Nicola Festa

Nota IncludiIntestazione 3 gennaio 2024 100% Da definire

[p. 409 modifica]

NOTA



I
tre racconti compresi in questo volume della «Biblioteca Romantica» parvero all’autore stesso, in un dato momento della sua vita (fra il 1835 e il 1840), degni di far parte di una medesima raccolta di novelle, Mirgorod. Ma il Taras Bul’ba, il racconto epico delle gesta cosacche, era già apparso con altri racconti nella miscellanea intitolata Arabeschi, nel 1834, e fu poi rimaneggiato dall’autore nel 1840 e staccato da Mirgorod, come sufficiente a formare un volume a parte. Il legame dunque appare temporaneo ed esteriore. Nondimeno quel legame rappresenta per la sua parte uno stato d’animo, la cui nota fondamentale è la nostalgia non pur della patria lontana, la dolce Ucraina, ma della vita semplice, un po’ primitiva, un po’ inconcludente magari, però libera d’incrostazioni e complicazioni create da una civiltà progredita. Gogol non era ancora arrivato alla satira dell’Ispettore generale o delle Anime morte, ma aveva già sperimentato da vicino quanto era di falso e di repugnante nella vita della capitale; e come antidoto al tedio e alla nausea si riparava con lo spirito alla sua terra, e attingeva da essa l’ispirazione per affermarsi come narratore. Vero è che per questo rispetto anche le prime novelle con cui cominciò ad affermarsi, le Veglie nella fattoria presso Dicanjka, si possono buon diritto riportare è quello stesso motivo e a quello stato d’animo; come è vero che il Piccolo [p. 410 modifica]mondo antico, scritto nel 1832, è nato, si può dire, insieme con una parte delle Veglie; e del resto, il Gogol volle espressamente che Mirgorod fosse considerato come una continuazione delle Veglie stesse. D’altra parte, l’origine di Taras Bul’ba deve essere alquanto

posteriore a quella di Piccolo mondo antico, sebbene Mirgorod, come abbiamo visto, comparve in pubblico alcuni anni piú tardi degli Arabeschi. La ragione che indusse il Gogol a pubblicare non ancora maturo il suo poema in prosa sulla gloriosa vita dei cosacchi non è difficile a indovinare. Egli era stato preso in quegli anni (fra il 1831 e il 1834) da un grande amore per la storia, e insegnò storia, per poco, in un istituto femminile e poi all’università di Pietroburgo. Disegnò un trattato di storia universale, e studiò in particolare quella della Piccola Russia. Gli avvenne come al Manzoni, che la sua fantasia di poeta lo menò naturalmente a trasportare la materia storica in un’opera di poesia, e ne nacque un piccolo romanzo storico, che, a dire il vero, si trovò un po’ a disagio tra le novelle degli Arabeschi. Ma l’autore, che s’era già fatto un nome come novelliere, doveva allora dar prova della sua preparazione scientifica e giustificare davanti al pubblico la sua nomina a professore di storia.

Certo, quelli che lessero dapprima questo romanzetto, in mezzo a novelle di tipo fiabesco e di pura osservazione psicologica, dovettero pensare che un nuovo Gogol si affermasse accanto a quello già divenuto abbastanza celebre con le sue due serie di Veglie.

Il Gogol, lui stesso, abbandonato l’insegnamento e messi da parte i disegni di opere storiche, non disconobbe per questo i pregi innegabili del suo Taras Bul’ba, ma vi lavorò ripetutamente per renderlo piú perfetto. Simile anche in questo al Manzoni, cercò una piú compiuta fusione del fantastico con la realtà storica, e in pari tempo accentuò via via sempre piú [p. 411 modifica]la differenza tra quell’opera e tutte le altre da lui composte.

Noi terremo qui conto della redazione definitiva, che porta la data del 1842, vale a dire è quasi contemporanea al primo volume delle Anime morte. Si può con qualche fondamento pensare che, come prima, cacciandolo in Mirgorod, aveva voluto dare alla raccolta il riposto significato di rappresentare il paese natio nel passato e nel presente, cosí, staccandolo poi da quella raccolta e pubblicandolo rifatto come opera a sé, il Gogol abbia voluto formare con esso come un ponte di passaggio dalla sua prima maniera, di novellatore spensierato, alla profondità del suo grande poema in prosa Le Anime morte. Ciò implicava un apparente oblio dell’Ispettore generale, che fu rappresentato nel 1836 e produsse, tra gli altri mirabili effetti, un mutamento sostanziale nella vita e nelle abitudini del Gogol. Non è passato un mese dalla prima rappresentazione del suo dramma, ed egli comincia a fare l’Ebreo errante, quale poi sarà fino alla morte. Nel 1840, quando a Vienna andava rifacendo Taras Bul’ba, la parentesi drammatica era chiusa per sempre. La materia dell’Ispettore si accresceva e si ampliava in una grande opera narrativa, rispetto alla quale Taras Bul’ba poteva considerarsi come un preludio. Si trattava sempre del suo paese, una volta considerato nel passato glorioso; un’altra nel poco lieto presente.

