Timeo/Capitolo XLI

Capitolo XLI

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Platone - Timeo (ovvero Della natura) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Francesco Acri (XIX secolo)
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I morbi del corpo sono usati di nascere a questo modo; quelli poi dell’anima vengon da mali abiti del corpo. Imperocché egli è a concedere che la demenza è morbo dell’anima, e che ce ne ha due specie, una è l’insania, l’altra la ignoranza; e quale sia l’affezione che si provi dell’una o dell’altra specie, è a dire morbo. E si ha ad affermare che i piaceri e dolori smisurati sono di tutt’i morbi dell’anima i piú gravi; imperocché uomo lieto o addolorato oltre modo, avendo furia di avere quella cotal cosa, e schivare quell’altra, nulla vedere può né udire dirittamente, arrovellasi e non bada a ragione. Certo, colui al quale vivida copiosa semenza rigoglia nella midolla sua, che fatta è sí come albero troppo carico di poma, costui ogni volta ricevendo dalle sue amorose voglie molta pena e diletto, furioso è la piú parte di sua vita; ed avvegnaché sia inferma l’anima sua e demente a cagion del corpo, nientedimeno, non come infermo, ma sí come di volontà sua malo, malamente è reputato. Il vero è che la immoderanza negli amorosi dilettamenti procede in molta parte dalla qualità di una cotale specie di umore, che scorre nel corpo per lo raro dell’ossa e lo ammolla, e torna cosí in morbo dell’anima; e quasi tutto ciò che si addomanda intemperanza in piaceri e che si vitupera negli uomini come se malvagi egli fossero di volontà loro, non si vitupera a ragione; imperocché malvagio niuno è di volontà sua, ma sibbene malvagio è il malvagio per alcuno laido abito del corpo e per allevamento salvatico, le quali cose inimiche sono a ognuno, e gl’incolgono contro sua voglia. E ancora simigliantemente l’anima, quanto è a’ dolori, riceve molta tristizia per il corpo: imperocché quando gli umori delle flemme acide e salse, e tutti quelli umori amari e biliosi vagabili per il corpo, non respiran di fuori, costretti dentro, il loro alito avventando incontro al moto dell’anima e con esso mescendolo, sí fanno ogni specie di morbi piú e men gravi, piú pochi e piú molti; e traendosi a’ tre luoghi dell’anima, là dove s’abbattano, molte specie di melanconia arrecano e di scoramento, e di audacie e viltà, e smemoratezze e tarda apprensiva.

E se, oltre a essere i corpi male complessionati, è cattivo il reggimento del comune, e cattivi parlamenti si fanno in palese e in privato, e non si apprenda dai giovini dottrina alcuna che rimedio sia a cotali mali; ecco, per queste due ragioni, senza punto volere, tutti noi cattivi diveniamo cattivi; e ogni volta ciò piú si conviene imputare ai parenti che ai figliuoli, piú agli allevatori che agli allevati: nientedimeno ciascuno dee procurare il piú ch’egli può, per via di ammaestramenti e buoni studii e dottrine, di schivare la malvagità e di conseguire il contrario suo. Ma egli è suggetto che richiede ragionamento di altra forma.