Tre monete inedite di Carlo III di Durazzo
Questo testo è completo, ma ancora da rileggere. |
TRE MONETE INEDITE
DI CARLO III DI DURAZZO1
Fu ritenuto, sino a poco tempo fa, che la Zecca napoletana fosse rimasta inoperosa durante il regno di Carlo III di Durazzo. Il Lazari, nella sua pregevole monografia: Zecche e monete degli Abruzzi, discorrendo de’bolognini coniati a Sulmona da Carlo III, osservava che non doveva recar meraviglia che, nell’agitato e breve governo di quel monarca, fosse rimasta inoperosa la Zecca napoletana, poiché, ai giorni di Carlo II e di Roberto, ne era uscita una "favolosa„ quantità di gigliati e di robertini2. Ma non tardò guari, e il Carpentin3 pubblicò un denaretto di Carlo III4, acquistato dal Museo di Marsiglia, denaro che il Promis riportò nelle sue tavole sinottiche, e giustamente attribuì alla Zecca di Napoli. Sbagliò però nel dirlo d’argento, mentre, come tutti i denari coniati in quel torno, nel Napoletano, è desso di biglione, ossia di rame ed argento. La lega de’ denarelli napoletani vien determinata in alcune commissioni alla Zecca di Roberto5, di Giovanna I6, e di Ladislao7, a ragione di 17 sterlini di argento per ogni libbra di denari.
Dalla pubblicazione di quel danaro sino ad oggi, non si ebbe altra notizia sulle monete di Carlo III, né, ch’io sappia, si trovò altro esemplare del prezioso denaretto del Museo di Marsiglia. Posseggo, invece, un denaro, diverso da quello edito dal Carpentin, che, sul dritto, ha la regia corona, simile molto ad alcuni oboletti provenzali di Carlo I e Carlo II8.
Pareva probabile che Carlo III si fosse contentato di questa monetina, necessaria per il minuto commercio del Reame, ed avvalorava questa supposizione la ragione economica, accennata dal Lazari, cioè l’abbondanza straordinaria dei gigliati di Carlo II e dei roberini del suo successore, per cui non sentivasi verun bisogno di ulteriori emissioni di argento. Di tanta abbondanza di moneta d’argento, si ha continuamente menzione nei documenti del tempo, e ricorderò un ordine dato alla Zecca napoletana, nel 13269, in cui è detto, che si aggiungono parecchi operai a quelli che già lavoravano in quella officina, a cagione del continuo ed assai considerevole aumento delle emissioni di argento. E queste abbondanti e frequenti emissioni, durante i regni dì Carlo II e di Roberto, erano dovute, in parte, agli ingenti pagamenti che dovettero fare quei sovrani; Carlo per il suo riscatto e per la guerra di Sicilia10; e Roberto per la stessa guerra e per la lotta cogli imperatori Errico VII e Lodovico il Bavaro. Ed ancor più erano dovute alla continua richiesta che si faceva della nostra moneta di argento, in sui mercati di Oriente ed anche in parecchi stati d’Europa. Davano mano a questo traffico i banchieri e gli speculatori fiorentini che, venuti a capo del movimento finanziario del Reame, tenevano l’appalto delle Zecche e ne traevano, a detrimento del paese, ingenti e ben spesso disonesti guadagni11. Ma le contraffazioni ed imitazioni fatte in Oriente o in Francia12, l’abbondanza di tal moneta in Oriente, oltre la crescente richiesta di altre specie monetali, fecero sì che cominciò a venir meno la necessità di così numerose emissioni, e che, nel napoletano, quasi d’un tratto, rimase maggior copia di carlini di quanta ne fosse veramente necessaria al commercio. Da ciò risulta che non v’era necessità alcuna, nè per Giovanna, nè per Carlo III, di coniare altri gigliati; ma, sebbene non tornasse conto per ragioni economiche, ben potevasi, per ambizione e per fasto di governo, dar mano al conio di monete d’argento.
