Teoria della relatività/Introduzione/Il principio della relatività meccanica

Il principio della relatività meccanica

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Il principio della relatività meccanica
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c) Il principio della relatività

meccanica


Se geometricamente tutte le spiegazioni di un movimento possono essere considerate come equivalenti, l’esperienza quotidiana ci dimostra che in realtà non è cosí. In un treno in marcia, o meglio ancora in un ascensore che scorre con un movimento uniforme, con una dolcezza perfetta, noi, certo, non avvertiamo il movimento, ma ci accorgiamo della messa in marcia o dell’arresto. In un tram o in un qualsiasi altro veicolo, anche senza guardare al di fuori, per le ben note perturbazioni di equilibrio, siamo avvertiti del passaggio delle curve affatto intuitivamente, senza riportarci a un corpo di paragone, cioè in una maniera non solamente relativa, ma anche assoluta. Un fisico armato di tutti gli apparecchi immaginabili, non ci darebbe maggiori indizi di quelli che ci dà la nostra sensazione immediata: s’egli non potesse gettare uno sguardo fuori del treno non sarebbe in grado, per qualche esperienza ch’egli tentasse, di mettere in evidenza dall’interno del veicolo in marcia il movimento uniforme del veicolo stesso: al contrario egli [p. 14 modifica]constaterebbe senza difficoltà e senza aver bisogno di corpi di raffronto ogni cambiamento di velocità e di direzione. Per negare quindi ogni significato alla nozione del movimento assoluto, non accordandolo se non a quella del movimento relativo, due restrizioni sono necessarie: il movimento si deve fare in linea retta e con una velocità costante; secondo l’espressione ormai consacrata, esso deve essere rettilineo ed uniforme. Il principio di relatività meccanica esprime l’idea della significazione puramente relativa di questo movimento, questa volta senza limitazione dei modi d’osservazione; noi l’enuncieremo: “I movimenti rettilinei e uniformi non esercitano alcuna azione che li riveli; essi non sono quindi percettibili, possiamo figurarceli a volontà, come effettuantisi in un senso o nell’altro senza mutare neppure minimamente le condizioni fìsiche osservabili.” Se, per esempio, qualcuno pretendesse che tutto il nostro universo siderale, i suoi milioni di stelle, i suoi ammassi stellari, le sue nebulose, volino con una inconcepibile velocità attraverso lo spazio supposto vuoto e non contenente altro, gli si potrebbe domandare in che cosa questa ipotesi differisca dal suo inverso: decidere se essa abbia qualche senso dal punto di vista filosofico non è nostro cómpito; ma dal punto di vista scientifico essa ne ha cosí poco, come il supposto contrario che farebbe muovere lo spazio vuoto rispetto a noi.

Si vede facilmente che il principio di relatività meccanica è identico a quello dell’inerzia, secondo [p. 15 modifica]il quale un corpo conserva lo stesso stato di movimento proprio, sino a che una “forza” non lo costringa a cambiarlo. Infatti se non ci fosse l’inerzia, gli oggetti posti alla superficie della terra o nel treno in marcia, non potrebbero continuare a muoversi, cioè a restare in quiete “relativamente” alla terra o al treno. Essi si comporterebbero differentemente rispetto ai corpi di raffronto, secondo che questi fossero mobili o meno; si potrebbe scoprire il movimento in se stesso, e non vi sarebbe il principio di relatività meccanica.

Si può affermare che pochi teoremi hanno dato tanto da pensare alla umanità per la loro completa intelligenza. Tolomeo, come abbiamo visto, sembra abbia avuto l’intuizione della relatività dei moti, ma si è arenato dinanzi al principio meccanico. Galileo ne è il padre, l’ha perseguito sino alle ultime applicazioni e non si è mai ingannato nell’usarla? La questione rimane insoluta. Forse fu Newton che per il primo la trattò a fondo, traendone le ultime conseguenze, ma in ogni caso Galileo, prima di ogni altro, ne ha dato un’esposizione chiara, ne ha riconosciuto tutta la portata, l’ha discusso esaurientemente e ne ha fatto, con la vivacità e con la passione che distingueva cosí grande uomo, un mezzo popolare di spiegazione. Nella sua discussione sui due sistemi del mondo, che si può leggere anche oggi con interesse, egli spiega con una grande chiarezza e secondo le nostre concezioni attuali, che per il principio dell’inerzia, tutti i fenomeni accadono sulla terra in movimento perfettamente eguali a [p. 16 modifica]quelli che accadrebbero sulla terra in stato di quiete, e che quindi, non si può, dai fenomeni osservati su di essa, concludere nei riguardi del suo stato di quiete o del suo movimento. Ed è cosí che, a buon diritto, questo teorema, porta il suo nome.

