Storia segreta/Capo XXIX
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CAPO XXIX.
Or sono per dire quanto Giustiniano fosse dissimulatore e falso.
Egli levò il magistrato a Liberio, del quale poco fa si fece menzione; e a lui sostituì Giovanni egizio, soprannominato Lassarione. Il che saputosi da Pelagio, che molta intrinsichezza avea con quel Patrizio, domandò all’Imperadore che fede prestasse a quanto intorno a quel Lassarione erasi divulgato. Egli immantinente negando il fatto, consegnò lettere a Pelagio, nelle quali si comandava a Liberio di tenersi fermo nel governo che avea, e non abbandonarlo in nissun modo: chè di levarlo di là per allora non avea mai avuta intenzione veruna. Avea intanto Giovanni uno zio in Costantinopoli, chiamato Eudemone, uomo consolare, opulento, e procuratore de’ beni dell’Imperatore, il quale, avendo udito quanto scritto avea ultimamente, domandò se il nipote suo fosse sicuro del magistrato a cui era stato promosso. E l’Imperadore dissimulando le lettere per mezzo di Pelagio scritte a Liberio, altre ne scrive a Giovanni, ordinandogli di starsi fermamente nel governo conferitogli, nulla avendo egli disposto in contrario. Fidatosi di tali lettere Giovanni intima a Liberio, come levato di magistrato, che debba sloggiare dal Pretorio. Liberio ricusa di sloggiare, e mette fuori anch’egli il diploma imperiale. Da ciò nasce che Giovanni va ad investirlo con armati satelliti; e con satelliti l’altro si difende; e si viene alle mani, e molti rimangono uccisi, e tra gli altri Giovanni. Su di che facendo Eudemone gran rumore, Liberio viene chiamato a Costantinopoli: il Senato fa processo, e finisce coll’assolverlo dalla querela di omicidio, riconoscendo di averlo contro sua voglia e per difesa propria commesso. Ma Giustiniano non si calmò prima di averlo occultamente condannato a pagare una somma. Così amava egli la verità, e così era amico!
Ma io stimo bene aggiungere un’appendice a questa istoria. Codesto Eudemone, di cui si è parlato, poco dopo morì senza testamento, lasciando numeroso stuolo di parenti. Circa il tempo stesso morì pure Eufrata, primo degli eunuchi di palazzo, lasciando un figlio di una sua sorella, senza disporre in nessun modo delle amplissime sue facoltà. L’Imperadore mise le mani sui patrìmonii di entrambi, dichiarandosi loro erede volontario, senza dare agli eredi legittimi nemmeno il triobolo. Tale fu il riguardo suo alle leggi, e ai parenti de’ suoi famigliari. Di questa maniera avea senza nissun diritto portate via le sostanze d’Ireneo dianzi morto.
Circa il tempo medesimo avvenne pure un altro caso, che non voglio tralasciar di accennare. Certo Anatolio fu vivendo riguardato come il primo tra i senatori di Ascalona: e Mammiliano, uomo nobilissimo tra quelli di Cesarea, s’ avea presa in moglie la figlia di Anatolio, unica che questi avesse, ed erede sua universale. V’era però un’antica legge, per la quale veniva stabilito, che de’ senatori di qualunque città, i quali morissero senza figli maschi, la quarta parte de’ beni andasse al Senato, il rimanente fosse degli eredi. Ed anche qui l’Imperadore si appalesò qual’era, facendo poco prima una legge tutta contraria; e statuendo che, morto senza figli maschi un senatore, gli eredi avessero la quarta parte de’ suoi beni, e il rimanente andasse spartito tra l’Erario e il Senato, quantunque dacchè il mondo è mondo mai le facoltà de’ senatori non fossero passate nell’Erario pubblico, nè in quello dell’Imperadore. Sotto questa ultima legge morì Anatolio. La figlia secondo la medesima destinò le porzioni della eredità a tenore di questa legge, avuto dall’Imperadore e dal Senato di Ascalona l’istromento, pel quale veniva liberata da ogni ulteriore molestia, confessando, Senato e Imperadore, d’aver ricevuto tutto quanto il denaro loro dovuto. Mancò poi di vita Mammiliano, genero di Anatolio, lasciata erede del patrimonio suo una figlia, la quale maritata ad uno degli Ottimati morì senza avere avuta prole veruna. I beni di questa, tutti quanti, Giustiniano si prese, con pronunciare il bell’oracolo, che era peccato che la figlia di Anatolio, già vecchia, si arricchisse coi patrimonii del padre e del marito. Bensì, perchè quella donna non avesse pel rimanente di sua vita a mendicare, stabilì che le si pagasse uno statere d’oro per giorno finchè vivesse; e nel documento di questa rapina aggiunse: le assegniamo codesto statere per pietà; poichè i santi e pii nostri sentimenti siamo soliti ad esprimere coi fatti.
Ma abbastanza si è detto e andando la Storia più a lungo produrrebbe sazietà, quantunque io creda che non sia facile cosa per la memoria d’uomo il ricordarsi di tutto.