Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/86

restri, le quali abbiamo in noi; quello detto innanzi va per la vista e l’udito, essendo in loro grandissima possanza di fuoco e di aria.

Del piacere poi e dolore è da pensare così: quella passione la quale è contro a natura, ch’è violenta e tutta a una fiata, è dolorosa; ma quella che ristora la natura tutta a una fiata, è piacevole; quella poi non si sente, la quale si fa lievemente e a poco a poco; la contraria, sì. Quella che si fa agevolmente è sensibile molto, ma è privata di piacere e dolore, come la passione del fuoco della vista: il quale, come detto è innanzi, è cognato alla luce del dì ed è connaturato intimamente con noi, perocchè a esso fuoco tagli e bruciamenti e altre passioni non fanno alcuno dolore, e nè anche fa piacere il ritornar di nuovo all’essere suo; e nondimeno egli ha sensazioni molto grandi e vivissime, e per le passioni che riceve, e per quelle che da sè medesimo si procaccia indirizzandosi ad alcuna cosa e quella giugnendo; e la ragione è, che nel congregamento e disgregamento suo non è alcuna violenza.

Ma quelli corpi fatti di parti più grandi, i quali cedono a mala pena a ciò che li passiona, e nientedimeno comunicano loro movimento a tutto il corpo, quelli hanno piaceri e dolori: dolori, quando sono alterati; resi nell’esser loro, piaceri. Tutte quelle parti nelle quali si fanno a poco a poco le perdite ed i vacuamenti, e i riempimenti in abbondanza e a una fiata, da poi che quelli non si sentono e questi sì, non porgono dolori alla mortale