Sull'incivilimento primitivo/Parte IX

Parte IX

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IX.


Dove fonda mai la mitologia greca? In Sicilia; là è il campo della guerra titanica e sotto l’Etna Briareo espiava il fallo della sua rivolta al cielo. Cerere, quella gran diva dai Greci detta la madre della terra, era siciliana. Quando disperata correva in traccia della propria figlia Proserpina, rapita da Plutone, principe d’Averno (lago d’Italia) dalla Trinacria corse l’Arcipelago e la Grecia, insegnando ovunque l’agricoltura, le arti e le scienze. In Sicilia essi ripongono le immense fucine di Vulcano, ente complesso, simboleggiante le scienze e le arti; così favoleggiano la vera sorgente dello scibile loro; Venere, dea dell’amore e della voluttà, nata dal mare per essi dovrassi pur supporre che fosse in Sicilia quando si accoppiava con Vulcano, Dio delle arti. Il sommo Giove, centro della greca teogonia, non potè completamente imperare il cielo che quando ebbe vinto il proprio padre Saturno (Saturnia era nome d’Italia) ed ebbe fulminati, dispersi e morti tutti i giganti Siciliani che gli contrastavano l’impero. Ora, dico io, perchè i Greci avrebbero dimenticato in appresso gli eroi e gli iddii italici per dar sicuro regno ai loro, se non perchè ad essi non erano appartenuti, o non fossero stati splendidi mortali che pur luminose gesta dalla barbara Italia ad essi si fossero imposti come esseri divini? Perchè quei sommi filosofi che per allegorie nei tempi istorici cercavano addolcire i costumi rozzi e ferini dei loro [p. 31 modifica]compatrioti avrebbero tolti da una contrada idiota i personaggi che formavano le divinità loro? Perchè avrebbero preferito dar vita a tante contradizioni ed a tante metamorfosi per giungere ad un insieme di favole tanto assurde? Non è più facile e naturale il pensare che quei grandi ricercarono realmente la base della civiltà, che tentavano fondare in un paese che se a’ tempi loro era illustre e venerato per possanza e per sapienza, le disgrazie e le guerre posero in oblio, e dettero agio ai loro tralignati e corrotti posteri, per un istante padroni d’Europa, a trattare come paese barbaro? Furon questi che per sostenere l’indegno assunto ed emancipare la vanitosa Grecia dal riguardare un estero paese, qual centro della propria religione, si accontentarono di circondar questa di tali assurdi misteri e di tante abiette favole da degradarne l’umana dignità a pro della vanità.

Noi già notammo che Italia conta una civiltà antichissima di cui oltre i monumenti abbiamo notizia dai scrittori italo-greci dell’epoca istorica, i quali spesso parlano di una civiltà italiana primitiva di cui fin da quell’epoca erano smarrite le tracce. Come mai disparve interamente quel popolo civile senza lasciar sicura tradizione del viver suo? A tale incalzante dimanda dovremo noi stringerci nelle spalle ed abbandonare quelle poche nozioni che ci si presentano? Non sarebbe forse dovere nostro, potendo farlo, lo annunciare ai tardi nipoti chi fossero realmente i nostri primi padri? Non tornerò a rifare la storia del primo regno italico, perchè opera lunga e superiore alle mie forze, e mi contenterò rimandare il lettore ai belli scritti di Mazzoldi e Ravioli; [p. 32 modifica]però credo opportuno rammentare la dolorosa istoria della caduta di cotesto impero titanico, il quale per una lunga e prospera tranquillità avea rassicurato sul suolo vulcanico dell’atlantica Tirrenia una numerosa popolazione, quando uno spaventoso cataclisma sommergeva l’Atlantide, staccava la Sicilia dalla Penisola; allora successivi terremoti annunziavano nuovi vulcani che sorgevano vicini ad altri da lunghi anni spenti; subissavansi le città, sparivano floride campagne e da per tutto non iscorgevasi che desolazione e lutto; così si spiega come Catone potesse scrivere la storia di 1197 città, come ci riferisce Eliano (Histor. varia), e saranno state città le più famose fra le antichissime, se potevano avere una storia, quando la storia mancava a quasi tutte le nazioni di Europa. Dei miseri che alle rovine sopravvissero, quei che erano vicini alle spiagge affidaronsi sulle navi al divo Nettuno, quelli che erano più entro terra rifugiavansi sugli Appennini abbandonando le allagate e sprofondate pianure. Tutti pieni di morte o di spavento crederonsi maledetti dai loro Iddii. Quasi contemporaneamente però un’altra maledizione piombava sulla misera Tirrenia; barbare popolazioni invadean per le Alpi e le spiagge adriatiche la superiore Italia e coll’esterminio e col ferro sospingeano per gli Appennini verso il mezzogiorno i poveri aborigeni, che non trovarono sicuro rifugio finchè non furono in Sicilia, ove si fortificarono ed imperarono, battezzati dai posteriori Greci col nome di Siculi. Così quasi nella sola Trinacria si mantenne la prisca civiltà; ed in vero ivi troviamo, nei primi tempi storici, un popolo avanzatissimo in ogni maniera di sapere, il quale [p. 33 modifica]vantava un’antichissima istoria. Frattanto nella penisola eran discesi barbari sopra barbari, scacciandosi ed uccidendosi vicendevolmente; gli Umbri, i Celti e gl’Iberi lasciarono una completa oscurità sulle loro gesta, restandoci, sol frutto di tanto danno, la completa dispersione di ogni tradizione che ricordi la storia dei nostri primi Padri.

