Supplemento alla Storia d'Italia/CXVI
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Passeriano, 5 vendemmiale anno 6 (26 Settembre 1797)
CXVI - Al Ministro delle relazioni estere.
Ho ricevuto, cittadino Ministro, la vostra lettera del 30 fruttidoro. Io non posso tirare alcuna risorsa da Genova, e nemmeno dalla Repubblica cisalpina. Tutto ciò ch’esse potran fare è di mantenersi padrone in casa loro: questi popoli non sono guerrieri, e vi bisognano alcuni anni di buon governo per cambiare le loro inclinazioni. L’armata del Reno sì trova lontanissima da Vienna, mentre io ne sono vicinissimo. Tutte le forze della Casa d’Austria son contro di me. Si ha grandissimo torto di non ispedirmi 10 a 12,000 uomini. Da questa sola parte si può far tremare la Casa d’Austria. Ma poichè il governo non mi spedisce rinforzi, bisogna almeno, che le armate del Reno comincino le loro operazioni quindici giorni prima di noi per poterci trovare presso a poco allo stesso tempo nel cuore della Germania. Subito che io avrò battuto il nemico, è indispensabile che lo perseguiti rapidamente, lo che mi conduce nel cuore della Carintia, dove l’inimico non avrà mancato, come già vi si preparava, a riunire tutte le divisioni, che egli tiene a scaloni, su l’armata del Reno, dalla quale può allontanarsi per più di venti giorni, ed io mi troverei di avere ancora a fronte tutte le forze, le quali nell’ordine naturale di battaglia, dovrebbero essere opposte all’armata del Reno. Non è necessario esser Capitano per comprendere tutto ciò: un sol colpo d’occhio su di una carta con un compasso, convincerà ad evidenza di quel che qui vi dico: se non vi si vuoi prestar orecchio, non so che farvi.
Il Re di Sardegna, se non si ratifica il trattato di alleanza che si è fatto con lui, si troverà presto nostro nemico, poichè fin dal presente egli comprende che noi abbiamo meditata la sua perdita. Durante la mia assenza, vi saranno necessariamente degli attacchi con la Repubblica cisalpina, la quale non è nel caso di resistere a un solo de’ suoi reggimenti di cavalleria; d’altronde io mi trovo allora nella necessità di far dei calcoli, riguardando come sospette le intenzioni del Re di Sardegna, e perciò bisognerà che io metta 2,000 uomini a Cuneo, 2,000 a Tortona, e altrettanti in Alessandria.
Penso dunque, che se si entra in mal umore col Re di Sardegna, resterò indebolito di 5,000 uomini di più, che io sono obbligato di mettere in guarnigione nelle piazze, che io ho ne’ suoi Stati, di 5 a 6,000 uomini che mi bisognerà lasciare per proteggere il Milanese, e per ogni evento la cittadella di Milano, il castello di Pavia, e la piazza di Pizzighettone. A questo modo dunque voi perdete, non ratificando il trattato col Re di Sardegna,
1. Diecimila uomini di ottime truppe ch’egli ci fornirebbe.
2. Diecimila uomini delle nostre truppe, che si è obbligati di lasciare alle nostre spalle, ed oltre a ciò avremo grandissime inquietudini in caso di disfatta, o di disgraziato avvenimento.
Qual inconveniente vi è dunque a lasciar sussistere una cosa di già fatta? E’ forse lo scrupolo di essere alleato di un Re? Ma noi lo siamo adesso del Re di Spagna, e forse lo sarem pure del Re di Prussia. È forse il desiderio di mettere in rivolta il Piemonte, e d’incorporarlo alla Cisalpina? Ma il mezzo di giungervi senza urto, senza mancare al trattato, senza mancare neppure alla decenza è di mescolare alle nostre truppe, e di legare ai nostri successi un corpo di 10,000 Piemontesi, i quali son per necessità il fior della nazione: sei mesi dopo il Re di Piemonte si troverà detronizzato. Ecco un gigante che abbraccia un pigmeo, lo stringe tra le sue braccia, e lo soffoca senza che possa esser accusato di delitto. Ecco il risultato dell’estrema difficoltà della loro organizzazione: se ciò neppur si comprende, io non so nè anche che farvi; e se alla politica saggia e vera che conviene ad una grande nazione, che deve compiere grandi destini, che ha dinanzi nemici potentissimi, si sostituiscono le vedute faziose di un Club, non si farà nulla di buono.
Si lasci di esagerarci l’influenza de’ pretesi patriotti cisalpini e genovesi, e convinciamoci che ritirando con un colpo di fischio la nostra influenza morale, e militare, tutti questi pretesi patriotti sarebbero scannati dal popolo. Gli abitanti di questi paesi s’illuminano tutti i giorni, e s’illumineranno sempre di più; ma vi bisogna tempo, ed un lungo tempo. Io non concepisco, quando per una buona politica ci eravamo condotti in modo che questo tempo è sempre in nostro favore, quando tirando tutto il possibile partito dal momento attuale, noi non facciam che accelerare il camino del tempo, assicurando, e purificando lo spirito pubblico, non concepisco, io dico, in che modo si possa esitare. Allorchè si lasciano 10,000,000 di uomini alle spalle, di un popolo nel fondo nemico de’ Francesi per pregiudizj, per abitudine de’ secoli, e per carattere, allora si deve tutto trascurare. Mi sembra che si vegga molto male l’Italia, e molto male si conosca. In quanto a me io ho posto sempre tutte le mie cure a fare andar le cose secondo gl’interessi della Repubblica: se non son creduto, non ho che farci. Tutti i grandi avvenimenti non si legano che ad un capello. L’uomo abile profitta di tutto, non trascura nulla di ciò, che può procurargli qualche favore di più. L’uomo meno abile, qualche volta trascurandone un solo, fa perder tutto.
Aspetto il Generale Meerweldt. Io trarrò tutto il partito di cui sono capace dagli avvenimenti recentemente accaduti in Francia, dalle disposizioni formidabili nelle quali si trova la nostra armata, e vi farò conoscere la vera posizione delle cose, affinchè il governo possa decidere, e prendere il partito, che giudicherà a proposito. Non bisogna disprezzar gli Austriaci come si fa sembianza di farlo; essi hanno reclutato le loro armate, e le hanno organizzate meglio che mai. Ho date le disposizioni per incorporare alla Repubblica cisalpina il Bresciano e il Mantovano. Mi occuperò ancora ad organizzare la Repubblica di Venezia. Farò riordinare tutto in modo, che la Repubblica in apparenza non s’immischi di nulla.