Storie fiorentine dal 1378 al 1509/X
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X.
Morto Lorenzo, e’ cittadini dello stato ristrettisi insieme si risolverono che lo stato continuassi in Piero, e lo abilitorono pe’ consigli agli onori, gradi e prerogative aveva el suo padre Lorenzo, ed in effetto transferirono in lui tutta quella autoritá e grandezza. El papa, Napoli, Milano e gli altri principi e potentati di Italia mostrorono dolersi assai della morte di Lorenzo e mandorono imbasciadori a Firenze a condolersi, ed inoltre a raccomandare e’ figliuoli e confortare che per buono stato della cittá conservassino a Piero el grado del padre, faccendo in effetto tutti a gara di guadagnarsi Piero e farselo benivolo. Ed infra gli altri furono le dimostrazione del signore Lodovico grandissime, mandando per imbasciadore messer Antonio Maria da Sanseverino, figliuolo del signore Ruberto, uomo riputato assai e caro al signore Lodovico, ed accumulando tutti quegli segni di affezione e benivolenzia erano possibili. Furono questi principi di Piero sí grandi, avendo si gagliardamente in beneficio suo la unione della cittá ed el favore de’ principi, che se a tanta fortuna e stato fussi pure mediocremente corrisposto la prudenzia, era in modo confitto in quella autoritá, che era quasi impossibile ne cadessi; ma el suo poco cervello e la mala sorte della cittá feciono facilissimo quello che pareva non potessi essere. Nella quale cosa io mi ingegnerò di mostrare non solo gli effetti e le cagione in genere, ma ancora, quanto piú particolarmente potrò, le origine e le fonte di tutti e’ mali.
Transferita, anzi perpetuata in Piero questa grandezza del padre, e parendo che nel principio si consigliassi cogli amici del padre e dello stato, come si diceva avergli ricordato Lorenzo alla morte, accadde che Bernardo Rucellai che aveva avuto per donna una sorella di Lorenzo, e Paolantonio Soderini che era cugino carnale di Lorenzo e nato di una sorella della madre sua, ed e’ quali erano stati a tempo di Lorenzo adoperati assai, pure con quegli riguardi che erano gli altri che sanza el caldo di Lorenzo parevano atti a avere per lo ordinario riputazione nella cittá, ristrettisi insieme, credo con desiderio di mantenere pure lo stato a Piero, ma che e’ limitassi e moderassi alcuna di quelle cose che a tempo di Lorenzo erano state grave a’ cittadini, e le quali, insino vivo Lorenzo, Bernardo Rucellai aveva qualche volta biasimate, gli cominciorono a persuadere che e’ volessi usare moderatamente la autoritá sua e, quanto pativa la conservazione dello stato suo, accostarsi piu tosto a una vita civile, che continuare in quelle cose che davano ombra di tiranno, per le quale molti cittadini avevano voluto male a Lorenzo; mostrandogli che in effetto questo sarebbe un fortificare lo stato suo per la grazia e benivolenzia ne acquisterebbe colla cittá.
Non era naturalmente el cervello di Piero inclinato a essere capace di questi ricordi, perché, come tutto di mostrorono e’ processi sua, la sua natura era tirannesca ed altiera; ma vi si aggiunse che, come fu intesa questa cosa, subito ser Piero da Bibbiena suo cancelliere ed alcuni cittadini, fra’ quali si dice essere stato vivamente Francesco Valori, gli dissono che questo non era el bene suo, e che chi lo consigliava cosí, gli voleva fare perdere lo stato; in modo che non solo non seguitò el parere di Bernardo e Pagolantonio, ma insospettito tacitamente di loro, gli cominciò piú tosto a ributtare che no. Di che loro accorgendosi, non procederono saviamente come dovevano, anzi poco poi si contrasse, sanza participazione di Piero se non doppo el fatto, parentado fra loro e gli Strozzi, perché Bernardo dette una sua figliuola piccola per donna a Lorenzo figliuolo giá di Filippo Strozzi, ancora fanciullo, e Paolantonio dette per moglie a Tommaso suo primo figliuolo una figliuola di Filippo Strozzi con dota grande.
Non potette questo parentado dispiacere piú a Piero, parendogli che el congiugnersi dua uomini di tale autoritá insieme con una casa, che, benché non avessi stato, era di momento per essere nobile, ricca, di numero grande d’uomini e malcontenta del reggimento, fussi uno principio di volergli fare testa contro e tòrgli el governo; interpretando, massime vedendo questo secondo segno loro, che quegli primi ricordi loro fussino stati a cattiva fine. Insospettito adunche di loro e sdegnato, ed incitatone da ser Piero ed altri che, per essere in piú riputazione con lui, gli augumentavano questi sospetti, roppe con loro e gli alienò in tutto da ogni cura dello stato, mostrando apertamente riputargli inimici sua; di che loro vedendosi ribattuti se ne governorono diversamente:
Paolantonio, mostrando dolersi di quello aveva fatto, con pazienzia e con favore di Niccolò Ridolfi suo cognato, e rificcandosi sotto, ingegnava di rapiccarsi; Bernardo, di natura piú tosto da rompersi che piegarsi, accresceva ogni di questa mala disposizione di Piero inverso di lui, facendo segni manifesti che el presente governo gli dispiacessi.
