Pagina:Platone - Il Timeo e l'Eutifrone, Acri, 1889.djvu/125


— 117 —

XLI.

I morbi del corpo sono usati di nascere a questo modo; quelli poi dell’anima vengon da mali abiti del corpo. Imperocchè egli è a concedere che la demenza è morbo dell’anima, e che ce ne ha due specie, una è l’insania, l’altra la ignoranza; e quale sia l’affezione che si provi dell’una o dell’altra specie, è a dire morbo. E si ha ad affermare che i piaceri e dolori smisurati sono di tutt’i morbi dell’anima i più gravi; imperocchè uomo lieto o addolorato oltre modo, avendo furia di avere quella cotal cosa, e schivare quell’altra, nulla vedere può nè udire dirittamente, arrovellasi e non bada a ragione. Certo, colui al quale vivida copiosa semenza rigoglia nella midolla sua, che fatta è sì come albero troppo carico di poma, costui ogni volta ricevendo dalle sue amorose voglie molta pena e diletto, furioso è la più parte di sua vita; ed avvegnachè sia inferma l’anima sua e demente a cagion del corpo, nientedimeno, non come infermo, ma sì come di volontà sua malo, malamente è reputato. Il vero è che la immoderanza negli amorosi dilettamenti procede in molta parte dalla qualità di una cotale specie di umore, che scorre nel corpo per lo raro dell’ossa e lo ammolla, e torna così in morbo dell’anima; e quasi tutto ciò che si addomanda intemperanza in piaceri e che si vitupera negli uomini come se malvagi egli fossero di vo-