Trattato completo di agricoltura/Volume I/Del prato/3
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del prato a spianata.
§ 453. Il prato a spianata dicesi anche da vicenda perchè si fa nei campi delle ordinarie coltivazioni, alternando il prodotto delle erbe con quello dei cereali; il terreno però deve avere una regolare pendenza, non minore di 1 per 500.
Ordinariamente si fa nei campi già seminati a frumento spargendovi al disopra, alla fine di febbrajo od al principio ai marzo, le sementi di trefoglio e di lojessa, le quali vengono con un rastrello leggermente ricoperte di terra: avvertendo però che in questo caso le ajuole o prose del frumento non devono essere nè molto larghe nè molto alte.
Tagliato il frumento, se il terreno fosse umido per le pioggie si taglieranno immediatamente le stoppie, acciò le erbe crescano meglio da sole; ma se all’incontro la stagione fosse molto asciutta, e che le erbe da prato che si sono seminate non siano molto sviluppate, si lasciano le stoppie, perchè servono a difenderle dal sole, senza di che, assuefatte com’erano a vegetare all’ombra, soffrirebbero moltissimo.
Ciononpertanto subito dopo tagliato il frumento devesi irrigare; e l’irrigazione in questi prati si fa per imbibizione, conducendo un’adacquatrice maestra lungo il lato più alto del campo, in modo però che il prolungamento dei solchi vada a riuscire in margine all’adacquatrice.
Nell’adacquatrice maestra si aprono delle bocchette che si diramano a due o tre solchi mediante un rigagnolo che si divide in due od in tre. Queste bocchette restano chiuse, ma quando si vuol irrigare si comincia ad aprirne due o tre, secondo la quantità dell’acqua che si lascia scorrere nei solchi, da questi s’infiltra verso il centro debordando anche dal colmo delle prose od ajuole. Quando l’acqua sia arrivata a 5/6 o 5/7 della lunghezza totale del campo, secondo la maggiore o minore pendenza, e secondo la qualità più o meno tenace del suolo, si aprono due o tre altre bocchette, otturando le prime, e così via via sinchè tutto il campo sia irrigato. Vi ho detto di non lasciare che l’acqua arrivi da sè sino alla fine del campo, perchè, anche otturando le bocchette, l’acqua che scorre nella porzione superiore ha tempo di venir in basso e di irrigare a sufficienza l’ultima porzione, fuor che il terreno fosse estremamente leggiero. Così risparmiasi di far colature, singolarmente allorchè non potessero servire altrimenti (fig. 127, parte A).
Quando il campo fosse molto lungo, allora l’acqua impiegherebbe troppo tempo a spingersi fino alla parte più bassa, raffredderebbe troppo il terreno superiore, che è il primo ad assorbire l’acqua, e difficilmente e con gran consumo d’acqua si arriverebbe ad irrigare completamente. In tale circostanza si divide il campo in due porzioni conducendo dall’adacquatrice superiore una diramazione lungo il lato più alto del campo, che poi si dirige a traverso come una seconda adacquatrice. Questa pure si dispone a bocchette, ponendo la terra cavata sul margine inferiore della porzione superiore, onde impedire che l’acqua di questa seconda adacquatrice rigurgiti nei solchi della prima porzione. Si avrà in pari tempo l’avvertenza che questa divisione cada un poco al disotto del mezzo, perchè l’acqua della parte superiore irriga una maggior estensione, avendo una spinta maggiore (parte A e B).
Queste divisioni si fanno anche quando il campo non abbia una regolare pendenza da un sol lato, per cui debbasi condur l’acqua sulle porzioni più alte. Così, irrigata la prima porzione, si apre il sostegno o l’usciaja che dà ingresso all’acqua nella diramazione secondaria, e si impedisce che continui a scorrere nella prima, col disporre attraverso qualche altro sostegno, od abbassando l’usciaja se vi ha incastro; giunta poi l’acqua nell’adacquatrice di mezzo, si procede a due o tre bocchette per volta, come già si è fatto nella metà già irrigata superiormente.