Ma una osservazione s’impone: il movimento della terra non è né rettilineo né uniforme. Essa descrive attorno al sole una traiettoria quasi circolare e ruota attorno al suo asse. Tuttavia, per l’enorme grandezza del loro raggio, i piccoli elementi di questi due movimenti, che soli possono essere presi in considerazione a causa delle corte durate e della limitata estensione geografica della maggior parte delle esperienze, si possono considerare come rettilinei. Con tutto ciò si potrà scoprire il movimento della terra se, in seguito allo sviluppo nel tempo o nello spazio di una esperienza o di un fenomeno naturale, l’allontanamento dal moto rettilineo ed uniforme diventa apprezzabile. Attualmente si conosce un certo numero di questi fenomeni; deviazione verso l’est di un vento che soffia dall’equatore verso il polo nord (poiché la componente della sua velocità diretta verso est rimane superiore a quella delle regioni al di sopra delle quali passa), o quella di un corpo cadente da una grande altezza, rotazione del piano di oscillazione di un pendolo (pendolo di Foucault) al termine di un tempo sufficientemente lungo.

Passiamo ora al caso particolarmente importante di un fenomeno che si svolge su di un corpo in movimento, o, secondo l’espressione abituale, in un “sistema in movimento” e seguiamolo [p. 17 modifica]simultaneamente dal sistema stesso e dal suo esterno. Supponiamo, per prendere un esempio semplice, dei fanciulli che giocano a palla su di una nave che rasenta la costa, e osserviamo la palla, la sua velocità in particolare, prima dal ponte, poi dalla riva. La nave è il nostro “sistema in movimento.” Visto dal ponte, il gioco si svolge esattamente come sulla terra ferma; la velocità della palla relativamente alla nave è, nei due sensi, la sua velocità ordinaria, quella che avrebbe sulla terra. Ma, visto dalla riva, il movimento è piú rapido quando la palla è lanciata verso l’avanti; perché alla velocità del battello, che anch’essa possiede, si aggiunge la velocità propria della palla stessa. Quando questa è lanciata verso l’indietro è necessario che noi consideriamo che dalla sua “velocità propria” vien tolta quella del battello (o inversamente secondo le loro grandezze relative), di modo che se, per esempio, tutte e due (velocità propria e velocità del sistema) sono per caso eguali ma di senso opposto, la velocità della palla, vista dalla terra, è nulla rispetto ad essa. Se, invece, il gioco ha luogo sulla riva, il movimento della palla nel senso della marcia appare rallentato quando lo si osserva dalla nave, poiché dalla sua velocità propria bisogna togliere quella della nave, mentre che il movimento della palla nel senso opposto sembra, naturalmente, accelerato di altrettanto.

Immaginiamo che la nostra nave, supposta disalberata, scompaia dietro una diga e che non si possa piú vedere altro che le palle andare e venire, o anche la parte superiore di un passeggero [p. 18 modifica]che va su e giú sul ponte: evidentemente, dalla differenza delle velocità nei due sensi ci sarà possibile desumere la velocità del battello. Tentiamo di dare a queste osservazioni una forma astratta, e a bella prima non consideriamo che il movimento nel senso della marcia del battello: “La velocità di uno spostamento che si effettua in un sistema in movimento è uguale, se la si considera dal sistema in quiete, alla somma della velocità del sistema e della velocità propria dello spostamento,” e inversamente:

La velocità di uno spostamento che si effettua in un sistema in quiete è uguale, se la si considera da un sistema in movimento, alla differenza tra la velocità propria e la velocità del sistema.” Dato il loro oggetto, queste proposizioni sono chiamate teorema d’addizione delle velocità di Galileo. Se noi ci riportiamo al nostro precedente enunciato del principio di relatività meccanica di Galileo, noi aggiungeremo che questo teorema ne costituisce l’essenziale.