Così avvenne difatti, poichè Giovanna I, che, al principio del regno, non aveva coniato altro che denaretti di lega, in occasione però del matrimonio con Lodovico di Taranto13, per vanità di segnare sul massimo valsente il nome suo e dello sposo, ordinò l’emissione di pochi carlini, di cui una quindicina appena si conoscono oggi ne’ Musei e nelle private collezioni14 e Carlo III, sin dall’inizio del suo governo, coniò gigliati o robertini.
Son pochi giorni che, per la prima volta, è apparso questo gigliato di Carlo III, avendone io trovato due esemplari in un gruzzolo di quasi 200 robertini, rinvenuto nelle vicinanze di Napoli.
Nei registri di Carlo III, ho visto due documenti che riguardano la Zecca. Il primo è del 138215, e con esso si nomina il maestro di prova per i metalli nella Zecca di Napoli. Questo ufficio è affidato a maestro Antonio de Raymondo16.
L’altro documento è del 6 aprile 1383. Vi si ripetono due ordinanze di Roberto, del 1321 e del 1326, colle quali si confermano i privilegi accordati dall’imperatore Federico II agli zecchieri di Brindisi e di Messina e, successivamente, dagli altri sovrani, a quei di Napoli. Vi si dà l’elenco degli uffiziali della Zecca napoletana, che lavoravano nel 1321 e di quelli aggiunti nel 1326, a cagione delle aumentate emissioni di gigliati; e in ultimo v’è l’elenco degli artisti ed operai della Zecca napoletana, che lavoravano nel 1383. Vi troviamo il nome dell’artista che incise i conii, maestro Ignazio Vespulo de Pino e quello del direttore della Zecca, maestro Turino Birorelli.
Nel descrivere le inedite monete di Carlo III, venute recentemente a luce, credo far cosa utile nel ricordare i tipi già conosciuti, perchè non è facile procurarsi i periodici e le monografie dove sono disseminate le notizie sulla moneta durazzesca.
NAPOLI
1. Gigliato.
- D/ - +KAROLV • TЄRtIuS DЄI GRA • IЄRL • Є • SICIL • RЄX. Il Re seduto in trono con scettro e globo crocigero.
- R/ - + hONOR • RЄGIS • IVDICIV • DILIGIT. Croce gigliata (inedito).
Arg., peso gr. 3,7017. Coll. Sambon.
2. Altro esemplare pure d’argento con KAROL • TЄRTI • DЄI GRA • ecc. inedito.
3. Denaro.
- D/ - + KAROL TЄRCIVS DЄI GRA. Tre gigli sormontati dal rastrello.
- R/ - + IЄRVSALЄM SICIL • RЄX. Croce di Gerusalemme.
Lega (pubblicato dal Carpentin. Rev. Num., 1860), peso gr. 0,7018.
Museo di Marsiglia.
4. D/ – + KAROL • TЄRCIVS DЄI GRA. Corona sormontata da tre gigli.
- R/ - + IЄRVSALEM SICIL REX. Croce di Gerusalemme.
Lega, peso gr. 0,60. Coll. Sambon.
5. D/ — Nell’area: K sormontato da corona. Attorno: + AROLV TERCIVS RЄX.
- R/ – IЄRVSAL ЄT SICILIЄ. Croce.
Museo Naz. di Napoli.
Questi conii furono eseguiti da maestro Ligorio Vespulo. A quell’epoca, come già sin dal regno di Roberto, il denaro corrispondeva alla sesta parte del grano e quindi i denarelli di Carlo III spendevansi a ragione di 60 per carlino e 120 per tari. Andarono poi rapidamente diminuendo di valore e di lega, e, durante il regno di Alfonso I, la lega fu ridotta a 12 sterlini invece di 17 per libbra, e per ogni tari se ne davano 240 invece di 120.
SULMONA.
