Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/I/Appendice I
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APPENDICE I.
Sulla provenienza degli Etruschi.
Ciò che il Gentile espose nella 1ª edizione di questo Manuale intorno alla questione ancor dibattuta dell’origine e della provenienza degli Etruschi, e che ora, con quelle mutazioni solo indispensabili, rivede la luce in questa seconda edizione, è troppo poco, perchè possa soddisfare ai desiderî dei lettori colti, ora che la questione stessa, se non ha raggiunta la sua soluzione, vi si è di molto avvicinata.
Credo quindi indispensabile di esaminare meglio le varie opinioni, e di concludere più brevemente e chiaramente possibile. E la conclusione è tanto più importante, in quanto non si deduce da scoperte filologiche e linguistiche, poichè la lingua etrusca è ancòra, in parte, ribelle ad ogni tentativo di interpretazione, ma si deduce piuttosto, oltrecchè da ragioni molteplici che analizzeremo, soprattutto da ragioni artistiche e archeologiche. Io credo per fermo, che, fino al ritrovamento di altre iscrizioni bilingui, che diano la chiave del gran problema della lingua, lo studio dell’arte etrusca è ancòra quello che conferma meglio d’ogni altro argomento la teoria erodotea dell’origine lidia, e, in generale, orientale, degli Etruschi.
Per limitare il quesito ai punti principali, dirò che la questione dev’essere trattata in base:
I. Ai fonti storici.
II. Alla lingua.
III. Alla religione e ai costumi.
IV. Ai monumenti archeologici e ai ritrovamenti recenti, nonchè alla critica delle opere d’arte.
I. Fonti storici. — Si possono dividere in quattro classi, che rappresentano quattro opinioni diverse:
1. Ellanico identifica gli Etruschi con i Pelasgi.
2. Erodoto, e con lui la maggior parte degli scrittori antichi, ammette la loro provenienza dalla Lidia e la loro immigrazione per mare, dal Tirreno.
3. Anticlide d’Atene opina che gli Etruschi siano Pelasgi, ma, cacciati dalla penisola ellenica, si siano uniti a quella parte della migrazione lidia che era condotta da Tyrrhenos.
4. Dionigi d’Alicarnasso contraddice l’opinione di Erodoto, per il fatto che lo storico Xanto, che era di Lidia, non fece parola di questa migrazione, e perchè la lingua e i costumi dei Tirreni differiscono da quelli dei Pelasgi: conclude che la razza tirrena dev’essere autoctona1.
Era facile che la differenza già nell’antichità di queste opinioni che si possono ridurre a due, l’una favorevole all’origine lidia l’altra sfavorevole, inducesse anche gli storici moderni a dividersi in due gruppi.
L’uno di questi, rappresentato prima dal Micali poi dal Niebuhr, dal Mommsen e dallo Helbig, è contrario all’origine lidia e favorevole a credere gli Etruschi in relazione coi Reti, anzi una cosa sola con essi, e provenienti per parte di terra dalle Alpi; l’altro gruppo è rappresentato dal Brizio, che fin dal 1885, negli Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per la Romagna, sostenne che la tradizione erodotea doveva avere in mezzo ai particolarî leggendari, anche un nucleo di vero, e che molti fatti confermavano l’origine lidia e la provenienza marittima, orientale degli Etruschi.
All’opinione degli avversari della teoria erodotea si accosta in molti punti anche il Pais (Storia della Sicilia e della Magna Grecia), quantunque sia molto più prudente degli altri, come il Mommsen, il quale sostiene la provenienza per via di terra degli Etruschi, ma non la loro identificazione di stirpe coi Reti. All’altra opinione, del Brizio, s’accosta in taluni punti il Von Duhn. Ammetto innanzitutto col Brizio che questa identificazione, sostenuta prima di tutto dal Niebuhr, poggia su una interpretazione falsa di un passo di Livio (Libro V, cap. 33), poichè se ne deve concludere che anche i Rezî traggono la loro origine dai coloni etruschi, mandati dal Mediterraneo al di là del Po (non che gli Etruschi fossero dei Rezî), e che i luoghi stessi ov’erano i Rezî avevano imbarbarito i Rezî (non già che questi avessero conservato la primitiva barbarie degli Etruschi).
