Storia di Torino (vol 1)/Libro II/Capo VIII
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Capo Ottavo
Abbiam veduto il re Berengario ii morir prigioniero d’Ottone i in Germania. Il re Adalberto ii, fuggiasco per lungo tempo nella penisola, protetto da molte simpatie, e talvolta sorretto ed accompagnato in guisa da sollevarsi a qualche speranza di ricuperar il perduto. Morto Adalberto, non si sa quando nè dove, Gerberga sua moglie si ritirò in Borgogna, e si rimaritò ad Arrigo di Francia, detto il Grande, che n’era duca. Intanto Otton Guglielmo, unico figliuol d’Adalberlo, cresceva prigioniero dei Tedeschi a Pavia. A richiesta della madre un monaco lo sottrasse con pietosa industria alla vigilanza delle guardie e lo condusse a Gerberga in Borgogna, dove il padrigno, che non avea prole, gli pose grande amore, lo fe’ suo figliuol d’adozione, e morendo gli lasciò lo Stato, che tutto non potè conservare, ma conservò la contea di Borgogna, propriamente detta, chiamala più tardi Franca Contea, e varii paesi al di qua dal Giura. Otton Guglielmo è quel principe che i cronisti di Savoia chiaman Beroldo.1 Umberto suo figliuolo, lasciata la casa paterna, s’acconciò ai servigi di Rodolfo iii, detto l’Ignavo, e col favor della regina Ermengarda crebbe in gran possanza, e resse varii contadi. Non si sa se per avventura alcun n’avesse del padre suo. Forse quello di Nyon, non troppo lontano dall’altro di Warasche, da Otton Guglielmo posseduto, fors’anche quello d’Aosta, che abbia col volger degli anni ricuperato. Comunque sia, certo è che Umberto Biancamano possedette i comitati d’Aosta, di Savoia, di Moriana, di Tarantasia, del Ciablese, di Nyon, di Belley, di Salmorenc, e così la massima parte del regno di Borgogna, come notò S. Pier Damiano, e che Oddone figliuol di lui, pel suo matrimonio con Adelaide, aggiunse a così bello Stato e sì forte per l’importanza de’ siti, un altro Stato più ricco e non meno importante, tornando ad essere, come i suoi scettrati maggiori, principe italiano.
Di ninna cosa operata da Oddone di Savoia, marchese di Torino, ci è pervenuta memoria. Egli era già morto il dì della Trinità del 1060. La vedova Adelaide quattr’anni dopo avea fatto investire del marchesato Pietro suo figliuol primogenito, che presiedette in tal qualità un placito o pubblico giudizio a Cambiano. Nè di questo marchese ci favella la storia fuorché per ricordare gli atti di pia liberalità a cui intervenne colla madre, ed il favore che egli ed i suoi Torinesi diedero al vescovo Cuniberto nelle contese che questi ebbe co’ monaci di S. Michele della Chiusa.
Nel 1046 succedeva Cuniberto nella cattedra torinese al vescovo Guidone, il quale era egli stesso succeduto otto anni prima al vescovo Landolfo. Assumeva l’onor pastorale in tristissimi tempi, ne’ quali in quasi tutti i regni, e più spezialmente in Lombardia, il clero era contaminato generalmente dal vizio del concubinato, nè come vizio dissimulavalo, ma come dritto difendevalo, usando storte interpretazioni della Scrittura, ed invocando l’autorità d’un preteso concilio triburiense.