6. Bolognino.
- D/ — † * R * KROLVS * T * Nel centro le sigle * S * M * P * Є disposte a croce.
- R/ – * S. PЄTRVS * P. Busto di S. Pier Celestino. Arg.
Questa moneta fu pubblicata per la prima volta dal Vergara e quindi riportata dal Lazari. Aggiungo le seguenti varietà:
7. Bolognino.
Le lettere S • M • P • Є sono raggruppate attorno ad una M, probabilmente l’iniziale del nome dell’incisore del conio e si può pensare ad un Masius di Sulmona19 valente orafo e cesellatore, che lavorò verso la fine del XIV secolo.
8. Bolognino.
- D/ – † REX • KROLVS • T. Nel centro * S * M * P * Є *
- R/ – S • PЄTVS • PP.
Argento. Museo di Copenhagen (antica coll. Thomsen).
9. Tornese.
- D/ – + R • KROLVS - T. Croce.
- R/ – DЄ SVLMONA. Castello sormontato da giglio.
Lega, Peso gr. 0,60. Coll. Sambon.
10. D/ – + R • KRoLYS • TЄR. Croce.
- R/ – DЄ SVLMONA. Castello.
Lega. Museo Naz. di Napoli.
È questo il primo tornese coniato nell’Italia meridionale, ad imitazione dei tornesi d’Acaja; e il conio di queste monete doveva recar grande vantaggio ai Sulmonesi, per il commercio col Levante, specialmente per la lega assai scarsa del metallo di che furono coniati.
Sulmona ne continuò il conio durante il regno di Ladislao, e, in sul principio del XV secolo, ebbero il privilegio di coniarli altre terre d’Abruzzo. Se ne giovò pure il conte di Campobasso, sia con regio consenso, sia di propria autorità, allorchè si volse contro la regina Giovanna II, militando a favore di Lodovico d’Angiò. E, a Campobasso questa monetazione assunse spiccatamente il carattere di una frode commerciale, poichè sopra alcuni tornesi di quella Zecca si legge da una parte il nome NICOLA COM e dall’altra ♦ FLORЄNS • P • ACh ovvero CLARЄNTIA. Certamente, accoppiando al nome del conte Nicolò quello di un principe di Acaja, vissuto circa un secolo innanzi, o quello della Zecca di Chiarenza, ad altro non mirava il monetiere di Campobasso, se non a dare maggior garanzia di successo alla monetina del contado di Molise, potendo quei nomi, nello scambio frettoloso del commercio, assicurare la preferenza ai tornesi di Campobasso, giacché toglievansi più volontieri i tornesi antichi, per esserne la lega più abbondante di argento.
Quanto poi al loro valore, trovo che sotto Carlo I i tornesi correvano, nel reame, a ragione di 20 tornesi al tarì; nel 1291, se ne davano 25 al tari; ma nel XIV secolo, scemata di molto la quantità d’argento nella lega, dovevano valere ancor meno.
Note
- ↑ Il presente articolo venne tolto dall’Archivio Storico per le Provincie Napoletane, Anno XVIII, fasc. II, 1893.
- ↑ Lazari V., Zecche e monete d’Abruzzo, Venezia, 1858, p. 94.
- ↑ Revue Numismatique française. Anno 1860.
- ↑ Il Carpentin, credendo provenzale questo denaretto, l’attribuì al conte Carlo III, nipotino ed erede di Renato, che governò la Provenza dal 1480 al 1482. Si hanno monete di questo principe, che prende sempre i titoli karolvs andegavie ihr et sicilie rex.
- ↑ 1313 A, fol. 74.
- ↑ 1344 A, n. 336, fol. 96.
- ↑ In un doc. del 1459, ordinandosi il conio di piccioli o denarelli con 12 sterlini d’arg. a libbra vien detto che, ai tempi di Ladislao e di Giovanna II, ogni libbra conteneva 17 sterlini.
