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tre monete inedite di carlo iii di durazzo 469

rentini che, venuti a capo del movimento finanziario del Reame, tenevano l’appalto delle Zecche e ne traevano, a detrimento del paese, ingenti e ben spesso disonesti guadagni1. Ma le contraffazioni ed imitazioni fatte in Oriente o in Francia2, l’abbondanza di tal moneta in Oriente, oltre la crescente richiesta di altre specie monetali, fecero sì che cominciò a venir meno la necessità di così numerose emissioni, e che, nel napoletano, quasi d’un tratto, rimase maggior copia di carlini di quanta ne fosse veramente necessaria al commercio. Da ciò risulta che non v’era necessità alcuna,

  1. Malgrado i replicati divieti di Carlo II e di Roberto, i banchieri estraevano sempre dal Regno, con considerevoli beneficii, i carlini d’argento, spesso ricorrendo alle più indegne gherminelle; così, quando nel 1301, Carlo II ordinò che i vecchi carlini si ragguagliassero a grana dip, per modo che 70 e grana 5 si cambiassero per 60 nuovi carlini, astuti speculatori riescirono a screditare in tal modo l’antico carlino, che, abusivamente, avevano per 7 grana, e lo mandavano, con considerevole guadagno, fuori del Regno. Così, in seguito, durando tuttavia le incertezze e le difficoltà per la moneta d’oro e d’argento, con abili raggiri» attivamente speculavano i banchieri sull’estrazione della moneta d’argento. Ricorderò pure, tra le nostre leggi, il capitolo perpensa deliberatione di Roberto, nel quale si proibisce, con tutto rigore, l’estrazione del carlino d’argento dal regno; ma non si vieta però ai negozianti esteri il portar via séco loro la moneta d’argento ritratta dalla vendita delle merci portate nel regno. Con tale editto, essendo il carlino napoletano ricercato per il peso e la lega, voleva il sovrano evitare il cambio della moneta straniera colla napoletana; ma favorire, d’altra parte, il commercio cogli altri stati e specialmente col levante. È però evidente come una tal disposizione, malgrado tutte le cautele, dovesse favorire la estrazione della moneta dal regno. Per tutto il regno di Carlo II e durante quello di Roberto, si cercò invano, a più riprese, di rimediare allo squilibrio del numerario e alle frodi de’ banchieri.
  2. I gigliati di Carlo II e di Roberto furono imitati a Cipro da Errico II verso il 1310, a Rodi, da Helion de Villeneuve (1319-1346) a Scio, dai Maonesi verso il 1347, ad Efeso, da un emiro della Lidia, a Die, da Guglielmo di Roussillon, vescovo di Valenza, ecc. Non sono rare le contrafifazioni, fatte per lo più in Oriente, ed alcune, come suppose il Longpérier, dagli arabi delle isole del Mediterraneo o della Siria. Al Museo Britannico vidi una dì queste contraffazioni, eseguita da un artista che evidentemente non capiva il senso delle parole che copiava. L’epigrafe di questo robertino è così trascritta: Dir, uobebi dei chicilus ier. — Rov. ioio kᴚccisi disili; altra del Museo Morin di Lione, fu pubblicata dal Longpérier e dal Carpentin, altra dal Frìedländer.