Storia di Torino (vol 1)/Libro VI/Capo VI

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Capo Sesto


Utili riforme di Vittorio Amedeo ii. — Sua abdicazione nel 1730. — Sua morte nel 1732.


La pace d’Utrecht del 1715 aggiunse alla monarchia di Savoia il regno di Sicilia (che nel 1718 fu cam­biato col regno di Sardegna), e le valli di Cesana, d’Oulx, di Bardoneccia, di Fenestrelle e di Casteldelfino; sicché le Alpi somme furono d’allora in poi limite del nostro Stato verso la Francia. I Francesi non occuparono più un palmo di terreno in Italia.

L’anno segnente, col trattato di Rastadt, Vittorio Amedeo ii ottenne dall’imperatore Carlo vi la ces­sione del Monferrato, di Valenza, d’Alessandria, di Vigevano e della valle di Sesia.

E dopo quell’epoca il suo Stato, ben lunge dal servire di scacchiere alle imprese delle due grandi [p. 483 modifica]potenze che gli stavano ai fianchi, fu rispettato e temuto.

Di valor personale, non meno che di scienza delle cose di guerra, avea dato Vittorio Amedeo segnala­tissime prove. Maggior merito egli ebbe, come am­ministratore ed uomo di Stato.

Ben sapendo che un regno, le cui finanze sono sgovernate, volge a ruina; vedendo, perle lunghe guerre, e più ancora per le mal accorte liberalità della reggenza di madama Cristina, l’erario in mali termini, studiossi a ristorarlo, introducendo nel ma­neggio del danaio pubblico ordini semplici; nello spendere una severa economia; nello allogar opere la perpetua solennità degli incanti. Nè a ciò contento, considerando come nulle tutte le alienazioni a titolo gratùito, fatte a pregiudizio del Regio patrimonio (i cui diritti erano tenuti imprescrittibili), di feudi, tassi, fogaggi, ne fece dagli avvocali del suo patrimonio chiedere la restituzione, e prima delegò per tal fine un magistrato straordinario; poi, riformata e ricom­posta, ne’ primi giorni di gennaio del 1720, a suo talento la camera, ne lasciò il giudicio a quest’ul­timo magistrato.

Questo provvedimento rovinò mezza la nobiltà, e turbò lo Stato. E se fu utile al demanio, il quale avea per sè la lettera della legge, non tralasciò di parere, ed essere durissima giustizia, spogliare le principali famiglie della maggior parte delle sostanze, [p. 484 modifica]che avean godute per due, per tre, per quattro ed anche per più generazioni, solo perchè non potean provare d’averle acquistate a titolo oneroso.

Aggiungasi che, in affari di natura tanto odiosa, si procedette con tale vivezza, che ne’ primi giorni, dacché fu instituito il magistrato straordinario, si fecero 800 citazioni. E che il re, de’ principali avvo­cati del foro torinese conquistò la dottrina e l’elo­quenza, sollevandoli a cariche di magistratura. Cotti fu avvocato generale, Beltrutti procuratore generale, Caissotti e Bogino sostituti.1

Come Emmanuele Filiberto, Vittorio Amedeo a tulli i rami di governo applicò o preparò utili ri­forme, compiute poi da Carlo Emmanuele ni, suo figliuolo e successore. L’università degli studi, la cui fama era molto scaduta, e che era allogata in case cattive ed oscure avanti S. Rocco, pose in più degna sede, nella via di Po; e, ciò che più monta, di professori elettissimi la rifornì, chiamati dalle altre province d’Italia e dalla Francia. Fu riaperta l’ 11 di novembre del 1720.

Questo principe, di voglie così assolute, e tanto amico del comando, che alcuna volta tentò d’inge­rirsi fin ne’ giudizii, de’ quali sacra debb’essere ed inviolata l’indipendenza, nel 1730 pigliò improv­viso consiglio di scendere volontariamente da quel trono che per’opera sua sfavillava di tanta gloria.