- ↑ Faustin Poey d’Avant, Monnaies féodales de France, Paris, 1860. Vol. II, p. 322, n. 3968-69, tav. lxxxxix, n. 5.
- ↑ R. 359 f- 343 t.
- ↑ Basti ricordare che il re d’Aragona, per gli aiuti contro i Siciliani, pretese da Carlo II, nientemeno che mille e duecento once d’oro al giorno (Sanudo), ed intanto forti somme erano necessarie a porre rimedio alla misera condizione del Reame, e Carlo II, per avere prestiti dai banchieri fiorentini, dovè porre nelle loro mani le più spicce entrate del Fisco, tra l’altre quella della Zecca, di cui ebbero l’appalto per quasi tutto ii XIV secolo. Vedi G. De Blasiis, La dimora di Giovanni Boccaccio a Napoli; Cap. I: “I Fiorentini nel regno di Sicilia dal 1266 al 1309» (Archivio storico per le Provincie napoletane. Fasc. I, 1892).
- ↑ Malgrado i replicati divieti di Carlo II e di Roberto, i banchieri estraevano sempre dal Regno, con considerevoli beneficii, i carlini d’argento, spesso ricorrendo alle più indegne gherminelle; così, quando nel 1301, Carlo II ordinò che i vecchi carlini si ragguagliassero a grana dip, per modo che 70 e grana 5 si cambiassero per 60 nuovi carlini, astuti speculatori riescirono a screditare in tal modo l’antico carlino, che, abusivamente, avevano per 7 grana, e lo mandavano, con considerevole guadagno, fuori del Regno. Così, in seguito, durando tuttavia le incertezze e le difficoltà per la moneta d’oro e d’argento, con abili raggiri» attivamente speculavano i banchieri sull’estrazione della moneta d’argento. Ricorderò pure, tra le nostre leggi, il capitolo perpensa deliberatione di Roberto, nel quale si proibisce, con tutto rigore, l’estrazione del carlino d’argento dal regno; ma non si vieta però ai negozianti esteri il portar via séco loro la moneta d’argento ritratta dalla vendita delle merci portate nel regno. Con tale editto, essendo il carlino napoletano ricercato per il peso e la lega, voleva il sovrano evitare il cambio della moneta straniera colla napoletana; ma favorire, d’altra parte, il commercio cogli altri stati e specialmente col levante. È però evidente come una tal disposizione, malgrado tutte le cautele, dovesse favorire la estrazione della moneta dal regno. Per tutto il regno di Carlo II e durante quello di Roberto, si cercò invano, a più riprese, di rimediare allo squilibrio del numerario e alle frodi de’ banchieri.
- ↑ I gigliati di Carlo II e di Roberto furono imitati a Cipro da Errico II verso il 1310, a Rodi, da Helion de Villeneuve (1319-1346) a Scio, dai Maonesi verso il 1347, ad Efeso, da un emiro della Lidia, a Die, da Guglielmo di Roussillon, vescovo di Valenza, ecc. Non sono rare le contrafifazioni, fatte per lo più in Oriente, ed alcune, come suppose il Longpérier, dagli arabi delle isole del Mediterraneo o della Siria. Al Museo Britannico vidi una dì queste contraffazioni, eseguita da un artista che evidentemente non capiva il senso delle parole che copiava. L’epigrafe di questo robertino è così trascritta: Dir, uobebi dei chicilus ier. — Rov. ioio kᴚccisi disili; altra del Museo Morin di Lione, fu pubblicata dal Longpérier e dal Carpentin, altra dal Frìedländer.
- ↑ I gigliati ed i denari coi nome di Lodovico, furono probabilmente coniati per la solenne incoronazione del 25 maggio 1352, per esser gettati al popolo.
- ↑ 13 esemplari, provenienti da un ripostiglio di 2231 gigliati, di cui 1462 napoletani, trovato ad Efeso, sono nel Museo Britannico; altri due trovansi nella Collezione Sambon.
- ↑ R. 358 f. 379 t.
