Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/126

lontà loro, non si vitupera a ragione; imperocchè malvagio niuno è di volontà sua, ma sibbene malvagio è il malvagio per alcuno laido abito del corpo e per allevamento salvatico, le quali cose inimiche sono a ognuno, e gl’incolgono contro sua voglia. E ancora simigliantemente l’anima, quanto è a’ dolori, riceve molta tristizia per il corpo: imperocchè quando gli umori delle flemme acide e salse, e tutti quelli umori amari e biliosi vagabili per il corpo, non respiran di fuori, costretti dentro, il loro alito avventando incontro al moto dell’anima e con esso mescendolo, sì fanno ogni specie di morbi più e men gravi, più pochi e più molti; e traendosi a’ tre luoghi dell’anima, là dove s’abbattano, molte specie di melanconia arrecano e di scoramento, e di audacie e viltà, e smemoratezze e tarda apprensiva.

E se, oltre a essere i corpi male complessionati, è cattivo il reggimento del comune, e cattivi parlamenti si fanno in palese e in privato, e non si apprenda dai giovini dottrina alcuna che rimedio sia a cotali mali; ecco, per queste due ragioni, senza punto volere, tutti noi cattivi diveniamo cattivi; e ogni volta ciò più si conviene imputare ai parenti che ai figliuoli, più agli allevatori che agli allevati: nientedimeno ciascuno dee procurare il più ch’egli può, per via di ammaestramenti e buoni studii e dottrine, di schivare la malvagità e di conseguire il contrario suo. Ma egli è suggetto che richiede ragionamento di altra forma.