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capo quinto 483

potenze che gli stavano ai fianchi, fu rispettato e temuto.

Di valor personale, non meno che di scienza delle cose di guerra, avea dato Vittorio Amedeo segnala­tissime prove. Maggior merito egli ebbe, come am­ministratore ed uomo di Stato.

Ben sapendo che un regno, le cui finanze sono sgovernate, volge a ruina; vedendo, perle lunghe guerre, e più ancora per le mal accorte liberalità della reggenza di madama Cristina, l’erario in mali termini, studiossi a ristorarlo, introducendo nel ma­neggio del danaio pubblico ordini semplici; nello spendere una severa economia; nello allogar opere la perpetua solennità degli incanti. Nè a ciò contento, considerando come nulle tutte le alienazioni a titolo gratùito, fatte a pregiudizio del Regio patrimonio (i cui diritti erano tenuti imprescrittibili), di feudi, tassi, fogaggi, ne fece dagli avvocali del suo patrimonio chiedere la restituzione, e prima delegò per tal fine un magistrato straordinario; poi, riformata e ricom­posta, ne’ primi giorni di gennaio del 1720, a suo talento la camera, ne lasciò il giudicio a quest’ul­timo magistrato.

Questo provvedimento rovinò mezza la nobiltà, e turbò lo Stato. E se fu utile al demanio, il quale avea per sè la lettera della legge, non tralasciò di parere, ed essere durissima giustizia, spogliare le principali famiglie della maggior parte delle sostanze,