Trattato di architettura civile e militare I/Trattato/Libro 1/Capo 8

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CAPO VIII.

Le calcine.

Al primo, secondo l’ordine al presente dato, è da considerare delle nature diverse delle calcine e il numero: delle quali alcune si fanno più tenaci in luogo umido, alcune altre al secco, altre però ai tettorii e intonacati solo sono convenienti, e questa varietà non procede se non dalla diversa natura delle pietre delle quali si fanno. Ma in prima è da sapere che ogni specie di calcina debba essere di una medesima miniera di pietra e non di diversi rotti o sparsi sassi: perchè per esperienza si vede essere senza comparazione più tenace la prima che la seconda, e la ragione è in pronto: perchè a fare un corpo di più diversi, con maggiore attitudine si fa d’una medesima specie, condizioni e natura, [p. 147 modifica]che di più diverse. Questa fu eziandio opinione di Catone Censorio1. Secondariamente è da considerare che la calcina di pietra bianca e non dura, al murare è assai utile. In più luoghi una specie di pietra trasparente si trova quanto l’alabastro, di più varii colori, la quale calcinata fa gesso. Il modo di cuocere questa pietra è questo: in prima, la fornace sua, ovvero ricettaculo, debba essere di piccola grandezza: secondo, il fuoco suo debba essere di materia rara sicchè sia poco attivo, cioè stoppioni, stipe sottili e sterco di bue, ed è da sapere che quanto la pietra è più lucida e bianca e manco tenace, tanto meno fuoco ricerca. Similmente quanto la pietra in sè è meno decotta, salva la debita misura, tanto è di maggiore tenacità benchè più difficile a polverizzare: e questa calce è conveniente ai lavori sottili, stucchi ed altri ornamenti: non resiste all’acqua, se non è mista con calcina, ed è da intendere che quando lavorato che fusse, un’altra volta si cocesse, migliore che in prima saria.

Una natura di pietra bigia in Toscana è detta albazano, della quale si fa calcina che in luogo umido fa miglior presa di tutte le altre, ed è di colore di cenere: ma in questa, bisogna avere avvertenza che immediate tratta dalla fornace sia spenta con grande quantità d’acqua, perchè la piccola quantità la incende e trasmutala a similitudine di arena; la sua mistione con la rena dei fiumi è due parti rena e una calcina: con le altre, tre parti arena, e una calcina.

La calce di spognosa pietra di tiburtino negro o bastardo all’arricciare e all’intonacare è più utile delle altre. La calce delle rotonde pietre dei fiumi chiamate ciottoli è grassa, pastosa e utile assai, ed allo umido ed allo fuoco parimente resiste. Ma quella che di tutte le altre è più utile, è fatta di pietra silice2 di colore indico, ovvero [p. 148 modifica]bigio oscuro, della quale sono fabbricate le strade di fuori di Roma dei Romani3: di questa specie in grande quantità si trova nel monte di Radicofani. La calcina del colombino è utile nelle strutture. La calcina di tiburtino nelle dealbazioni è più conveniente delle altre. Ed è da intendere che universalmente ogni calcina mista con arena fluviale o marittima, se a quella sarà aggiunto la terza parte di testi pesti ovvero di antichi tegoli, molto più tenace che senza si faria4.

Quando per fare cisterne si avesse addoprare, la proporzione sua all’arena è questa: cioè due parti calcina e cinque di aspra arena, cioè Subdupla sexqui altera5. Ultimamente non è da tacere che ogni specie di calcina poichè è spenta, se con arena (ridotta in un monte) sarà coperta continuamente, si fa più perfetta, per la qual cosa era un’antica ed osservata legge che non si potesse alcuna calcina mettere in opera, se almeno tre anni non fosse stata spenta6. Alli dì nostri in Roma in via di Papa, sotto terra circa a piedi venti, fu trovato un monte di calcina, e la quale senza errore si può giudicare per centinaia d’anni essere stata coperta, e niente di meno era perfettissima7. Similmente a Mondavio un altro monte di calce si trovò [p. 149 modifica]cavandosi i fondamenti d’una rocca8, e per esperienza si vedde quella essere ottima. E con queste brevi parole sia posto termine a questa particula.

Note

  1. Calcem e vario lapide Cato Censorius improbat (Plinio XXXVI 53). Cf. Catone De re rustica, cap. XXXVIII.
  2. Qui l’autore s’inganna, male distinguendo il silex dei Romani dalla selce nostra. Silex chiamavano gli antichi la calcarea comune, detta ora volgarmente pietra di monte, come dall’iscrizione di Ferentino (Ann. dell’Istituto di Archeologia, IV, 144), da Cicerone (De Divinat., II, 41.) e da Plinio (XXXVI, 24): tal nome davano pure alla pietra calcinacea (Vitruvio II, 5. Plinio XXXVI 53. Ovidio Metamorph., VII, 107.) ed alla lava basaltina della quale lastricavano le vie, come da infinite iscrizioni: e questa sorta è tuttora chiamata selce dal volgo di Roma. Per la qual cosa io m’imagino che leggendo l’autore in Plinio (XXXVI, 49.), sebbene fuor di punto, Nigri silices optimi, e trovando tal vocabolo nell’italiano selce, egli buonamente prendesse il Silex di Plinio per la lava basaltina (che tale è quella di Radicofani), e la registrasse tra le pietre calcinacee, alle quali per certo non può appartenere. Il Silex albus degli antichi fu riconosciuto dal Brocchi in una lava feldspatica di Bolsena (Bibl. Ital. vol. VIII).
  3. Il codice san. aggiunge che volgarmente la strada di Virgilio si dice (cioè la via Appia), et di questa si trova assai nel monte di Radicofani castello della città di Sena, della quale si fanno etiandio macine perfectissime.
  4. Quae ex duro lapide structurae utilior: quae ex fistuloso tectoriis etc. (Plinio XXXVI, 53. 54.) Il colombino detto ora palombino è una finissima pietra calcare, frequente negli Apennini romani e negli Abbruzzi.
  5. Plinio, XXXVI. 52. Vitruvio, VIII. 7
  6. Plinio, XXXVI, 55.
  7. Di questi mucchi di calce (che altro non sono che calcare fatte ne’ tempi bassi) trovati in Roma, se n’hanno parecchie memorie presso quei raccoglitori di memorie antiche.
  8. Di Mondavio si parlerà al lib. V. Esempio 29.