Trattato di archeologia (Gentile)/Arte etrusca/I
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II.
Arte etrusca.
I. — Origine e carattere dell’arte etrusca.
Suoi stretti rapporti con l’arte italica.
Con la dominazione del popolo etrusco in Italia, dalla valle del Po alle pianure della Campania, l’arte italica prende un largo sviluppo, di cui ci sono conosciute le condizioni ed i caratteri per molteplici monumenti, anzi può dirsi che veramente al dominio dell’arte spetti, per massima parte, quello che del popolo etrusco conosciamo; nelle sue tombe, nelle sculture, nei dipinti e negli arredi che le adornano, esso ha lasciato di sè molte memorie, che nella storia andarono, si può dire, perdute.
Sebbene ancòra non si possa con certezza affermare se il popolo etrusco abbia comunanza d’origine colle stirpi italiche, l’arte sua si può chiamare arte italica, perchè non solo questa si sviluppò quando la nazione etrusca crebbe prosperosa nella penisola, ma ancòra perchè l’arte italica diede essa stessa in molta parte i germi artistici, che poi, sviluppatisi presso gli Etruschi, fecero sorgere l’arte che noi diciamo ora arte etrusca. Dico in molta parte, perchè vedremo fra poco quanta parte vi abbiano anche l’elemento orientale e greco.
Se non che, per riconoscere l’entità di questi due elementi, bisognerebbe sapere quale sia l’elemento indigeno degli Etruschi, bisognerebbe aver un concetto chiaro, non solo intorno alle origini, ma anche intorno alle regioni dalle quali vennero in Italia.
Invece, pur troppo, le origini degli Etruschi s’avvolgono tutt’ora in molto mistero. La tradizione li fa di origine asiatica, dicendoli Lidî, per via di mare emigrati in Italia, secondo la leggenda tramandataci da Erodoto (I, 94); ma su questa leggenda l’antichità stessa esercitò l’esame critico, e Dionigi d’Alicarnasso (I, 26 e 30) volle confutarla, concludendo che gli Etruschi siano autoctoni, cioè aborigeni italici. La lingua degli Etruschi, della quale non pochi documenti nelle tombe ci furono conservati, ancòra non è spiegata, e muta resiste ai tentativi della filologia; la critica moderna etnografica e storica altro non ha potuto fare fuorchè comporre in nuove ipotesi gli sparsi elementi di tradizioni o di antiche notizie storiche.
E, siccome in queste si trova memoria che degli Etruschi o Raseni erano vestigia nelle Alpi Retiche (T. Liv., V, 33; Pin., h. n., III, 24; Giustin., X, 5, 9), e questo da scoperte archeologiche fatte in Val di Cembra, in Val di Non, in Valtellina, ecc. ebbe ampia conferma, modernamente s’è formata una opinione che gli Etruschi siano, o interamente o in gran parte, un popolo arrivato in Italia non per via di mare, ma bensì dal Settentrione, movendo dalle interne regioni d’Europa. Non importa alla trattazione nostra di esporre le varie ipotesi proposte da Niebuhr, da C. O. Müller, da Micali, da Schwegler.
Comunque gli Etruschi giungessero nella penisola, il fatto importante è che qui coll’armi, coll’industria, coll’agricoltura crebbero prosperosi e possenti: Sic fortis Etruria crevit; prima ancòra che Roma sorgesse, avevano esteso dominio nell’Italia Centrale fra l’Arno, l’Appennino e il Tevere; nell’Italia Settentrionale fra il Po, il Ticino e le Alpi; nella Meridionale per le pianure della Campania. Secondo poi la tradizione, questa potenza erasi mossa ed allargata dalla città di Tarquinii, che sembra esser stata il più antico ed il principal centro di sviluppo politico della nazione etrusca.
Se noi ora vogliamo fare un po’ di storia dei caratteri peculiari all’arte etrusca, dobbiamo riconoscere che uno sviluppo originalmente etrusco non si può affermare senza restrizione; nelle prime sue forme pare s’identifichi con lo sviluppo delle industrie di carattere artistico dei popoli italici. Poi, anche nei monumenti che spettano ad un periodo antichissimo, si fanno manifeste due influenze operose, le quali danno carattere distintivo a due grandi periodi dell’arte etrusca. La prima è l’influenza orientale; la seconda, meno antica ma più efficace e al tutto prevalente, l’influenza greca.
