Trattatelli estetici/Parte prima/V. L'affettazione
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V.
L’AFFETTAZIONE.
Volendo scrivere sopra l’affettazione bisognerebbe mettere da parte tutti i preamboli: ma anche questa non sarebbe una specie d’affettazione? E per verità molti credono farsi nuovi per semplicità, quando sono vecchissimi per artifizio. Questa malinconia di cercare il pellegrino e di farne pompa non è mai stata tanto generale e tanto sensibile quanto al nostro tempo, e non c’è forse tempo in cui fosse dato trovare uniformità e affettazione più schifosa e più universale. Ma quale sarebbe la via più spedita a farvi veramente singolare, e a cansare ad un temro tutti i pericoli dell’affettazione? Miglior viǝ io non saprei ritrovare nė suggerire di quesia, che ognuno desse rigorosamente quel tanto che la propria natura gli ha conceduto. Questo è però sostituire parole a parole, e non è senza ragione il dichiarare la cosa con qualche maggiore larghezza.
Io aveva apparecchiato una definizione che mi pareva acconcissima a porre gl’intelletti nella capacità di giudicare rettissimamente dell’affettazione, ma un amico mio, distendendosi in un lungo discorso contro le definizioni, mi disse che anche queste dovevano riporsi tra le affettazioni. Sicchè a monte la mia povera definizione che mi sembrava pure tanto appropriata. Perche se la mia scrittura si mostra fino dal principio macchiata del vizio che prende a combattere, quale ragionevole speranza mi rimane di essere creduto da’ miei lettori?
In luogo dunque della definizione potrebbesi procedere per la via de’ confronti e degli esami, e contrapponendo persone a persone, e azioni ad azioni, derivare da questi raffrontamenti le conclusioni necessarie a porre negli animi un giusto concetto di questo vizio. Potrebbesi, per esempio, vedere che divario ci corre tra affettazione ed ipocrisia, dacchè l’affettazione è pur finalmente una specie d’ipocrisia. Chi affetta lo sgraziato, od il cinico, immagina di farsi strada alla stima degli uomini per questa strada, presso a poco come altri per la strada della gentilezza e della piaggenteria. Ho letto del solo Cardano che avesse una naturale inclinazione a dire alle genti quelle appunto tra le cose che presumeva potessero tornar loro più sgradite e più acerbe. E se la confessione di questa singolarissima tendenza naturale ad inimicarsi il suo prossimo non si avesse da quello stesso che n’era sciaguratamente investito, il fatto non farebbe punto eccezione alla regola generale. Ma dissi fra me: quando sia affettazione il definire, chi mi assicura che non possa aversi per tale anche il confronto e l’esame da me ideato in cambio della definizione? Fermandomi in questo dubbio ho trovato che ogni buona ragione addotta dall’amico mio a disfavore delle definizioni, poteva essere molto opportunamente prodotta anche a bandire confronti ed esami quanti mai ne potessi tentare.
Mi gettai allora agli esempi. So benissimo che l’esempio non ha forza di prova, in quanto che assai folle maniera di ragionare ella è quella che dal particolare deduce il generale, ma per altra parte, un esempio giudiziosamente scelto e opportunamente allegato rende spesse volte appressabili, e dirò meglio familiari, alcune idee che per altra guisa rimarrebbero astruse e afTatto lontane dalla nostra intelligenza. Dunque mano agli esempi. Ma, e chi mi assicura che anche in ciò non possa avervi colpa d’affettazione? Non potrà sembrare che io voglia far sembiante di erudito, se trarrò gli esempi dalle storie; di dotto, se dalle scienze; d’uomo di fino vedere, se dalle ordinarie costumanze degli uomini? E se traessi i miei esempi da persone e da cose affatto fuori di questo mondo chi varrebbe a salvarmi dalla taccia di affettare lo stravagante, o colui che, sdegnando di battere la calpestata, si devia per viottoli sconosciuti, a riuscire ove mettono capo, con forse minore fatica^ ampie e frequentatissime strade?