Questa disunione di costoro con Piero non solo lo fece insospettire di loro, ma quasi cominciando a credere che tutti gli uomini di qualitá, o la maggiore parte, fussino dello animo medesimo, dette occasione a ser Piero, a messer Agnolo Niccolini ed alcuni altri maligni, di persuadergli non si confidassi degli amici del padre; in modo che, benché non si gli alienassi apertamente, anzi, eccetto Bernardo e Paolantonio, gli conservassi negli onori e degnitá, pure non se ne fidando interamente, si governava piú per consiglio suo e di messer Agnolo e ser Piero che di loro; in forma che loro governavano quasi ogni cosa e si vendicorno autoritá grandissima, come avevano da principio malignamente disegnato e di poi cerco, con grandissimo danno di Piero; perché chi considererá bene fará giudicio che el disporre Piero a non prestare fede a’ cittadini savi ed amici dello stato, fussi el principio della ruina sua.
Ne l’anno medesimo e del mese di..... morí papa Innocenzio ed in suo luogo fu eletto Roderigo Borgia valenziano, vicecancelliere, nipote di papa Calisto, el quale sali in questo grado con favore del signore Lodovico e di monsignore Ascanio, che in remunerazione fu creato vicecancelliere; ma principalmente per simonia, perché con danari, con ufici, con benefici, con promesse e con tutte le forze e facultá sua si pattuí e comperò le voce de’ cardinali e del collegio; cosa bruttissima e abominabile, e principio convenientissimo a’ suoi futuri tristi processi e portamenti. Furono creati subito per la cittá a dargli la obedienzia, secondo el commune costume de’ cristiani, oratoli messer Gentile vescovo aretino, el quale di nazione di quello di Urbino, sendo suto maestro di Lorenzo e sendo uomo dotto e virtuoso, era stato per suo favore sublimato a quello grado; messer Puccio di Antonio Pucci, dottore di legge; Tommaso Minerbetti, che vi andò per essere, come fu, fatto cavaliere dal papa; Francesco Valori, Pierfilippo Pandolfini e Piero de’ Medici. E’ quali ordinandosi per andare, fu introdotto dal signore Lodovico che, sendo collegati Napoli Milano e Firenze, sarebbe bene per riputazione della lega che gli imbasciadori di tutti si convenissino in qualche luogo presso a Roma e di poi entrassi no insieme ed esponessino communeniente in nome di tutti a tre la imbasciata. Fu consentito a Firenze ed a Napoli; di poi messer Gentile, desideroso di fare la orazione, la quale sarebbe tocca allo oratore del re, persuase a Piero essere bene che ognuno entrassi ed esponessi separatamente. Scrissesi a Napoli al re che vi disponessi el signore Lodovico; el quale lo fece, manifestandogli però farlo per compiacere a’ fiorentini; alterossene el signore Lodovico, non gli piacendo questa variazione e dubitando che Piero non fussi per intendersi molto seco. E sendosi seguito in questo secondo modo, si aggiunse una altra alterazione, perché sendo eletti per Milano oratori messer Ermes fratello del duca, ed alcun’altri de’ primi, e sendosi magnificamente ordinati, furono tanto grandi e suntuosi gli apparati di Piero, che supcrorono di gran lunga quegli; di che si commosse assai el signore Lodovico, parendogli che Piero avessi voluto gareggiare seco e non solo si volessi agguagliare a sé e gli altri principi di Italia, ma eziandio avanzargli. Queste cose cosí minime, benché non lo alienassino da Piero, nondimeno preparorono la via che le maggiore potessino piú facilmente indurre alterazione, delle quali avessi finalmente a seguitare la ruina commune.
