Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 4/Capo 7

Trattato - Libro 4 - Capo 7

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CAPO VII.

Le navate, le cappelle, le volte e l’altare.

Quattro sono le parti principali intrinseche ovvero interiori del tempio: simulacro, cappelle, navate di colonne, e volte ovvero tegumenti: delle quali ultimatamente è da dire le commensurazioni e proprietà. Quanto alla prima parte, essendo il tempio oblungo, non è dubbio che il luogo del simulacro, o del vero Sacramento, debba essere alla fine del tempio rincontro alla porta principale elevato, al quale per gradi si pervenga, a denotare la distanza della perfezione di Dio alla nostra, la quale è infinita, e significare Esso essere elevato sopra tutte le cose possibili. Ma quando il tempio fusse tondo, ovvero traente al tondo, allora insurge dubbio qual sia più conveniente luogo per il simulacro, o veramente appresso alla circonferenza, ovvero nel centro del tempio, perocchè esempi, ragioni e autorità sono dall’una e altra parte; gli esempi ed autorità essendo divisi, per quelli non si può concludere alcuna parte della contradizione: ma luogo è di assegnare qualche ragione per ciascuna delle parti, le quali non sono dimostrative, perchè la materia non lo pate, ma solo suasive, ed in tal caso a quelle che maggior apparenza hanno è da accostarsi. Molti dicono che per dimostrare Dio essere in nobiltà e perfezione lungi da noi per infinita distanza, è conveniente che il simulacro sia più distante dalla porta principale che si può, e questo luogo non è se non appresso alla circonferenza opposita alla porta: oltre a questo non pare conveniente sia in mezzo, acciochè tutti quelli che nel tempio fussero, come un retto aspetto abbiano il simulacro a risguardare; aggiungono ancora questa essere stata usanza e rito dei gentili, con i quali, fra gli altri, Aurelio Aùstino [p. 236 modifica]ne insegna non avere riti comuni1; quarto e ultimo, se in mezzo fusse il simulacro non potriano i sacerdoti senza grande incomodità dei laici le cerimonie amministrare, come appare manifesto per il continuo moto e transito dei clerici dalle sacrestie, ovvero gazophilatio2 e ricettacoli di cose sacre al detto loco.

Alcuni altri tenendo l’opposita opinione, assegnano una ragione fra le altre, sopra il medesimo fondamento stabilita che la prima allegata in contrario, dicendo che il luogo più distante del tempio tondo o simile è il centro suo, come la terra è più distante dal cielo: perocchè il tempio tondo ragionevolmente richiede più principali porte, delle quali il centro è più distante che altra parte. La seconda, che come Dio è presente in ogni luogo e creatura, e di quella cagione conservante a cui tutte le creature hanno rispetto, pare conveniente che così il sacramento o simulacro sia nel centro del tempio, come luogo più indifferente e comune a tutte le parti del tempio, e come al centro tutte le linee della circonferenza concorrono e hanno rispetto. L’altra è, come Cristo ne insegna, che dove sono più congregati nel nome suo, Esso essere in mezzo di quelli: così è conveniente il simulacro o sacramento, essere in mezzo degli uomini congregati per laudarlo nel tempio: e perchè nella circonferenza sono più luoghi comuni e di una medesima dignità, ed il luogo del centro è unico e assoluto di tutti gli altri, pare per ciò che sia conveniente, a similitudine di Colui il quale solo veramente è, e tutte le altre cose sono ombra a Lui comparate. Ma, perchè questa è materia probabile e non necessaria, e nella quale da ogni parte più ragioni si potriano addurre, e parimente tutte le addutte risolvere, con queste assegnate è da por fine, lasciando questa quistione doversi usare a beneplacito dell’artefice. Per l’una e per l’altra parte questa avvertenza è però da avere, che volendo stabilire in mezzo il luogo del simulacro, è almeno da fare tre porte nel detto tempio, e così per opposito quando si facesse alla circonferenza, non è necessario se non una porta, benchè tre ancora se ne possa fare. [p. 237 modifica]

Siccome i templi furono divisi in tre specie, cioè tondi, e simili ai tondi, e oblunghi, così è da dividere le cappelle. E per questo dico che le cappelle che hanno il tondo, o veramente partecipano la figura circolare come sono gli emicicli, cioè semicircoli o porzioni di circoli, queste tutte ricercano le medesime proporzioni e ricinti che delle celle tonde è dichiarato. Ma le cappelle quadre3 o lunghe ragionevolmente debbono esser quadrate, cioè tanto larghe quanto late, e l’altezza loro quella proporzione debba avere alla sua latitudine o diametro, che di sopra è detto dei templi oblunghi; possono essere ancora oblunghe un diametro e mezzo insino due, benchè la detta quadrata figura sia più conveniente.