Queste conclusioni sono poi confermate da Plinio, Giustino, e da altri autori, che il Brizio cita a conforto delle sue tesi2. Esclusa pertanto la fonte più importante a sostegno della tesi niebuhriana, rimane da vedere se la tradizione erodotea, sfrondata della parte leggendaria e favolosa, possa reggere alla critica storica, e sia confermata da altre ragioni; poichè l’obiezione di Dionigi, che si schiera dietro il silenzio di Xanto di Lidia, non solo è insufficiente, ma infantile, non potendo esser noi garanti di ciò che un autore abbia o non abbia creduto di dire. La conclusione poi, a cui verrebbe Dionigi, che gli Etruschi fossero autoctoni, già per sè stessa toglie fede al suo autore e ai suoi sostenitori.
Dunque dobbiamo dimostrare che, non essendo gli Etruschi la medesima cosa dei Rezî, essi vennero dall’Oriente e penetrarono in Italia dalla costa del Tirreno, non già per terra attraverso la Rezia: dove invece sarebbero pervenuti nella loro diffusione più tardi.
II. Lingua — Osserviamo se il secondo argomento principale, la lingua, ci possa servire.
Il Martha3, per la ragione suesposta, che la lingua etrusca non ha mai rivelato sè stessa, crede di dover rinunciare completamente alla conclusione storica della provenienza degli Etruschi; egli però indirettamente mostra di inclinare per l’opinione dello Helbig e dell’Undset (che riassunse le scoperte archeologiche del suo tempo nel lavoro L’antichissima necropoli tarquiniese4), cioè della provenienza degli Etruschi dal Nord (op. cit., pag. 28); perchè, se da un lato non ha per sè le fonti storiche che lo confermano, dall’altro egli non crederebbe alla verità di queste, perchè non si perita a dire: “je doute que le Grecs contemporains d’Herodote ou les Romains de l’Empire aient jamais eu des notions justes sur les grands monuments de peuples, dont le monde méditerranée avait été le théâtre plusieurs siècles auparavant„.
Così si creò anche recentemente un tale scetticismo intorno ai fonti, o per trascuranza o per mala interpretazione, o per sfiducia, che obbliga a cercare altronde la soluzione del problema.
Il peggio sta in ciò che nemmeno la lingua, la quale è la fonte etnografica più diretta e più esatta, ci può aiutare, poichè finora, malgrado gli sforzi poderosi di dotti stranieri e italiani, quali il Müller e il Corssen prima, il Deecke, il Pauli e il Lattes poi5, quella sfinge non ha trovato ancòra il suo Edipo.
La scuola del Lattes, che procede prudente e non rileva che fatti indiscussi, riesce a provare l’affinità che passa fra l’etrusco e il latino, sceverando, cioè, ciò che è chiaro da ciò che è oscuro. Egli intanto afferma un periodo di fusione tra Etruschi e Latini, e rileva una latinizzazione della lingua etrusca; ma pur troppo rimane una parte nella lingua che non si può spiegare, e che induce a dimostrare un nucleo non latino, non occidentale della lingua stessa nel periodo anteriore alla migrazione degli Etruschi in Italia6. “C’è una parte che sarà sempre un enigma„, diceva lo stesso Mommsen l’anno scorso a Milano.
Oltre le acute conclusioni a cui giunge il dottissimo Lattes, la scoperta linguistica più importante finora è quella del 1885 a Lemno, in cui la celebre iscrizione colà rinvenuta dimostrò che la lingua etrusca è affine a quella che parlavano i Pelasgi tirreni di quell’isola, e portò inaspettatamente una conferma alla tradizione d’Anticlide, che i Tirreni d’Italia fossero un ramo dei Pelasgi di Lemno e di Imbro.