Si è detto che con Taras Bul’ba il Gogol si avvicina ai romanzi di Walter Scott, o si riporta addirittura ai romanzi medievali. A me sembra — e l’ho dimostrato altrove — che l’ispirazione sia tutta omerica. Il Gogol espresse tutta la sua ammirazione e il suo entusiasmo per l’Odissea in una lettera che Enrico Pappacena (Gogol, Milano 1930, p. 1637) ha opportunamente tradotta per i lettori italiani; in questa lettera l’inciso «L’Iliade non è che un episodio, in paragone» può essere male inteso. In realtà, egli voleva dire che l’argomento [p. 412 modifica]dell'Iliade è quasi esclusivamente guerresco. E tale è Taras Bul’ ba; tanto che al critico moderno vien fatto di considerare come concessione alla tendenza «romantica» l’intrigo della bella polacca. Non si può negare infatti, che quell’episodio non appaia strettamente necessario (nemmeno, del resto, nell’Iliade la Teichoscopia e la Doloneia, né in Virgilio tutta la passione tragica di Didone!) e le sue suture si rivelano qua e là piuttosto ingenue. Ma benedetti questi difetti e queste incoerenze artistiche, se dobbiamo ad essi delle scene come la fuga notturna di Andrea, l’orazione dei Polacchi morenti di fame nella città assediata, e altro ancora! Comunque si possono applicare a Taras Bul’ba le parole che io scrissi un anno fa a proposito della terza battaglia dell’Iliade (Atti dell’Accademia degli Arcadi, 1929): «Il poeta fa sentire anche l’effetto inebriante e stupefacente che la vista del sangue e la morte sempre vicina produce; e ci presenta le tremende alterazioni della psiche del combattente per la fatica e lo sforzo e la continua tensione mentale: questi guerrieri sono ora bambini, ora mostri; ora sublimi come dèi, ora bruti; in una continua alternativa di gesta cavalleresche e di atti spietati».

Non è qui il luogo per un esame estetico esauriente. Basti accennare che la particolare efficacia narrativa e descrittiva del Gogol si ritrova in questo romanzetto storico, salvo qua e là qualche segno di stanchezza, come di uno che a mezzo il racconto segua un’altra preoccupazione. Anche questo è un indizio che ci troviamo abbastanza lontani dal Gogol delle Veglie e di Mirgorod.

Il lettore sarà buon giudice se confronterà i due lavori che qui si presentano tradotti insieme. L’idillio di Filemone e Bauci si può leggere in Ovidio (Met. VIII, 616-724). Trasportati in un angolo della Piccola Russia, e fatti ricchi senza bisogno di ospitare Giove e Mercurio, i due vecchi sposi prendono il nome di [p. 413 modifica]Attanasio Ivanovic e Pulcheria Ivanovna, conservando la stessa bontà, lo stesso carattere primitivo e semplice, la stessa generosità ospitale, e anche lo stesso amore alla mensa ben fornita. Di Gogol si dice che poco profitto traesse dai suoi studi secondari; sicché probabilmente egli conobbe Ovidio appena di nome. Quindi il ravvicinamento è nostro, e non serve a niente, se non forse a questo: a farci credere che un Gogol alessandrino fu probabilmente il modello di Ovidio, e tanta parte dell’arte narrativa di Gogol ha meravigliose somiglianze con l’arte ellenistica; basta pensare alla cura dei particolari, alla ricerca minuziosa del semplice e del naturale, al lavoro di cesello, al sottile umorismo.

Non mi si farà, spero, una grave colpa di aver dato al bozzetto gogoliano il titolo del celebre romanzo Fogazzaro. L’ho fatto perché esso traduce il titolo originale in modo, direi quasi, perfetto.

Poche parole sul terzo racconto, cioè sulla curiosa narrazione della rottura di un’antica amicizia per una frase piú comica che ingiuriosa. Qui è Gogol quasi del tutto emancipato di ogni influsso e ricordo letterario: Mirgorod, per cosí dire, al cento per cento! La vita provinciale con tutti i suoi pettegolezzi, con tutte le sue pretenziose nullità, vi è presentata con umorismo spietato e insieme con un certo senso di nostalgia. Lo stile è parodia fin troppo caricata, o è riproduzione quasi fotografica di scene, di figure, e di discorsi. Questo realismo profumato di romanticismo mette a dura prova il traduttore e non gli permette, infine, d’essere sodisfatto del proprio lavoro.

Sulle mie traduzioni non ho da dire cose nuove: procuro per quanto è in me, di conciliare l’aderenza al testo con le particolari esigenze della nostra meravigliosa lingua; evito, per quanto è possibile, di correggere il mio autore. Un capolavoro letterario non è il compito di uno scolaro. E del resto, anche con gli scolari, adagio a usare la matita rossa e turchina! [p. 414 modifica]

Ringrazio l’amico Borgese di avere accolto questa mia traduzione nella «Biblioteca Romantica», e la benemerita Casa Mondadori per le cure premurose e diligenti con cui mi ha aiutato, nella revisione delle bozze, a perfezionare il mio lavoro, e a liberarlo da qualche svista o inesattezza.

Nicola Festa


Roma, 11 febbraio 1932