Timeo/Capitolo III
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III.
Crizia. Io dirò quest’antica istoria, che io udii da uomo non giovine; perchè allora Crizia, come disse ei medesimo, era già presso a novant’anni, ed io in su i dieci. Egli era il dì terzo delle feste della Furbizia1, il dì dei Fanciulletti, e quello che usati sono di fare ogni volta, si fe’ allora: i nostri padri ci posero premii di recitazione di canti. E ne furon recitati assai, di diversi poeti; ma io e altri molti figliuoli cantammo specialmente quelli di Solone; perchè di quel tempo eran cosa nuova. Un certo uomo della nostra tribù, o perchè così gli paresse, o per far piacere a Crizia, disse che Solone pareva a lui, non solo nelle altre parti il maggiore sapiente che mai fosse, ma ancora in poesia più notabile di tutt’i poeti. Il vecchio, mi par di vederlo, tutto si rallegrò; e, sorridendo, gli disse: O Aminandro, se la poesia egli avesse coltivato, non a sollazzo, ma sì come altri studiosamente, e compiuto l’istoria che ci recò egli qua dall’Egitto, la quale le sedizioni e i mali che trovò, facendo ritorno, necessitarono a trascurare; secondo mio avviso nè Esiodo, nè Omero, nè qualunque altro poeta si voglia, mai non sarebbe venuto in maggiore fama di lui. Quegli domandò: Qual’era questa istoria, o Crizia? - L’altro rispose: - L’opera più maravigliosa di questa repubblica, sovra a tutte degna giustamente di rinomanza; ma la memoria sua non bastò in fino a noi, per il tempo e per la perdizione di coloro che l’ebbero fatta -. E quegli: - Mi di’ dal principio, che ti raccontò Solone? e come? e chi la raccontò a lui per novella vera?
E Crizia a lui: In Egitto, nel Delta propriamente, alla cui punta la fiumana Nilo si fende, e sì lo intornia, è una provincia, la quale si chiama Saitica; e la più grande città di questa provincia è Sais, dove anco nato fu il re Amasi. Gli abitatori tengono fondatrice della città una Dea, e il nome è in lingua egiziaca Neit, e in greca, Atena; contano così; e dicono esser molto amici degli Ateniesi, e in alcuna cotale maniera essere di una schiatta con loro. Disse adunque Solone che là pervenendo, lo ricevettero a grandissimo onore; e che, dimandando delle antiche cose a quei sacerdoti in ciò più savii, si fu accorto che niente, per dire così, non sapevano nè egli nè gli altri Greci. Fra le altre una volta, desideroso di trarli a ragionare degli antichi avvenimenti, si pone a dire delle cose di Grecia più antichissime: di Foroneo, detto il primo, di Niobe, di Deucalione e Pirra, come camparono appresso il diluvio; e annovera le generazioni loro, e si studia, rammemorando i tempi, mettere a ragione gli anni degli avvenimenti de’ quali egli favella.
E uno molto vecchio de’ sacerdoti, gli disse così: - O Solone, Solone, voi Greci siete sempre fanciulli; un Greco non ci è, vecchio. Ed egli, ciò udendo, disse: Come di’ tu questo? Rispose: Tutti siete giovani dell’anima, imperocchè in essa non avete serbato niuna vecchia opinione di tradizione antica, e niuna dottrina canuta per il tempo. La cagione di ciò è questa: ei ci furono e saranno molti e diversi sterminii di uomini, grandissimi quelli per fuoco e acqua, da meno quelli per le altre innumerabili cose. E veramente quello che si dice appresso voi, Fetonte, figliuolo del Sole, una volta aggiogato i cavalli al carro del padre, e montatovi su, non sapendo carreggiare la strada, avere arso ogni cosa sopra la terra, morendo egli di folgore; questo a forma di favola; il vero poi è lo dichinamento degli astri che si rivolvono per lo cielo attorno alla terra, e lo incendimento di tutte le cose sopra la terra per molto fuoco. Più allora periscono quelli che abitano in su le montagne e in alti luoghi aridi, che non quelli appresso al mare od ai