La santa sede molto penò a sradicar quell’errore, e molto penò e molti pericoli corse il Legato pontificio S. Pier Damiano, il quale, venuto anche in queste nostre contrade, riprese il vescovo Cuniberto che, mentre egli era netto da tal corruttela, la tollerasse nel suo clero, massimamente che questo clero, dall’incontinenza in fuori, avea laudevoli costumi e sufficiente scienza di lettere. Ed a viva voce e per lettera raccomandò S. Pier Damiano la causa della castità sacerdotale al vescovo Cuniberto ed alla contessa Adelaide; nè senza frutto ciò fece. Mentre il clero secolare cadeva in questa laidezza, e s’ostinava nel volerla difendere, fiorivano per bontà di costumi le congregazioni monastiche, e fra le altre quelle di S. Michele della Chiusa e di Fruttuaria; e nelle crudeli discordie che nacquero tra Arrigo iv che volea far mercimonio de’ benefizi ecclesiastici e delle investiture, ed il santo pontefice Gregorio vii, che con tutta la forza della potente sua volontà lo vietava, que’ monaci non solo erano saldissimi nella divozione del papa, ma quanti danari potean raccogliere dai frutti dell’ampie loro possessioni, tanti ne mandavano al papa. E però dal papa con occhio di parzialissimo affetto erano merita mente riguardati.2
Può darsi che il favor pontificio, e la poca stima che ispirava ne’ monaci un vescovo che tollerava nel suo clero il grave disordine di cui abbiam parlato, abbiano spinto la congregazione Chiusina a negare a Cuniberto quegli atti di riverenza e di soggezione, a cui eran tenuti verso di lui. Pretendeva Cuniberto che il monastero di S. Michele fosse eretto in un allodio della chiesa Torinese, il che non si concilierebbe per altro coll’atto di vendita che abbiam narrata del marchese Arduino); sosteneva perciò spettargli fra le altre ragioni quella di concorrere all’elezion dell’abbate, ovvero di confermarla. Nel 1066 invece fu dai monaci eletto, a sua totale insaputa, Benedetto ii di questo nome; ed egli che in fatto di costumi era così tollerante, s’adontò immensamente di quest’offesa fatta alla sua giurisdizione, e co’ suoi Torinesi capitanati dal marchese Pietro uscì a’ danni del monastero. Molto tempo durò quella guerra scandalosa, e con vario successo, per chè anche i monaci corsero all’armi, e trovaron gente a difenderli; e sebbene Cuniberto ed il marchese pervenissero a cacciar l’abbate dal monastero, pure ei vi tornò improvvisamente nel 1078 con buon nerbo di truppe, e trovati gli occupatori sprovveduti li volse in fuga assai ben malconci. Ma sul finir di quell’anno medesimo il papa vietò sotto gravi pene le offese, ordinò che l’una parte ristorasse all’altra i danni dati, e commise la cognizione della causa nel merito ai vescovi d’Asti e d’Acqui ed all’abbate di Fruttuaria.3 Come finisse poi la questione non è ben certo, nè merita fede quanto narra lo scrittor della vita di S. Benedetto giuniore, che il vescovo, condannato dai delegati, e continuando le offese, venisse scomunicato. Il marchese Pietro morì tra il 10 luglio e il 26 d’ottobre del 1078 non lasciando che due figlie. Cuniberto poco più d’un anno dopo. Non pare che il fratei minore di Pietro, il conte Amedeo, sia stato investito del marchesato di Torino. Egli era già morto in marzo del 1080, e non è chiaro per altro, se non perchè scontrando a Vevey sul lago Lemano il triste suo cognato, l’imperatore Arrigo iv, che in sul punto d’esser privato del regno da’ suoi germani, veniva in Italia a raumiliarsi a Gregorio vii; gli vietò dapprima il passo, e non gli consentì la via del gran S. Bernardo, se non dopoché si fu certificato delle sue intenzioni e n’ebbe avuto in mercè la cessione d’una provincia del regno di Borgogna,4 e perchè s’adattò dopo questo ad accompagnar l’imperatore alla rocca di Canossa, e ad essergli insieme colla madre intercessore presso al severo pontefice.
Amedeo era, come s’ è detto, già passato di vita in marzo del 1080; e sebbene la somma delle cose fosse in man di Adelaide, principessa di spiriti virili, pure il titolo del marchesato di Torino fe’ conferire a Federigo di Lucemburgo, conte di Monsone, marito d’Agnese, figliuola di Pietro. Era questo conte congiunto della celebre contessa Matilde e grande aderente del papa, e perciò è chiamata da Bertoldo da Costanza valorosissimo soldato di Cristo, ferventissimo amator della fede e indefesso propagatore della pace cattolica.5 Il marchese Federigo morì il 29 di giugno del 1091, e addì 19 dicembre dell’anno medesimo chiuse i lunghi suoi giorni la contessa Adelaide.
Note
- ↑ [p. 186 modifica]Storia della monarchia di Savoia, tom. i.
- Provana, Notizia sopra un inedito documento, ecc.
- Memorie dell’Accademia delle Scienze di Torino, tom. v, serie ii.
- ↑ [p. 186 modifica]Vita S. Benedicti junioris. Mabillon, Acta Ord. S. Ben., tom. vi, p. ii, 701.
- Petri Damiani contra clericor. intemperantiam, ap. xviii.
- Benzonis, episc. Albens., de rebut Enrici iii, apud Ludewig, Reliquiæ manuscriptorum omnis ævi, ix, 241.
- ↑ [p. 186 modifica]Bullar., tom. ii, edit. Rom. mccxxix.
- Semeria. Storia della Chiesa metropolitana di Torino.
- ↑ [p. 186 modifica]Annalista Sax. apud Eccard., i, 496.
- ↑ [p. 186 modifica]Urstisius, Script. rer. German. 366.