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pressabili, e dirò meglio familiari, alcune idee che per altra guisa rimarrebbero astruse e afTatto lontane dalla nostra intelligenza. Dunque mano agli esempi. Ma, e chi mi assicura che anche in ciò non possa avervi colpa d’affettazione? Non potrà sembrare che io voglia far sembiante di erudito, se trarrò gli esempi dalle storie; di dotto, se dalle scienze; d’uomo di fino vedere, se dalle ordinarie costumanze degli uomini? E se traessi i miei esempi da persone e da cose affatto fuori di questo mondo chi varrebbe a salvarmi dalla taccia di affettare lo stravagante, o colui che, sdegnando di battere la calpestata, si devia per viottoli sconosciuti, a riuscire ove mettono capo, con forse minore fatica^ ampie e frequentatissime strade?
Tutti questi pensieri, o veramente tutte queste dubbiezze, mi fanno stare con la penna fra le dita, e cogli occhi alzati, quasi aspettando che mi piova l’inspirazione dalle travi del tetto. Fosse almeno in luogo di quelle travi dipinta colà alcuna storia, o favola, o fantasia di pittore! Quante volte non è toccato agli scrittori di trovare su per le pareli, o nel cielo del proprio studio, quella materia a comporre che non avevano saputo dar loro i libri che andavano da più di rivolgendo, o i casi della propria vita su cui passeggiavano colla memoria? E anche questo, chi bene vi bada, sarebbe un mettersi a rischio grandissimo d’inciampare nell’affettazione;