Aveva el signore Francesco Cibo, figliuolo di papa Innocenzio e cognato di Piero de’ Medici, tenuto, vivente el padre, alcune terre in quello di Roma che si apartenevano alla Chiesa, e dubitando per la creazione del nuovo pontefice non le avere a perdere, le vendè per mezzo di Piero al signore Virginio Orsino parente di Piero, el quale era nato di madre Orsina ed aveva per donna una degli Orsini. E fu trattata questa cosa con ordine del re Ferrando, del quale Virginio era soldato, perché vedendo el re, el papa essere creato con favore di Milano, volle che queste terre fussino uno osso in gola al papa, col quale gli Orsini potessino strignerlo a suo proposito; ed al medesimo fine dava favore a Giuliano cardinale di San Piero in Vincula, el quale teneva Ostia e non la voleva rendere al papa. Ebbene el papa dispiacere assai, e non minore el signore Lodovico, parendogli fussi a suo beneficio, per la amicizia aveva col papa, mantenerlo grande ed in riputazione, e cosí avendo per male che el re pigliassi piú forze e piú autoritá s’avessi, perché dubitava che quando potessi, lo caccierebbe del governo di Milano, perche quello stato fussi nelle mani del duca. Ed oltre a’ rispetti del papa e re, gli dispiacque che Piero si fussi gittato in collo ai re; e persuadendosi che el re per mezzo degli Orsini ne avessi sempre a disporre, e lui a non se ne potere valere nulla, infiammatovi drento, deliberò non soportare questa ingiuria. Ed avendo piú volte fatto intendere a messer Antonio di Giennaro oratore del re, ed a messer Agnolo Niccolini e di poi a Piero Guicciardini, che successivamente furono imbasciadori a Milano per la cittá, quanto gli dispiacessi l’essere el papa bistrattato, e che se Virginio non restituiva le terre, lui non era per avere pazienzia; e vedendo la cosa andare in lungo ed essere menato di parole, finalmente nel principio dell’anno 1493 conchiuse una lega col papa e co’ viniziani, nella quale oltre agli oblighi generali delle mutue difese degli stati, e’ viniziani e lui si obligorono a pagare uno certo numero di gente d’arme al papa, col quale lui potessi recuperare le terre teneva Virginio. E poco poi parendogli che e’ viniziani procedessino lenti a favorire el papa e muovere le arme, e vedendosi al tutto inimicato col re e co’ fiorentini, sdegnato, e volendosi a un tratto assicurare e vendicare, cominciò a tenere pratica con Carlo re di Francia, che e’ passassi in Italia allo acquisto del reame di Napoli, quale pretendeva apartenersigli per essere erede degli Angioini, promettendogli aiuto di danari. E perché el re era giovane e volenteroso e naturalmente inclinato a questa impresa, trovò gli orecchi della corte piú facili a questa pratica che non si stimava; la quale riscaldandosi e divulgandosi per Italia, e come el re era disposto al tutto passare, e publicamente lui e la corte lo diceva, vi fu mandati imbasciadori per la cittá, non con animo di fare conclusione, messer Gentile vescovo di Arezzo e Piero Soderini, al quale Piero aveva cominciato a dare riputazione per fare dispetto a Paolantonio suo fratello maggiore.
Questi furono e’ principi e le origine della ruina di Italia, e particularmente di Piero de’ Medici; el quale, oltre a trovarsi qualche disunione nella cittá, si alienò totalmente lo stato di Milano, dal quale, poiché era stato in mano degli Sforzeschi, sempre la cittá e particularmente la casa sua, aveva tratto riputazione e sicurtá grandissima. Publicandosi e certificandosi piú ogni di che el re voleva passare in Italia, el re Ferrando fece accordare Virginio col papa, non però restituendogli le terre, ma ricomperandole e pigliandole in feudo dalla Chiesa con certa somma di danari. Ma sendo giá gonfiati gli animi tra Napoli e Milano, e pieni di diffidenzia ed odio grandissimo, el signore Lodovico seguitava la pratica co’ franzesi, e’ quali non dicevano piú volere passare, ma si mettevano in ordine di farlo di prossimo. E ricercando loro.
la città di fare composizione e dichiararsi con loro, per mettere tempo in mezzo e dare parole, licenziati e’ primi imbasciadori, vi furono mandati nuovi oratori messer Guidantonio Vespucci e Piero Capponi.
Nella fine dell’anno morí el re Ferrando, e venne lo stato in Alfonso duca di Calavria suo primogenito el quale scrisse una lettera di mano propria al signore Lodovico, si amorevole e si piena di buone parole e promesse di volere essere suo, che lo commosse grandemente e lo inanimò a volere pensare di pacificare le cose di Italia e divertire questo umore de’ franzesi. Ma sendo poi, per non so che piccolo accidente, di nuovo rialterati gli animi, riscaldando tutto di le cose di Francia, el papa dubitando forse che troppa piena non venissi in Italia si accordò col re Alfonso e co’ fiorentini; per le quali cose piú riscaldato el signore Lodovico, ed al tutto inimico del re e di Piero de’ Medici, e persuadendosi, se loro non ruinavano, non potere essere salvo, non restava a fare nulla per condursi al disegno suo.