Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 3/Capo 5

Trattato - Libro 3 - Capo 5

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CAPO V.

Delle parti delle colonne, e varie maniere di esse.

A maggiore notizia de’ capitelli, è da trattare del fuso ovvero stilo della colonna sopra il quale immediatamente si posa il capitello: dove è da sapere che questo fuso ha in se tre parti ragionevolmente, cioè tre recinti circoli ovvero periferie, delle quali la inferiore si chiama contrattura, e questa comunemente si dice gola o simisso1. Sopra di questa è un regoletto quadro chiamato acroterio, e quando balteo e quando benda: e sotto questo la somma strettezza chiamata ipotrachelio. Sopra di questo è locato il bastone da Vitruvio chiamato toro2, e sopra a questo immediato è posto e locato il capitello. Secondo il modo di parlare di Vitruvio nella lunghezza del capitello debba figurare il timpano, che volgarmente si appella campana, ornato come di sopra è detto di foglie, caulicoli, viticci e voluti: sotto i circoli di questi e sopra le foglie sono più cinti da formare: il primo è detto balteo, sopra a questo un altro chiamato fusarolo da Vitruvio, e di sopra un altro balteo, e di sopra il uovolo da Vitruvio chiamato echino, e i circoli figurati nell’altezza di queste sono da lui chiamati anelli, con le sue saette piramidali: e di sopra a questo si pone la tavola dell’abaco con la sua scozia, ovvero gola, con il regolo suo e bastone. E benchè la predetta descrizione di capitelli sia la più comune, non è però da pretermettere le altre diverse figure che per le ruine antiche in diversi luoghi ho disegnate e ritratte, e appresso alcuni di mia invenzione, dei [p. 207 modifica]quali ciascuno potrà eleggere quello che più a lui piacerà; ma per non moltiplicare in descrizioni, e per fuggire ogni superfluità, al disegno mi riferisco3.

Poichè della suprema parte della colonna assai a sufficienza è stato trattato, conseguentemente è da terminare delle proporzioni degli stili seconda parte delle colonne. Dove è da sapere che in questa forma si può trovare la vera diminuzione: facciasi un circolo il quale ha la circonferenza della colonna da piedi (Tav. II, 4), del quale il diametro si divida in sei parti eguali: di poi si formi un altro circolo concentrico al primo, distante verso il centro dal primo da ogni parte una delle seste predette, di poi si tiri una linea retta la quale tocchi il minore circolo con lo suo punto di mezzo: dipoi quella porzione del circolo maggiore che contiene la detta linea si divida col sesto in parti sedici. E dopo questo, dalla seconda penultima si tiri un’altra, e così per ordine insino all’ottava e ultima linea: dove appare che infra queste otto linee sono sette spazii, i quali in questo modo dalla colonna si devono sottrarre. Dividasi la colonna in tre parti eguali, e le due superiori in sette eguali, e alla suprema settima particula intorno intorno si tragga lo spazio causato dalle due linee maggiori, e dalla sesta lo spazio propinquo al predetto, e dalla quarta l’altro spazio minore, e così per ordine insino all’inferiore parte e minore spazio s’intenda, restando intatta la terza parte della colonna inferiore; così saranno diminuite non per retta linea, nè eziandio per una circulare o porzione di circolo, ma per composta di sette rette linee, le quali sette particole ovvero linee per discrezione dell’architetto devono essere appropinquate alla natura della proporzione di un circolo, per non variare la diminuzione in un punto, ma successivamente, e con dolcezza così degradando sarà diminuita. Ma perchè comune sentenza è dei periti in quest’arte che quanto è maggiore la colonna, tanto proporzionalmente minor diminuzione richiede, perocchè per l’altezza sua per se medesima alla [p. 208 modifica]vista diminuisce, però è da sapere che come il diametro della colonna deesi dividere in sei parti eguali, così si può ancora in meno e in più parti dividere a placito dell’architetto, non disproporzionando l’apparenza d’essa colonna: e quanto in meno parti sarà diviso, tanto sarà la diminuzione maggiore, e quanto in più, tanto minore. È opinione di Vitruvio le colonne doversi diminuire in due altri modi4: il primo, diminuendo per retta linea una sesta o settima parte del diametro da capo insino a piè della colonna: e secondo, similmente per retta linea diminuendo solo i due terzi dell’altezza superiori: e a questo è più simile il primo modo per me assegnato. In altro modo ho visto le colonne antiche diminuite togliendo alla prima inferiore parte terza della colonna una duodecima parte del suo diametro da ogni banda nel principio della colonna da piedi, e successivamente uniformemente diminuendo meno, termina questa diminuzione alla estremità della detta terza parte dello stilo, e oltre a questo, diminuendo gli altri due terzi come nel secondo modo assegnato da Vitruvio è dichiarato. E così appare che di quest’ultima diminuzione risulta la colonna ovvero stilo affusolato ovvero gonfiato, che proprio vocabolo colonna pulimata si chiamò5.

Circa alla cognizione delli stili, ultimatamente è da intendere che ciascuno stilo delle prime tre specie di colonne doriche, ioniche e corintie senza diminuzione può essere in due modi ornata con voluzioni. Il primo modo è formando a vite, o circumvoluto, con diverse gole e strigie e altri ornamenti secondo l’invenzione dell’artefice. Il secondo è lasciando retta la terza parte inferiore dello stilo, e le due altre terze facendole a volute come ho detto: e ciascuno dei detti modi spessissime volte si vede essere stato dagli antichi messo in uso con le parti assegnate, e con altre concavità angolari, astragali e intavolature a guisa di scorniciati.

Note

  1. La inferiore è l’apofice del sommoscapo, non gola. Il simisso poi, sagoma nuova che devesi all’ignorante traduttor di Vitruvio del quale (stante la rarità de’ codici) faceva uso il nostro Cecco, altro non è che queste male intese parole (lib. III. 2): Scapus imus in partes sex et semissem dividatur.
  2. L’apofice ripetuta, sotto nome d’ipotrachelio, una seconda volta nel sommoscapo: il listello detto acroterio: la campana, la quale si avverte essere parte da contarsi nell’altezza del capitello; la parola fusarolo usata da Vitruvio: e finalmente la totale confusione de’ capitelli dorico, ionico e corintio in uno solo, son cose anche queste derivanti dal pessimo codice italiano di Vitruvio studiato dall’autore, il quale per altro, siccome quegli che misurò l’antico, disegnò in margine capitelli scelti e belli assai e tra i migliori.
  3. Sono disegnati in margine due capitelli corintii antichi che paiono quelli de’ templi di Vesta e di Antonino e Faustina in Roma, col composito dell’Arco di Tito. Un solo è moderno e dell’autore: è alla tav. II. 4.
  4. Lib. III. cap. 2 spiega ciò, ma solo in parte.
  5. Codesta colonna pulimata (nome nuovo invero) ho dubbio che da altro non provenga che dalla parola pulvinata tolta in senso errato. Nessuno però stupisca di questa inesattezza di nomenclatura: errori simili ne ha non pochi l’Alberti, più assai il Filarete, ed il Paciolo, moltissimi Bonaccorso Ghiberti a f.° 45 della sua Opera d’architettura. Ms. Magliabechiano.