Questo prato da vicenda perchè sia di maggior riuscita convien farlo in primavera colla semina dell’avena. Per ciò, si ara o si vanga il campo in autunno, lasciando in piedi le zolle, onde si frantumino e si polverizzino col gelo, colle pioggie e coll’aria. Usando dell’aratro, converrà lavorare una seconda volta il terreno al principio di febbrajo, poi spandere il concime per lavorarlo di nuovo, e seminarlo alla fine di febbrajo od al principio di marzo; adoperando la vanga si può lavorare una sol volta.
Prima di seminare la biada, si dia un’erpicatura grossolana al traverso dei solchi per diminuire il rialzo delle prose; seminata, si erpichi pel lungo, indi si spanda la semente di lojessa e trefoglio, la quale si coprirà con un rastrello, che serve ad appianare meglio il terreno.
La quantità della semente è misurata dall’occhio e dalla pratica; i semi del trifoglio, essendo minuti, converrà mescolarli a sabbia fina o cenere, per ispanderli più uniformemente. Generalmente si usa abbondare un poco.
Nate le sementi, si dispone il terreno a ricevere l’irrigazione, tracciando le bocchette ed i rigagnoli che si diramano ai solchi, e le adacquatrici secondarie, se occorrono. La terra cavata si spande all'ingiro e la si spiana, o la si adopera per rialzare quelle depressioni che potessero impedire il regolare andamento dell’acqua.
Perchè l’irrigazione riesca più facile, e l’infiltrazione succeda per tutto il terreno, importa che le ajuole o prose non siano larghe più di 1m,50, altrimenti nel mezzo vi potrebbe essere una lista non adacquata, oppure abbisognerebbe lasciar stanziare per troppo tempo l’acqua affinchè s’imbevano totalmente.
Il modo d’irrigazione pei prati a vicenda, serve anche per i campi coltivati a cereali, tanto disposti in ajuole, quanto in linee rincalzate, come avviene pel melgone.
Il prodotto di questi prati non è costante, anzi dopo un certo numero d’anni diminuisce di molto, e non compensa più nè l’acqua nè il concime. Nel primo anno si ha un taglio misto a stoppie, ed un taglio in autunno di sol trefoglio e lojessa. Nel secondo anno, e nei successivi, se ne hanno tre, più un’erba autunnale tardiva, detta quartirola, la quale, ad eccezione del primo ed anche del secondo anno, nei terreni migliori può essere pascolata nel campo. Il reddito, cominciando dal secondo anno, è di circa 67 quintali d’erba per ogni ettaro; ma a seconda della qualità del terreno, della concimazione e della irrigazione, dopo tre o quattro o cinque anni al più, comincia a scemare, e conviene rompere il prato. Nei primi anni si concima ogni anno; nell’ultimo si può tralasciare.
Il fieno di queste spianate è piuttosto grosso, per il che è convenientissimo il darlo verde al bestiame; in certe località però, negli ultimi anni, l’erba assume un carattere più pratense e gentile, ed allora il fieno riesce buono per qualsiasi genere di bestiame. Nei terreni del Lodigiano, nella parte bassa della provincia di Milano, ed in alcuni luoghi della provincia di Pavia, tagliato il frumento, crescono spontanee le erbe pratensi e specialmente il trefoglio ladino; non occorrendo che di irrigare dopo la mietitura per avere un buon prato. Quivi pero è da osservarsi che la spianata occupa quasi 2/3 del terreno; e ciascun pezzo alternativamente, per quattro anni almeno sopra sei, resta a prato, per cui molte sementi durano intatte nel suolo, e molte radici e ceppi d’erba non marciscono totalmente, e continuano a ripullulare qua e là pel campo.
Il prato da vicenda se consuma un poco più di acqua, poichè la sua superficie non è perfettamente livellata, riesce però sempre di un utile grandissimo per la rotazione agraria, mentre alcuni generi coltivati dopo la rottura di esso riescono benissimo anche senza concime, rimanendo il terreno abbondantemente provvisto di parti organiche, anche azotate, per mezzo della cotica sovesciata a decomporsi, e pel concime sparso negli anni antecedenti. Le coltivazioni che in seguito meglio riescono sono il lino, il melgone, il tabacco ed il pomo di terra.