fiumi; ma noi, il Nilo che bene è salvatore nelle altre distrette, campa ancora di questa, sciogliendosi dalle ripe e inondando. E allora che diluviano la terra gli Iddii, si salvano quelli di su le montagne, i bifolchi e i pastori; là dove gli abitatori delle vostre terre portati sono dai fiumi dentro del mare: ma in questa contrada nè allora, nè le altre volte, mai da su non ruina l’acqua nella campagna; per lo contrario, di giù levasi ella naturalmente, e sì allaga. E però si dice che serbate sono qua le memorie delle antichissime cose, da poi che sempre, alle volte più e alle volte meno, è umana semenza in tutt’i luoghi de’ quali non la discaccino verni crudi o caldi distemperati. Per questo, ogni bella cosa grande o in qual si voglia modo notabile appresso voi intervenuta, o qua, o in altri luoghi, la quale noi avessimo conosciuto per fama, tutto registrato è infino dall’età antica e serbato qua nei templi. Ma i vostri avvenimenti, e quelli degli altri, sono ogni volta registrati di fresco nelle scritture e negli altri monumenti che a repubblica si convengono; e novamente a usati intervalli di anni, sì come un morbo, scoppia, ruinando su voi, la fiumana di cielo, e lascia di voi quelli selvaggi di muse: sicchè tornate da capo come giovini, non sapendo nulla di tutti gli avvenimenti di qua, nè di quelli presso di voi, che furono negli antichi tempi. Onde, o Solone, quello che hai narrato ora tu delle generazioni vostre, quasi differisce poco dalle novellette dei fanciulli; imperciocchè voi non ricordate che uno solo diluvio della terra, là dove furono molti per lo passato; e così non avete pure nuove che vissuta sia nella vostra terra la più bella e buona generazione di uomini che mai si vedesse, de’ quali siete usciti, tu e tutta la cittadinanza, del piccol seme salvato; e vi mancan le nuove per ciò che di quelli sopravvanzati molte generazioni finiron la vita loro muti di lettere. Un tempo, o Solone, avanti il paventosissimo scempio delle acque, la repubblica, la quale or si dice degli Ateniesi, era eccellentissima in arme, e in tutto governata a leggi bonissime; e si narrano di lei opere molto leggiadre e ordinanze bellissime sovra tutte quelle che il sol vide sotto il suo cielo, delle quali noi si abbia novelle.
Solone raccontò che egli, a udire, fu molto stupefatto; e prega i sacerdoti con grande istanza, che gli voglian diligentemente narrare e per ordine le cose tutte quante de’ cittadini suoi antichi. E il sacerdote a lui: Niente ho invidia, e sì il fo per te e per la tua città e per la Dea, la quale ebbe in sorte e quella e la nostra, e allevolle e disciplinò tutt’e due: quella mille anni innanzi, prendendo la semenza da Terra e Vulcano, questa poi; e dell’ordinamento suo è segnato nei sacri libri il numero di anni otto mila. Adunque, dei tuoi cittadini vissuti è nove mila anni, ti dirò brevemente la più gentile opera che mai abbiano fatto: un’altra volta, poi, avendo agio, recandoci in mano le scritture, le sporremo tutte con cura e ordinatamente. Quanto è a leggi, poni mente alle nostre; imperocchè molti esempi di quelle che allora furono appresso voi, ritroverai qua appresso noi ancora presentemente. In prima, la generazion dei sacerdoti è sceverata dalle altre; e così similmente quella degli artigiani, dei quali ciascheduno, non meschiandosi ad altro, fa suo mestiere: e così similmente i pastori, i cacciatori, e gli agricoltori. E la generazion degli uomini d’arme, vedi già ch’ella è spartita da tutte l’altre; ai quali comandan le leggi, che di niun’altra cosa prendano cura, salvo che delle faccende di guerra. È armadura loro eziandio lo scudo, e arma la lancia; e noi primi ce ne fummo armati in Asia, avendole mostrate la Dea prima a noi, siccome mostrolle prima a voi in quei luoghi.