Tutti questi pensieri, o veramente tutte queste dubbiezze, mi fanno stare con la penna fra le dita, e cogli occhi alzati, quasi aspettando che mi piova l’inspirazione dalle travi del tetto. Fosse almeno in luogo di quelle travi dipinta colà alcuna storia, o favola, o fantasia di pittore! Quante volte non è toccato agli scrittori di trovare su per le pareli, o nel cielo del proprio studio, quella materia a comporre che non avevano saputo dar loro i libri che andavano da più di rivolgendo, o i casi della propria vita su cui passeggiavano colla memoria? E anche questo, chi bene vi bada, sarebbe un mettersi a rischio grandissimo d’inciampare nell’affettazione; e già prontissime sarebbero le lingue di molti a sciamare, esser questo un voler proprio fare del fantastico e dell’umorista; e il Viaggio per la mia camera, aver tolto la speranza a chi vuol farsi il Colombo del mondo dell’immaginazione, di acquistar nome collo scoprimento di siffatta contrada.
Da tutto questo mi accorgo esser più facile il declamare contro l’affettazione che il trovar modo a definirla convenientemente, e a mostrare le vie per le quali incamminarsi, chi voglia cansarla. E mi accorgo ancora che una grande affettazione può avervi, e ci ha forse, in quelli stessi che si mostrano più accaniti a volerla bandita. Mi sembra di udirli nulladimeno tutti in coro ripetere che anche in questo prendere a svolgere un argomento, e levarsi da esso senza nulla avere definito, senza nulla avere conchiuso,ci sia non picciola affettazione, come chi facesse mostra di lasciar andare la penna per quel tanto e quel dove che sa andare, poco curandosi se n’esca piuttosto altra che altra cosa. Ed hanno forse ragione, o non foss’altro quella ragione, ne più nè meno, che hanno in molte altre accuse di affettazione intorno ai pensieri e alle azioni di questo o di quello de’ loro fratelli.
Non potrebbesi però trarre da questa diceria un’utile conclusione? Non potrebbesi dire che ci abbia una facilità srrande a dare taccia di affettazione, solo che si voglia considerare l’orazione, la lettera, il poema o altro checchessia, con occhio maligno ed illiberale? E notate che non mi sono ad altro fermato fuorchè ad alcuni punti generali di definizione, di confronti, di esempi; come chi scorre pel campo alla stagione della messe, e, quasi a diporto, mena il bastone ad abbattere i papaveri che rosseggiano a luogo a luogo, e sormontano le spiche omai prossime a maturare. Se avessi voluto discorrere dello stile! Ed uscendo di questa perenne materia degli studii, e distendendomi sul parlare, sul vestire, sul camminare, e sopra quanti mai sono i particolari del nostro vivere, qual misura d’ampio e ponderoso volume sarebbe bastante a far compiuta la trattazione dell’argomento? Non vi spaventate; chè lungi dall’indugiarvi in queste lungherie, ho per ottimo il tacito consiglio del calamaio, che non dà più, salvo scarso, di che continuare ad intridere il foglio.
Addio dunque, lettori miei cari: eccovi un sa luto che è, o almeno spero, libero da ogni guisa di affettazione. Non cosi tutta questa scrittura, la quale se credete procedere da una mente sgombera di pensieri, e insofferente del meditare, v’ingannate a partito. Ho affettato il disinvolto, il trascurato, in questa chiacchiera più assai che nell’altre, ma non voglio tacervi che io venni a questa vacuità d’idee dopo avermi stillato il cervello, e accumulato argomenti sopra argomenti, pro e contro l’affettazione. Sì, lettori miei cari, affettazione è quanto leggeste, questa stessa guerra da me fatta all’affettazione non è che affettazione. Ciò che mi va per la mente non credo di dirvelo, almeno per questa volta, non avendo saputo trovare il modo opportuno, e quindi fo vista che nulla mi rimanga da dire, e di avere, a parlar col proverbio, vôtato il sacco. Accogliete bensì questo augurio, che non vi tocchi mai di dovere combattere la foga de’ vostri pensieri, e, per non sapere o non poter dire quel tanto e nel modo che più vorreste, trovarvi condannati a tacere, o, ch’è peggio ancora, a parlare del modo che s’è fatto da me fino ad ora, annerendo carta senza punto conchiudere o dichiarare.