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148 | trattato |
bigio oscuro, della quale sono fabbricate le strade di fuori di Roma dei Romani1: di questa specie in grande quantità si trova nel monte di Radicofani. La calcina del colombino è utile nelle strutture. La calcina di tiburtino nelle dealbazioni è più conveniente delle altre. Ed è da intendere che universalmente ogni calcina mista con arena fluviale o marittima, se a quella sarà aggiunto la terza parte di testi pesti ovvero di antichi tegoli, molto più tenace che senza si faria2.
Quando per fare cisterne si avesse addoprare, la proporzione sua all’arena è questa: cioè due parti calcina e cinque di aspra arena, cioè Subdupla sexqui altera3. Ultimamente non è da tacere che ogni specie di calcina poichè è spenta, se con arena (ridotta in un monte) sarà coperta continuamente, si fa più perfetta, per la qual cosa era un’antica ed osservata legge che non si potesse alcuna calcina mettere in opera, se almeno tre anni non fosse stata spenta4. Alli dì nostri in Roma in via di Papa, sotto terra circa a piedi venti, fu trovato un monte di calcina, e la quale senza errore si può giudicare per centinaia d’anni essere stata coperta, e niente di meno era perfettissima5. Similmente a Mondavio un altro monte di calce si trovò
- ↑ Il codice san. aggiunge che volgarmente la strada di Virgilio si dice (cioè la via Appia), et di questa si trova assai nel monte di Radicofani castello della città di Sena, della quale si fanno etiandio macine perfectissime.
- ↑ Quae ex duro lapide structurae utilior: quae ex fistuloso tectoriis etc. (Plinio XXXVI, 53. 54.) Il colombino detto ora palombino è una finissima pietra calcare, frequente negli Apennini romani e negli Abbruzzi.
- ↑ Plinio, XXXVI. 52. Vitruvio, VIII. 7
- ↑ Plinio, XXXVI, 55.
- ↑ Di questi mucchi di calce (che altro non sono che calcare fatte ne’ tempi bassi) trovati in Roma, se n’hanno parecchie memorie presso quei raccoglitori di memorie antiche.
Silex chiamavano gli antichi la calcarea comune, detta ora volgarmente pietra di monte, come dall’iscrizione di Ferentino (Ann. dell’Istituto di Archeologia, IV, 144), da Cicerone (De Divinat., II, 41.) e da Plinio (XXXVI, 24): tal nome davano pure alla pietra calcinacea (Vitruvio II, 5. Plinio XXXVI 53. Ovidio Metamorph., VII, 107.) ed alla lava basaltina della quale lastricavano le vie, come da infinite iscrizioni: e questa sorta è tuttora chiamata selce dal volgo di Roma. Per la qual cosa io m’imagino che leggendo l’autore in Plinio (XXXVI, 49.), sebbene fuor di punto, Nigri silices optimi, e trovando tal vocabolo nell’italiano selce, egli buonamente prendesse il Silex di Plinio per la lava basaltina (che tale è quella di Radicofani), e la registrasse tra le pietre calcinacee, alle quali per certo non può appartenere. Il Silex albus degli antichi fu riconosciuto dal Brocchi in una lava feldspatica di Bolsena (Bibl. Ital. vol. VIII).