Quanto è poi a gentilezza, tu vedi la legge che è appo noi quanta sollecitudine da principio avesse della universale scienza del mondo, infino alla divinazione e alla medicina che alla sanità provvede, rivolgendo essa queste divine scienze a utilità delle umane cose; e come curasse delle altre scienze che seguitano a quelle. Ora la Dea ordinò voi prima con questa instituzione e ordinamento; e vi elesse per istanza la terra dove nati siete, bene avvedendosi, che, posta essendo a dolce guardatura di cielo, porterebbe ella uomini prudentissimi. Adunque, come vaga ch’ella è di guerra e sapienza, quel luogo elesse e allegrò prima di abitatori, il quale avea a portare uomini simigliantissimi a lei. E vivevate con cotali buone leggi, e ancora con molto più buono reggimento, entrando voi innanzi a tutti gli uomini in ogni virtù, come si conveniva, essendo voi rampolli e creature degli Iddii. E molte generose opere della vostra repubblica, qua registrate, fanno maraviglia; ma una è, che avanza tutte in virtù e grandezza. Imperocchè narrano le scritture quanta spaventosa oste una volta i cittadini vostri raffrenassero, in quello che su tutta Europa e Asia riversavasi furiosamente, erompendo da fuori dall’atlantico pelago. Quel pelago allora era navigabile, da poi che un’isola aveva innanzi dalla bocca, la quale chiamate voi Colonne di Ercole; ed era l’isola più grande che la Libia e l’Asia insieme, donde era passaggio alle altre isole a quelli che viaggiavano di quel tempo, e dalle isole a tutto il continente che è a dirimpetto, che inghirlanda quel vero mare. E per fermo, quel tanto mare che è dentro alla bocca della quale favelliamo, è un porto dalla stretta entrata, a vedere; ma quell’altro assai propriamente dire si può vero mare, e continente la terra che lo ricigne. Ora, in cotesta isola Atlantide, venne su possanza di cotali re, grande e maravigliosa, che signoreggiavano in tutta l’isola, e in molte altre isole e parti del continente; e di qua dallo stretto, tenevano imperio sovra la Libia infino a Egitto, e sovra l’Europa infino a Tirrenia. E tutta cotesta possanza, in uno restringendosi, tentò una volta, a un impeto, ridurre in servitù e la vostra terra e la nostra e tutte quante giacciono dentro dalla bocca. Allora, o Solone, la milizia della città vostra per virtù e prodezza nel cospetto degli uomini si fe’ chiara. Conciossiachè, essendo ella animosa sovra a tutti e molto sperta di guerra, parte conducendo le armi de’ Greci, parte necessitata a combatter sola per lo abbandonamento degli altri; ridotta in estremi pericoli; da ultimo gli assalitori ricacciolli e trionfò; e quelli non ancora fatti servi ella campò da servaggio, e quanti abitiamo dentro ai termini di Ercole liberò tutti molto generosamente. Passando poi tempo, facendosi terremoti grandi e diluvii, sopravvegnendo un dì e una notte molto terribili, i guerrieri vostri tutti quanti insieme sprofondarono entro terra; e l’Atlantide isola, somigliantemente nabissando entro il mare, sì sparve. E però ancora presentemente quel pelago non è corso da niuno ed è inesplorabile; essendo d’impedimento il profondo limo, il quale, al nabissare dell’isola, si scommosse.
Note
- ↑ [testo greco]Απατούρια è nel testo; e, secondo la leggenda, vien da ἀπάτη. Secondo poi alcuni vien da ἁμαπατύρια; e la parola risponderebbe alla cosa, perocchè nelle nominate feste convenivano insieme i padri di famiglia. «Primus dies vocabatur δόρπεια, quia, ut Suidas ait, φράτορες ὀψίας συνελθόντζε εὐωχοῦντο. Alter dicebatur ἀνάῤῥυσις, ἀπὸ τοῦ ἄνω ἐρύειν, h. e. θύειν ἔθνον δὲ Διὶ φρατρίῳ καὶ ᾿Αθηνᾷ. Tertius erat κουρεῶτις, [testo greco]qui nomen habebat ἀπὸ τοῦ τοὺς κούρους καὶ τὰς κόρας ἐγγράφειν εἰς τὰς φρατρίας. Hoc igitur die, quo puerorum nomina in curialium tabulas referebantur, parentes faciendum putarunt, ut adultioribus praemia (ἆθλα) carminum recitationis proponerentur, quod vel oblectationis causa ita institutum fuit, vel etiam eo factum consilio, ut pueri documentum aliquod atque specimen humanitatis et eruditionis, quam consecuti essent, publice exhiberent.» Secondo alcuni in questo dì i giovinetti si recidevano i capelli, e però la κουρεῶτις (da κουρά) significherebbe il dì della tonditura dei giovinetti.