Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 4/Capo 6

Trattato - Libro 4 - Capo 6

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CAPO VI.

Porte e finestre ne’ templi.

Essendo le porte e finestre parte della cella ovvero circonferenza del tempio, dopo il parlare universale di tutta la cella, è da intendere delle predette parti, e loro commensurazioni e ornamenti. È adunque da considerare, secondo che ne scrive Vitruvio1, gli antichi architetti ionici, dorici e corintii il più delle volte avere usato una medesima specie di porte da tutti approvata, apparente e ragionevole. Di questa specie così si piglia la simetria: sia divisa l’altitudine del tempio dal pavimento o planizie infino al principio del tolo o lacunario2 in parti diciotto, e cinque di queste si attribuiscano all’altezza della porta: la latitudine sua dall’altezza procede, dividendo quella in parti ventiquattro, delle quali [p. 233 modifica]undici sian larghezza del vacuo della porta. Gli stipiti detti impadines3 posti a destra e a sinistra della porta per ornamento d’essa, devono essere in diametro li 3/15 della detta larghezza, ovvero un quinto. È opinione di alcuni architetti che quest’altezza della porta sia in arbitrio dell’architettore, assegnando questa ragione, che l’altezza della cella insino al tolo o lacunario potria esser tale che facendo alta la porta 5/18 essa saria assai disproporzionata. A questa ragione si può facilmente rispondere, perchè benchè alla necessità dell’ingresso degli uomini nel tempio apparrà disproporzionata, non è però disproporzionata alla grandezza d’esso tempio, siccome benchè per gli occhi piccoli tutto quello si possa vedere che per i proporzionati al corpo loro si vede, non sono però fuori di proporzione, essendo grandi secondo il consueto. E la cagione di questo è, perchè non solo queste parti sono fatte per ingresso del tempio o per la cognizione dell’animale, ma per formosità dell’uno e dell’altro, la quale non può risultare senza debita proporzione. E benchè la latitudine assegnata secondo gli antichi sia differente alquanto da quella che delle porte assegnai nel secondo libro4, nientedimeno laudando questa, non è da biasimare quella, avendo visto molti periti quella avere usato e approvato. E quanto al diametro degli stipiti, a me pare che devono essere 9/40 della larghezza, e di simile larghezza debba esser l’architrave sopraposto al vacuo della porta, il quale gli stipiti sostengono. L’architrave e stipiti devono essere divisi in dodici parti eguali, e tre di queste si deve dare alla prima parte più distante del vacuo della porta chiamata da Vitruvio5 astragalo, e volgarmente detta intavolatura: e alla parte di mezzo, detta tavola, cinque se ne attribuisca e ultimatamente quattro alla terza parte ultima propinqua al vacuo; nella estremità di questa parte, secondo il mio giudizio, in luogo degli [p. 234 modifica]angoli degli stipiti si debba fare un bastone tondo, acciocchè meglio da ogni percossa si difenda, come si può vedere nella porta di Capua6. Sopra dell’architrave, a maggiore ornato, si pone una cornice composta di tre parti, le quali insieme tanto d’altezza devono avere quanto l’architrave. Ma il cardinale7 immediato sopra all’architrave debba essere i due quinti della detta altezza, e la corona col suo cimasio sopra d’essa i tre quinti. Sopra di tutte queste parti si pone un altro ornamento detto frontispizio, e questo in due modi può essere formato: cioè, se rettilineo, in qualunque modo si sia, questa proporzione debba avere, che il diametro della sommità del cimasio al punto mezzo del frontespizio debba essere eguale a quello del cardinale, corona e cimasio già diviso in cinque parti: e lo spazio in quel mezzo incluso debba essere i tre quinti, cioè quanto tutta la corona col cimasio8. Il numero delle porte sia lasciato nella ragione e discrezione dell’architettore secondo la grandezza e la forma del tempio.

Le finestre del tempio, quanto a tutti li suoi ornamenti intorno, hanno la medesima commensurazione delle porte, e la latitudine e diametro loro in arbitrio e volontà del perito architettore. L’altezza loro in tre modi validi e autentici si può fare, cioè due diametri, ossiano due larghezze, due quadri, cioè di proporzione dupla alla latitudine. Il secondo modo, due diametri suoi e mezzo, cioè dupla sesquialtera. Il terzo modo due diametri e due terzi, cioè dupla superbipartienstertia. Possonsi fare le finestre più late dentro verso il [p. 235 modifica]vacuo del tempio che di fuori, porchè più lume rendano. Il numero delle finestre nel giudizio rimane dell’architetto, come è detto delle porte. E così sia posto fine alle parti medie dei templi quanto alla lettera; segue il disegno (tav. III, 15, 16, 17).

Note

  1. Lib. IV, cap. 6, il quale però insegna ben altre proporzioni.
  2. Cioè della volta.
  3. Forse volle dire impages, quell’impadines non essendo parola latina. Lo stipite è antepagmentum, benchè la radice sua sia certamente latina anzi greca, e derivante forse dai legni verticali che nelle case de’ villici formavano le spallette delle porte.
  4. Libro II, capo 1.
  5. Lib. IV, cap. 6. L’astragalo del quale qui parla Vitruvio è una sagoma, non la cornice superiore della porta che ha proprio nome d’intavolatura. Tavola poi è il fregio della porta, così detto dal suo esser liscio. Gli architetti della scuola del Brunellesco, prendendo esempio dai loro antichi, spesse volte omisero il fregio.
  6. Questa porta dev’essere certamente della città di Capua, non la famosa porta Capuana di Napoli architettata da Giuliano da Maiano ai tempi del nostro autore; poichè questa non ha bastone alcuno. Doveva essere de’ tempi bassi, ne’ quali maggiormente usò di smussare con quella sagoma l’angolo interno dello stipite. Chiamavanli porte od usci a bastone (Ghiberti MS. f.° 29).
  7. Scapi cardinali chiama Vitruvio (IV, 6) i legni che formano l’intelaiatura d’una porta. Pietre o stipiti cardinali sono presso i Toscani le pietre delle spallette della porta. Qui l’autore non fa parola del fregio, ma facendo la cornice eguale in altezza all’architrave, la divide in cinque parti, tre delle quali le dà alla cimasa e due alle sagome sottostanti: queste adunque sono il cardinale (vedi Tav. III, 17), cioè l’architrave degli stipiti, nome che davasi pure agli architravi negli intercolunni, come al capo 7 del libro III.
  8. Infatti in una figura ch’io ometto, il frontispizio di una finestra ha l’altezza eguale alla cornice.