III. Religione e costumi — S’aggiungono gli argomenti in favore della provenienza degli Etruschi dall’Oriente, tolti dai loro costumi, quali il nome dato alla prole, che è della madre e non del padre, e l’usanza delle fanciulle, poco morale invero (però non solo sanzionata dalle leggi, ma anche santificata, per così dire, dal rito religioso), di procurarsi con la prostituzione la dote; usanza diffusa fra le fanciulle lidie, fenicie, armene e babilonesi, ed essenzialmente d’origine orientale, anzi spiegabile soltanto con le idee orientali.
Nè si deve passare sotto silenzio il rito dell’umazione, proprio degli Etruschi e degli orientali, di cui si ha la prova nelle tombe a umazione, succedentisi a quelle a pozzo, tipo Villanova, e costituite da camere sotterranee, o grandi tumuli circolari sotto terra, o ipogei, con una o più camere a volta o ad arco, che ricordano il costume dei sepolcri e delle camere funerarie egiziane, nonchè il monumento d’Aliatte di Lidia e simili.
Se a questi argomenti favorevoli alla tesi sostenuta dal Brizio, e alla quale m’associo fino alla luce di nuove scoperte, per la profonda convinzione che della verità di questa tesi mi viene dallo studio dell’arte etrusca, se a questi argomenti, dico, uniamo i risultati di una critica severa alle ragioni dei dotti che sostengono la tesi opposta, questa appare tanto debole da non potersi davvero sostenere.
Sfatata la teoria dell’affinità coi Rezî, comprovante per alcuni l’origine della provenienza degli Etruschi dal Nord d’Italia, e sfatata tanto più che della civiltà etrusca non v’è nel centro dell’Europa e dell’Istria alcun vestigio, come appare dagli studi dello Hoernes, si trovano deboli anche gli altri argomenti dei sostenitori della tesi contraria, cioè quello che le città non sono alla costa, come parrebbe naturale che fossero per popoli marittimi; che la tradizione leggendaria di Erodoto non può avere valore storico, e che piuttosto col Lepsius e col Pais si deve ammettere la venuta dal lato dell’Adriatico e identificare gli Etruschi coi Pelasgi.
In primo luogo le città non furono costrutte alla costa, se non per difenderle dai pirati, di cui sarebbero state facile preda; gli Etruschi sopraggiunti dovevano vincere gli Umbri, i quali erano in città fortificate dell’interno: assaliti gli Umbri nelle loro acropoli, ponevano le proprie sedi sul luogo identico dei vinti, le città dei quali servivano loro di nucleo fondamentale. — Siccome le più antiche città sorsero dalla parte del Mar Tirreno, mentre dalla parte dell’Adriatico non c’è che Adria, la quale anticamente sorgeva presso il mare, è da escludere l’arrivo degli Etruschi dall’Adriatico piuttosto che dal Tirreno, presso la costa del quale sorsero invece molti centri abitati.
Il ch. Brizio determina questo molto chiaramente, aggiungendo che il paese esteso oltre la Fiora, per parecchio tempo, continuò ad essere posseduto dagli Umbri, anche dopo lo stanziamento degli Etruschi a Cere e a Tarquinia, come dimostrano alcuni nomi geografici di radice umbra, e la tradizione costante del così detto tractus Umbriae. La prevalenza talora degli Umbri in certe località prova del resto molto chiaramente che gli Etruschi non vennero in gran numero e si dispersero in proporzioni relativamente piccole.
Quanto poi alla tradizione leggendaria di Erodoto, ormai la critica odierna insegna molto chiaramente che ogni leggenda ha il suo nucleo storico, intorno al quale lo storico antico, ut primordia urbis (vel gentis) augustiora faciat, non si perita a ricamare una tradizione ricca di elementi favolosi. Se questo dovesse far cadere ogni leggenda, non potrebbe sussistere nè quella di Ilion, nè quella di Argos e di Micene, che pure furono confermate dalle scoperte archeologiche dello Schliemann e del Dörpfeld.
Del quarto punto di trattazione, lo studio dei monumenti e dei ritrovamenti, discuterò a studio finito (cfr. pag. 149).