Le deambulazioni, navate, ovvero pronao di colonne4 così possono essere applicate ai templi tondi e simili, come agli oblunghi. Delle quali avendo a trattare, prima è da considerare che quando in tempio tondo si fesser navate di colonne, sopra quelle è bisogno che un altro circolo di muro si posi minore del primo, il quale, oltre alla bellezza che dà al tempio, rende quello più lucido5, potendosi in quella dimensione fare le finestre: e questa diminuzione e navate si possono moltiplicare secondo l’altezza del tempio. Secondariamente è da intendere che queste deambulazioni dipendenza e proporzione pigliano dalle colonne, e le colonne dal diametro del tempio. Dove è da sapere che nei templi tondi, che in sè hanno diminuzione di circonferenza e di colonne e deambulazioni, il diametro da cui la proporzione della colonna si piglia, è quello del circolo imaginato sotto la circonferenza della seconda periferia6. Questo diametro adunque si debba in tre ovvero [p. 238 modifica]quattro parti dividere a libito del compositore, e due di queste parti debba esser la lunghezza della colonna: la larghezza della deambulazione debba essere i tre quarti della lunghezza della colonna, li due terzi, ovvero li tre quinti, secondo che le altre parti del tempio comportano; la distanza dall’una colonna all’altra della medesima serie può essere in più varii modi, perocchè se sopra le colonne fusse l’architrave locato, e questo fusse di pietra, acciò non si abbia por il peso a frangere, non debba essere più lungo di sette piedi nè manco di cinque: ma se l’architrave fusse di legno o di bronzo7 potente a resistere, può essere di otto in dieci. Sopra le dette colonne debbono esser fatti archi morti per tôrre il peso all’architrave: ma se sopra alle colonne fossero archi vivi ed espediti, la distanza delle colonne può essere in tre modi, cioè due terzi, o tre quarti, ovvero quattro quinti della lunghezza della colonna secondo l’invenzione dell’artefice: e questi archi vivi devono voltare a semicircolo, cioè che il concavo dell’arco sia un perfetto semicircolo: e similmente gli archi che posano da un canto nella colonna e dall’altro nella cella sopra di un ricinto8. Similmente è da sapere che il diametro dei templi oblunghi, da cui si piglia la proporzione della colonna delle navate sue, come nei templi tondi, s’intende quello minore sotto i muri o archi laterali meno distanti, e le navate, archi e altre simetrie che dei templi tondi è detto, si debba degli oblunghi similmente intendere.

Le volte che nei templi si devono fare, di tante specie possono essere, quante eziandio nelle case si possono usare, cioè a botte, a testudine, a similitudine di piatto, a crociera, a conca, a lunette ed a vela. E queste possono essere ornate di quadri, figure, stucchi e altri [p. 239 modifica]ornamenti, i quali meglio per il disegno apparranno insieme con alcune di mia invenzione9.

Note

  1. De civitate Dei, lib. X.
  2. Gazophylacion, propriamente un salvadanaio, e per amplificazione ciò che nelle chiese d’Italia dicesi il tesoro.
  3. Correggasi: le cappelle quadrilunghe cioè quadrilatere.
  4. Qui l’autore dà egual valore a queste differenti denominazioni. Navata, per similitudine d’ufficio, ben può appellarsi in un tempio circolare lo spazio fra le colonne ed il muro: solo varia la forma, chè le navate in un tempio oblungo sono quadrilatere, mentre queste han figura di zona.
  5. Questo canone l’autore lo ha tratto dai templi circolari antichi di Roma, de’ quali (oltre il tempio di Bacco mentovato più sopra al capo 2 del libro IV) riporta anche al f.° 84 r.° del codice de’ monumenti architettonici il tempio di S. Stefano rotondo (Cf. Catalogo de’ codici, n.o III).
  6. Vale a dire che l’altezza della colonna devesi desumere dal diametro del peristilio interno. Così vuole l’autore perchè i citati esempi di Roma fornivangli celle con una sola zona attorno. Vero è che la chiesa di S. Stefano rotondo aveva, prima de’ ristauri di Niccolò V, tre circoli di colonne, ma dal disegno surriferito vedesi che Francesco riporta siccome murati già intercolunni del circolo centrale, cosicchè una zona sola rimaneva nell’interno, ed un peristilio al di fuori.
  7. Alcuni ornamenti delle travi di bronzo nel pronao del Panteon sono disegnati nel cod. de’ monumenti architettonici al f.° 79 v.°
  8. Ricinto ho già notato altrove essere la cornice che ricinge tutto o parte di un edifizio.
  9. In questo codice mancano le figure delle volte, ma trovansi tutte ai fogli 21, 22 del cod. Saluzziano in dodici disegni, due de’ quali dimostrano come s’abbiano ad adoprare i vasi di terra sferici o cilindrici per alleggerire i rinfianchi e le grossezze delle volte.