L’influenza orientale si dimostra non solo in certi elementi dell’arte, ma anche in gran parte delle etrusche costumanze. Le tombe, siano quelle esistenti, sia alcuna delle descritte da autori antichi (p. es. la tomba di Porsenna), hanno analogie con quelle asiatiche, specialmente della Frigia. Così la porpora e l’aquila, insegne regali etrusche, hanno relazioni con emblemi lidi e persiani; alcune foggie del vestire, le danze e i giocolieri (ludiones), le forme della divinazione, il vivere molle ed effeminato degli Etruschi sembrano pure accennare a costumanze asiatiche. Che queste analogie od affinità siano conseguenza di costumanza d’origine, o solo di contatti e di relazioni commerciali, quali mostrano gli abbondanti prodotti delle industrie orientali nelle tombe etrusche, non si può con certezza affermare.
L’influenza greca è corroborata dalla leggenda di Demarato, che, esulando da Corinto, riparò a Tarquinî di Etruria, conducendo seco gli artisti Eucheir, Eugrammos e Diopos, nomi che sono, se ben si osservi, una sintetica personificazione delle varie abilità artistiche. Il fatto che Demarato abbia lasciato Corinto, quando vi si stabilì la tirannia dei Cipselidi, e che da lui sia derivata la stirpe dei Tarquinî, dominatrice di Roma, permette di assegnare alla introduzione della influenza greca nell’arte e nella vita etrusca un’età che corre fra gli anni 664 e 660 av. C.
Questa influenza greca è fatta derivare direttamente dalla Grecia propria; ma invece è lecito ammettere che in buona parte venisse anche dalle colonie della Magna Grecia, con le quali gli Etruschi ebbero scambi e commerci continui, principalmente quando fu formata la federazione etrusca meridionale.
L’arte nelle sue origini è sempre connessa col culto religioso, anzi ne è una parte. Nello sviluppo storico d’un popolo v’è un periodo nel quale ogni festa, ogni spettacolo, ogni manifestazione del sentimento estetico sono un atto religioso; intorno alla divinità, nell’istituzione del tempio, l’arte si forma. Allora i vari modi d’espressione del sentimento del divino e del bello si compongono in un tutto; la danza, la musica, il canto, gli ornamenti del tempio, l’imagine del nume mirano concordi a uno scopo e creano l’arte. Viene poi, col progresso della tecnica, un momento in cui quelle parti, divise, si costituiscono per sè sole, ma quasi, più desiderose di godimento estetico, si estendono a tutta la vita. È questo il periodo in cui l’arte consegue il suo libero sviluppo, mentre prima, obbligata alle forme religiose, teneva un carattere di stabilità, di rigidità ieratica. Questo processo di svolgimento, che nell’arte greca è manifesto, vuol essere riconosciuto anche per l’arte etrusca.
Ma gli Etruschi non ebbero in nessun modo la gentilezza, il senso della misura, la eleganza dei Greci; un non so che di barbarico e di feroce, anche nella loro vita molle, sembra propria alla loro natura, e si dimostra nei loro spettacoli; i ludi gladiatori, introdotti per tempo nella Campania, poi in Roma, sono cagione non lieve di una sensibilità artistica meno fine e delicata. Agli Etruschi mancarono condizioni di natura, perchè l’arte avesse uno sviluppo spontaneo e nazionale; mancò loro l’intimo e puro senso del bello, il pensiero che in sè avesse capacità artistica feconda. Gli Etruschi, più disposti a ricevere che a dare nell’arte i motivi, presero dai Greci non solo le forme originarie, ma anche il contenuto delle rappresentazioni, cioè le leggende e i miti; ed acquistarono valore solo nella esecuzione, nell’abilità tecnica1.
Note
- ↑ Intorno agli Etruschi ved. C. O. Müller, Die Etrusker e nei Kleine deutsche Schriften, vol. I, pag. 129; G. Schwegler, nella Römische Geschichte, volume I; Micali, Storia dei popoli italiani, vol. I; Vannucci, Storia dell’Italia antica, vol. I; Noel des Vergers, Les Etrusques. Ved. l’esposizione delle più recenti opinioni sugli Etruschi in uno studio del prof. Bertolini, Nuova Antologia (maggio 1872). - Per l’arte etrusca in generale ved. C. O. Müller, Die Kunst der Etrusker (Kunstarchaelogische Werke, vol. 3°, pag. 118) e Lanzi, Saggio di lingua etrusca, 1824, vol. 2°; Cfr. Martha, Manuel d’archéologie étrusque et romaine. Paris, Quantin, s. a.; L’arte étrusque. Parigi, Firmin, Didot, 1889.