Note
- ↑ Per le citazioni classiche, ved. Nöel de Wergers, L’Étrurie et les Étrusques, 2 vol., 1862.
- ↑ E. Brizio, La provenienza degli Etruschi in Atti cit., e Nuova Antologia, 1890; ora, recentemente, in Storia politica d’Italia, Epoca preistorica, Milano. Vallardi, 1899-1900, pag. CXXXVIII-CXXXX.
- ↑ J. Martha, nell’Art étrusque, già citata.
- ↑ Ved. Annali, 1885, pag. 5-104.
- ↑ Ved. O. Müller, Die Etrusker; Corssen, Die Sprache der Etrusker, 1870-72; Deecke, Etruskische Forschungen; Deecke e Pauli, Etruskische Forschungen und Studien; Pauli, Altitalische Studien. Pei lavori del Lattes, cfr. la pagina seguente, not. 1.
- ↑ Ai lavori già citati dell’illustre Lattes (cfr. pag. 99 e 107), aggiungiamo qui alcuni altri dei principali, che mostrano chiaramente la sua attività e competenza nel campo dell’epigrafia e glottologia etrusca dal 1890 fino ad oggi (cfr. un mio cenno nella Rassegna Nazionale dell’ottobre 1895). — 1890: Iscrizione metrologica di un’anfora (Rend. Ist. Lomb.). — 1891: Epigrafia e note di epigrafia etrusca; La nuova iscrizione sabellica; La grande iscrizione del cippo di Perugia tradotta ed illustrata; Un’iscrizione etrusca alla Trivulziana (Rend. Ist. Lomb.). — 1892: Le iscrizioni paleolatine dei fittili e dei bronzi di provenienza etrusca (Memorie Ist. Lomb.); Primi appunti ermeneutici intorno alla Mummia di Agram (Atti della Regia Accademia di Scienze, Torino). — 1893: Saggi ed appunti intorno all’iscrizione etrusca della Mummia (Memorie Istituto Lombardo) — 1894: L’iscrizione etrusca della Mummia e il nuovo libro del Pauli intorno alle iscrizioni tirrene di Lenno (Rendiconti dell’Istituto Lombardo); L’ultima colonna della iscrizione etrusca della Mummia (Memorie R. Accad. Scienze, Torino); — Estrusca φui Fuimu per lat. fui, fiumus (Rend. Istit. Lomb.); Studi metrici intorno all’iscrizione etrusca della Mumma (Memorie Ist. Lomb.): Il vino di Naxos in una iscrizione preromana dei Leponzi in Val d’Ossola (Atti R. Accad. Scienze, Torino): I giudizî dello Stolz e del Thurneysen.... e i nuovissimi fittili di Narce (Riv. di Filologia e d’Istruzione class.). — Inoltre nei volumi IV, V e VII degli Studi italiani di Filologia classica il Lattes pubblicò vari lavori critici sugli otto fascicoli del nuovo Corpus Inscriptionum Etruscarum. — 1896: Recensione dei primi quattro fascicoli come sopra (Riv. di Filologia e d’Istruz. class.); Le iscrizioni latine col matronimico di provenienza etrusca (Atti R. Accad., Napoli); Ueber das Alphabet und die Sprache der Inschriften von Novilara (Hermes, vol. XXXI). — 1899: Di un’iscrizione etrusca trovata a Cartagine; di due antichissime iscrizioni etrusche testè scoperte a Barbarano di Sutri; La iscrizione anteromana di Poggio Sommavilla; Il numerale etrusco θu ecc.; Primi appunti sulla grande iscrizione etrusca trovata a S. Maria di Capua (Rendic. R. Ist. Lomb.). — Indagatore intelligente ed esatto è uno scolaro del Lattes, ex-allievo della nostra Accademia Scientifico-Letteraria, il dott. Bartolomeo Nogara, autore del bel libro Il nome personale nella Lombardia, il quale da parecchi anni inserisce nei nostri annuari dell’Accademia delle succinte Relazioni intorno ai suoi viaggi epigrafici nei centri italiani rappresentati da documenti epigrafici etruschi.