Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
468 | a. g. sambon |
Dalla pubblicazione di quel danaro sino ad oggi, non si ebbe altra notizia sulle monete di Carlo III, né, ch’io sappia, si trovò altro esemplare del prezioso denaretto del Museo di Marsiglia. Posseggo, invece, un denaro, diverso da quello edito dal Carpentin, che, sul dritto, ha la regia corona, simile molto ad alcuni oboletti provenzali di Carlo I e Carlo II1.
Pareva probabile che Carlo III si fosse contentato di questa monetina, necessaria per il minuto commercio del Reame, ed avvalorava questa supposizione la ragione economica, accennata dal Lazari, cioè l’abbondanza straordinaria dei gigliati di Carlo II e dei roberini del suo successore, per cui non sentivasi verun bisogno di ulteriori emissioni di argento. Di tanta abbondanza di moneta d’argento, si ha continuamente menzione nei documenti del tempo, e ricorderò un ordine dato alla Zecca napoletana, nel 13262, in cui è detto, che si aggiungono parecchi operai a quelli che già lavoravano in quella officina, a cagione del continuo ed assai considerevole aumento delle emissioni di argento. E queste abbondanti e frequenti emissioni, durante i regni dì Carlo II e di Roberto, erano dovute, in parte, agli ingenti pagamenti che dovettero fare quei sovrani; Carlo per il suo riscatto e per la guerra di Sicilia3; e Roberto per la stessa guerra e per la lotta cogli imperatori Errico VII e Lodovico il Bavaro. Ed ancor più erano dovute alla continua richiesta che si faceva della nostra moneta di argento, in sui mercati di Oriente ed anche in parecchi stati d’Europa. Davano mano a questo traffico i banchieri e gli speculatori fio-
- ↑ Faustin Poey d’Avant, Monnaies féodales de France, Paris, 1860. Vol. II, p. 322, n. 3968-69, tav. lxxxxix, n. 5.
- ↑ R. 359 f- 343 t.
- ↑ Basti ricordare che il re d’Aragona, per gli aiuti contro i Siciliani, pretese da Carlo II, nientemeno che mille e duecento once d’oro al giorno (Sanudo), ed intanto forti somme erano necessarie a porre rimedio alla misera condizione del Reame, e Carlo II, per avere prestiti dai banchieri fiorentini, dovè porre nelle loro mani le più spicce entrate del Fisco, tra l’altre quella della Zecca, di cui ebbero l’appalto per quasi tutto ii XIV secolo. Vedi G. De Blasiis, La dimora di Giovanni Boccaccio a Napoli; Cap. I: “I Fiorentini nel regno di Sicilia dal 1266 al 1309» (Archivio storico per le Provincie napoletane. Fasc. I, 1892).