. Pianto nel cuore se non pianto su gli occhi mi germogliava vedendo (andavamo lenti, soli, obliosi dell’ora) sotto il colle fiorito di S. Luca, biancheggiare la Certosa, la città dei morti! Lì i vostri bei piedini sarebbero rimasti immobili! Oh, mi aveste comandato di morire per voi! mi aveste comandato di farvi sposa all’altare prima del sopraggiungere della morte! Certo se così aveste comandato, io vi avrei risposto, come già Lancilotto alla regina Ginevra: «Gran mercè, dama!»
No! Voi non domandavate così grandi sacrifici nè tanta prova d’amore eroico: per il presente non domandavate che qualche umile colazione nelle trattorie suburbane dove le sottili, patrie tagliatelle pasticciate scomparivano sorbite a pena da’ bei labbri a cuore di molle corallo; e per l’avvenire molte, molte rose per la vostra prossima tomba in cimitero. Voi mi tessevate frattanto tutta la mia futura vita; felice, ricca, lunga! Non mi invidiavate, non ne eravate gelosa purchè mi fossi ricordato del vostro stornello e della funerea promessa delle rose.
***
Ebbene no, piccola Mimì! voi non siete morta etica nè in altro modo. O non avete voluto o non avete potuto.
Me ne duole per le rose e pe’ fiori, e ne godo per voi.
Io da quel tempo — e ne son passati degli anni — ho avuto tante cose da fare che ho dimenticato le rose, i piedini così ben calzati, gli stornelli, la tisi, l’assenzio (quello ne’ calici, si intende, giacchè dell’altro assenzio ne ho bevuto sino all’intossicazione) e avrei dimenticato anche voi se voi non aveste pensato a far noto il vostro nome. Esso dopo alcun tempo mi è corso sott’occhio in qualche manifesto di commedia: un posto umile, ma comunque una posizione sociale ben determinata, cosa che non accade a tutti e specialmente alle donne. Ma, benchè mutate in meglio le sorti e datavi alla nobile arte del recitare, siete rimasta fedele alle vostre antiche abitudini; alle tagliatelle in ispecie.
Il cameriere del caffè X*** quando, o cara errante, ritornate in Bologna dopo qualche peregrinazione artistica, presenta a voi, che sedete placida fra i vostri compagni e compagne in guitterìa — di cui quivi è gran ritrovo — il piattellino delle tagliatelle raccomandate invece delle rose su la tomba. Capisco, era più igienico e nutriente. Avete fatto bene, piccola Mimì, a preferire le tagliatelle. Ciò vi ha conservato. Voi siete rimasta la stessa: magrolina, picciolina, palliduccia, co’ begli occhi tondi neri e i bei denti bianchi.
La morte per etisia non ne ha voluto sapere di voi. Il tempo vi ha sfiorato a pena col piumino della cipria. Capelli bianchi? No! col piumino della cipria che vi dà la parvenza e il profumo delicato d’un mazzolino di violette, un po’ languide. La tisi è stata interamente fugata. E avete fatto bene. Finchè la tisi era una malattia per così dire ideale, immateriale, si poteva anche essere etici favorevolmente: ma dacchè la tisi si mutò in concreti orribili bacilli o vermiciattoli, notoriamente infettivi, voi avete dato prova di senno a non volerne più sapere.
Il signor Koch, co’ suoi bactèri omonimi, ha contribuito a sconfiggere le ultime trincee del romanticismo elegiaco più di ogni violenta diatriba filosofica.
Con la vostra compagnia guittesca attorno ad un felice istrione, vi siete spinta sino a Parigi, cara Mimì, e in quella città dalle bellezze famose e trionfali, voi avete ottenuto un successo, e non di stima soltanto: ciò vi fa onore. Siete tornata in patria, fedele bensì alle natie tagliatelle ed ai piacevoli conversari del Caffè X***, ma, senza volerlo, la vostra abituale modestia ha subìto alcuna variazione di tenue e pretensiosa dignità.
Piccola cosa che non vi nuoce punto, anzi vi torna a ben meritata lode. Parigi vi ha convertita all’ultimo stile: prima erano timidi, vaghi accenni, ma ora è sinfonia spiegata e piena. Oggi la vostra conversione all’ultimo stile è completa. Siete florealmente stilizzata, piccola Mimì, e non vi disconviene.
Ai miei tempi, quando fiorivano le violette sul colle di S. Luca o quando venivate meco a S. Giovanni in Monte
- a sentir la tromba
- sonar la ritirata
voi non portavate che un anello al dito medio, fatto di un vile chiodo di nero ferro ritorto. Allora usava così. Oggi le vostre dita sono nascoste sotto una fila di anelli e di pietre di vario colore, splendore e valore: avete imparato un fare languido, calmo (ricordate un tempo come eravate nervosa e stramba?) e signorile: la vostra piccola figurina si innalza sopra la liliale foggia di una gran gonna a strascico; e i vostri magnifici turbolenti capelli neri si sono acconciati a quella composta pettinatura che è detta verginale e che le gran mondane hanno, con molto acuto senso di contrasto erotico, adottata.
Che più? Il buon genio che ha presieduto alla vostra vita, vi ha concesso tanto di giovinezza dello spirito oltre che delle forme da prendere sul serio tutti i non forse, tutti i luminosi vocaboli che oggi sono di moda. Oggi anche voi parlate raro con atti soavi.
Ma nel segreto del vostro cuore credetelo, piccola Mimì, senza avervene a male, voi siete rimasta sempre quella buona e piacevole figliuola che eravate prima, fedele in segreto alle vostre antiche abitudini e specialmente alle tagliatelle pasticciate ed ai ciccioli caldi.
Cotesta cura, aiutata da uno stomaco eccellente, è stata sovrana contro le rughe ed è valsa quanto il migliore cold-cream.
Io non so se ancora abbiate la melanconia di comporre versi, ma oserei scommettere che vi permettete ancora il lusso di innamorare di voi qualche imberbe ed ingenuo giovanetto a cui mormorate ancora, chi sa, forse sul serio e ben persuasa voi stessa:
- fiorin di rosa,
- me lo prometti, di’ me lo prometti
- di portarmi dei fiori alla Certosa?
Giacchè la morte, anche se non di tisi, è pur sempre un’ottima droga nella confezione dei colloqui d’amore!
Innocente e cara menzogna alla fin fine; e se sul vostro passivo non avete altre colpe, Iddio si ricorderà benevolmente di voi quando vi dovrà giudicare.
Nè credo proprio che abbiate altre colpe gravi! Avete violato la fede giurata? Avete fatto saltare le cervella agli amanti? Avete distrutto patrimoni? Avete tentato di impiccare alcuno con astuzie e pretese di matrimonio? No, nulla di tutto questo e sì che lo potevate, anzi da onesta e buona figliuola avete, per quello che io ho di memoria, sempre consigliato agli amici di andare ad impiccarsi altrove.
Un gaio genio ha presieduto alla vostra vita e Iddio avrà molti riguardi per voi come ne hanno tutti quelli che vi conoscono.
Non rabbrividite! Se quel giorno è inevitabile, se la morte che così di sovente invocaste, è fatale — essa è pur molto lontana da voi: essa vi lascierà ancora tanto di giovinezza che dopo lo stile floreale, sopravenendo un nuovo stile, voi ne possiate assumere le parvenze e il costume.
E infine?
Infine non mi meraviglierei che mi capitasse un bel giorno il vostro avviso di nozze e che voi direste agli amici e alle amiche: «Ora basta. Bisogna che mi metta proprio sul serio!»