L’imperatore Carlo vi, non avendo prole maschia, [p. 485 modifica]voile assicurare la successione a Maria Teresa sua figlia, ed a questo fine pubblicò la prammatica sanzione, e cercò alleati, stringendo con calde istanze e con varie proferte il re di Sardegna a dichiararsi per lui. Dall’altro lato Francia, Spagna, Inghilterra regolavano col trattato di Siviglia la divisione futura della monarchia austriaca (1729), e sollecitavano con premurosi uffici il re di Sardegna ad unirsi con loro. Vittorio Amedeo indugiava, e non si risolvea nè per l’una parte, nè per l’altra; o sia che già meditasse l’abdicazione, o che aspettasse offerta di partili più convenevoli. Alcuni scrittori, per trovar una causa solenne all’abdicazione, imaginarono ch’egli si fosse ad un tempo impegnato e coll’Austria, e colla Francia.

Questa favola assurda fu ripetuta e creduta.2 Ma la vera causa dell’abdicazione fu da un lato la mal ferma salute, il disinganno che in un cuor grande e generoso facilmente induce la lunga e dura espe­rienza del regnare, e, più di tutto, il desiderio che aveva di condurre in moglie una sua suddita, la con­tessa di S. Sebastiano, con cui sperava di poter con­durre in una cara solitudine una vita più riposata.

Carlo Emmanuele s’oppose quanto potè, e colle preghiere e colle lagrime, alla volontà del padre. Egli fu saldo nel suo proponimento; e, cercato il cerimoniale con cui Carlo Quinto avea proceduto, nelle medesime forme, addi 3 settembre del 1730, [p. 486 modifica]nel castello di Rivoli, rinunziava lo scettro al fi­gliuolo.

Alla contessa di S. Sebastiano, divenuta marchesa di Spigno; non piaceva la vita privata. Sposa d’un re, avrebbe voluto goderne gli onori. Padrona della mente e del cuore di lui, è ricchissima di scaltrimenti, non tardò a fargli increscere là seguita ab­dicazione, a persuaderlo di rivocarla. E noto come Vittorio Amedeo si lasciasse persuadére, che i mi­nistri del novello sovrano, tutti sue creature, tutti usi ad obbedire ad un menomo suo cenno, s’accor­derebbero a considerare come non avvenuta la spon­tanea sua abdicazione, a far discendere Carlo Emmanuele in dal trono in cui la volontà del padre avealo collocato.

La sera del 3 di settembre 1731 Vittorio tentò a questo proposito la fede del marchese del Borgo, che avea trattenuto a cena nel castello di Moncalieri, dov’egli allora abitava; e non trovandolo, come spe­rava, arrendevole, lo lasciò partire; e poco dopo, non essendo molto lontana la mezzanotte, risolutosi ad uno di que’ passi arrischiati in cui s’era sempre piaciuta l’indole sua avventurosa, salito a cavallo, si presentò alla porta della cittadella di Torino, e, domandato il barone di St-Remì, che n’era governa­tore, gli disse che voleva entrare, onde confidargli un gran segreto. St-Remì rispose d’esser pronto a ricevere i suoi ordini, ma di non poterlo, senza un [p. 487 modifica]ordine del re, ammettere nella fortezza. Allora Vit­torio Amedeo, voltato dispettosamente il cavallo, tornò a Moncalieri, dove poco dopo, sulla unanime rimostranza del consiglio, fu arrestato, e condotto al castello di Rivoli, mentre l’ambiziosa marchesa era tratta con pochi riguardi al forte di Ceva. Più tardi furono alleviati a questo infelice principe i ri­gori della custodia; gli fu renduta la compagnia della marchesa. Morì nel castello di Moncalieri il 31 d’ot­tobre 1732.


Note

  1. [p. 496 modifica]Soleri, Diario di fatti successi in Torino, ms. della biblioteca di Sua Maestà.
  2. [p. 496 modifica]De Saluces, Hist. milit. du Piémont, v. 291.