- ↑ In questo documento si fa menzione dell’assaggio di oro e argento; ma è una pura formalità che non implica il conio effettivo dell’oro.
Il Manni (Brevi ragionamenti sopra le monete) e poi il Fusco, il Bonucci (vedi tavole di monete eseguite per commissione del Duca di Luynes), ed altri pensarono che si dovessero attribuire alla Zecca napoletana alcuni fiorini sinora ritenuti provenzali, poichè si trovano fiorini coi nomi di Giovanna I e di Ludovico II, seguiti dal titolo provenzale, quando altri, invece, hanno solo i titoli ihr et sicil rex o regina. Le ragioni che potrebbero avvalorare questa ipotesi, oltre la mancanza del titolo provenzale, sono le seguenti: i° Nelle commissioni di Zecca, posteriori al regno di Carlo II, si indica continuamente la Zecca napoletana colle seguenti parole: Sicla Neapoli auri ed argenti. 2.° La Zecca, da Carlo II in poi, fu quasi sempre data in appalto ai banchieri toscani, ed anzi in un documento del 1313, Roberto, volendo accarezzare alcuni denarosi lucchesi, dice apertamente, che, benché avesse avuto vantaggiosissime offerte da cittadini napoletani, preferisce dare l’appalto della Zecca alla Società dei Baccosi di Lucca. 3.° La somiglianza del dritto di questi fiorini col dritto de’ denaretti napoletani di Giovanna I e Ludovico di Taranto. 4.° Ludovico II tenne per qualche tempo Napoli, e doveva sentire il bisogno di coniarvi moneta d’oro, per sostenere la guerra. 5.° L’abbondanza di fiorini nel reame e la preferenza data a questa moneta che poteva indurre i nostri sovrani a tralasciare il conio dei carlini e ad imitare invece la moneta fiorentina. Ma vi sono pure argomenti contrarli. 1.° Il disegno delle monete provenzali è assai più accurato, in quest’epoca, di quello delle napoletane, e questi fiorini senza titolo provenzale, non solo sono di disegno assai più corretto di quello delle contemporanee monete napoletane; ma somigliano tanto, nel disegno del rovescio, ai fiorini col titolo provenzale, che si è facilmente indotti a ritenerli di una medesima officina. 2.° L’abbondanza di queste monete, mentre, per le sovraccennate ragioni di cambio, l’introduzione straordinaria di fiorini e di ducati d’oro aveva reso quasi inutile il conio dell’oro, tanto che mancano di fatti le monete d’oro napoletane di Carlo III, di Ladislao, di Giovanna II, e di Renato. - ↑ Il carlino pesava in origine 1|8 d’oncia ovvero gr. 3,341 ed era a bontà di 11 once e 3 sterlini; ma nel 1305 Carlo II aumentò il peso del carlino nella misura di 1|5 del precedente, conservando però lo stesso titolo; per cui doveva pesare gr. 4,009. I carlini di Roberto, benché nelle commissioni di Zecca più volte si ripete che devano pesare trappesi 4 1|2, pesano poco più di gr. 3,80 e questo di Carlo III, 3,70; ma andarono sempre più diminuendo; e quei di Renato pesano 3,50 o 3,55 ed ancora meno quelli di Alfonso e di Ferdinando I.
- ↑ Il peso di questi denari è indicato spesso nelle commissioni di Zecca del XIV secolo. Dovevano pesare non meno di 14 acini, nè più di 16, ossia tra i 6 e i 7 decigrammi. V. Doc. Archivio di Napoli. Reg. Angioini, 1313 A, f. 74; 1343, f. 94.
- ↑ Questo Masio è probabilmente l’orafo Masello Cinelli di cui si ha notizia nel 1362. Lavorò nel 1370 una pace per la basilica di Montecassino ed una stupenda croce di argento, fatta eseguire per ordine di Stefano della Sanità, patrizio sulmonese ed arcivescovo di Capua.