Nella totale mancanza di tradizioni locali, abbiamo però estere memorie che danno una qualche ragione al mio assunto. Così subito domanderò al gentil lettore chi esso intenda che fosse il popolo pelasgo. S’egli è scolastico mi risponderà essere quel popolo composto da nomadi tribù orientali che nei tempi antistorici invasero l’Egitto, la Grecia e l’Italia; ma cotesto supposto dà l’ignotum per ignotum e tranne la verisimile congettura delle primissime immigrazioni di genti asiane, non porge verità provata neppure con indizi; e quel poco vero che v’è, è rimoto troppo. Inoltre come mai potrebbe dirsi che alcune povere tribù erranti e discacciate da varii paesi eseguissero nelle Indie, in Egitto, in Grecia ed in Italia opere tanto colossali quanto lo sono quelle che la tradizione ci presenta come opere loro? Qual povero popolo avrebbe mai osato di eseguire le colossali mura pelasgiche di Alatri, di Palestrina, di Segni e di Civitalavinia? Questo sistema di costruzione è quasi identico a quello dei più arcaici monumenti etruschi, a quello delle più antiche fabbriche egiziane, a quello dei vetustissimi templi indo-cinesi, ed a detta di tutti gli autori, annunciano un traslocamento di civiltà, il quale fin qui si credette che fosse accaduto da Oriente ad Occidente; ma non potrebbe esso forse [p. 34 modifica]concepirsi inversamente, cioè che la sua corrente fosse andata dall’Occidente all’Oriente per uno di quei ritorni di cui abbiamo tanti esempi nella storia moderna? Non potrebbesi forse supporre essere i Pelasgi quelli abitanti della Tirrenia, della Sicilia, dell’Atlantide infine, che fuggenti dalla patria loro per le convulsioni terraquee, emigrando tutti dedicati al solo elemento che gli presentava scampo, al mare, approdassero quasi contemporaneamente sulle varie spiagge mediterranee, e vi apportassero la semenza della primitiva civiltà italiana? Non dovrebbe rammentarsi che è forse di origine italica il tradizionale sistema delle primavere sacre, pel quale periodicamente spedivasi alla ricerca del meglio un’esuberanza di valida gioventù, che era allor consacrata agli Dei con riti e forme filosoficamente istituite dal sacerdozio, che vedemmo imperante nella Tirrenia? Queste spedizioni indubbiamente erano marittime, perocchè il popolo italico dovea essere eminentemente navigatore; Omero lo testifica, e le prime monete in bronzo col Giano e la nave il confermano. Potrà ancora supporsi che queste spedizioni successive giungessero l’una dopo l’altra in barbari paraggi, apportatrici di civiltà e che fossero condotte da giovani istruiti e risoluti, i quali furono divinizzati dai popoli riconoscenti sotto nomi che alludono per lo più al mare. Il che mi sembra un appoggio a tale idea, quale ove fosse accettata generalmente senza preconcetto, sistema favoreggiatore della boria nazionale degli scrittori, renderebbe migliori le notizie storiche degli antichi scrittori latini; e forse si giungerebbe con quella critica che non solo sa distruggere [p. 35 modifica]ma edificare, a trovare la verità storica dell’intero incivilimento antico, il quale in oggi poggia sulle più strane anomalie, avendo noi senza principio la storia di Europa, e ricolma di favole quella delle nazioni antiche delle altre parti del mondo. In quanto a me accetto tal opinione, e credo che non solo molto si debba penare per essere indotti a propugnarla, ma poco occorra per andar convinti della sua verità.