Storia di Torino (vol 1)/Libro II/Capo V

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Capo Quinto


Quistioni de’ Torinesi col vescovo Ammulo, il quale cacciato dalla sua sede, vi torna dopo tre anni, e distrugge le mura e le torri della città. — Prove d’un ordinamento comunale a Torino, verso il 900.


Dopo Claudio iconoclasta, trovansi per lungo spazio i nomi appena di qualche vescovo di Torino: Gu­glielmo i, circa l’ 840; Claudio ii, nell’ 875; Lancio, nell’ 889.

Verso l’ 897 pontificava Ammulo, che assistè l’anno dopo al concilio Romano congregato da Giovanni ix, e si mostrò uno de’ più fervorosi apologisti della me­moria di papa Formoso. Questo vescovo, sappiamo dal cronachista della Novalesa aver avuto quistione co’cittadini; essere stato cacciato dalla sua sede; dove tornando tre anni dopo, conchiusa che fu la pace, con una squadra d’armati distrusse, per fiac­care l’orgoglio de’ cittadini, le mura della città e le torri frequenti che le coronavano.1

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Queste poche parole ci rivelano, a ben conside­rarle, importantissime verità.

Il vescovo nei tempi Longobardi, e massime quando erano ariani, come capo della comunanza religiosa conservava eziandio e protèggeva la comunanza mu­nicipale, la cui forma politica era perita, ma che sotto al manto della società religiosa riponeva il consorzio di quegli universali interessi che sempre esistono dove esiste una grande riunione di popolo ordinata a vivere cittadinesco.

Sotto ai Carolingi i vescovi acquistando grande influenza politica, e facendo preponderare la religion sullo Stato, aveano in alcune città acquistato privi­legi, immunità, ragioni di dominio temporale.

Sciolto poi l’impero di Carlomagno, ed essendo l’Italia straziata da continui tumulti e da guerre ci­vili, i popoli aveano cominciato ad afforzare le loro terre, onde non venire faci! preda in mano al primo assalitore. A Modena il vescovo Leodoino fu quello che nell’ 892 fortificò le porte e costrusse bastioni.

A Torino pare che i cittadini medesimi avessero guernito di torri e d’altre difese le loro mura. Questa opera non potea farsi senza supporre nella cittadi­nanza un ordinamento sociale; una almeno di quelle giure o gilde che abbiam veduto fin dal secolo pre­ cedente negli aldioni o censuali d’Oulx. E per con­seguenza un germe già molto sviluppato di comune. [p. 144 modifica]

Il che parrà tanto più evidente se si consideri che i cittadini vennero poscia a questione col vescovo, lo cacciarono, lo tennero tre anni lontano dalla sua sede. Il che forse poterono fare quando contendendo Berengario e Guido pel regno, la città era rimasta senza conte. Nel qual tempo lontano essendo il ve­scovo, morto forse, o lontano il conte, i cittadini co­minciarono sicuramente a sperimentar la dolcezza di governarsi da sè. Ma il vescovo frattanto racco­glieva armati, rientrava sotto sembiante di pace nella propria sede, e puniva i cittadini atterrando le mura e le torri, le quali dunque nell’interesse de’ citta­dini, non in quello dei re d’Italia erano state in­nalzate.

L’ ho detto altrove, e qui con sempre maggior persuasione lo confermo: fin dal tempo dei Carolingi sono da cercare i primi elementi della ricostruzione del municipio colla nuova forma comunale. Fin d’allora s’introdussero le buone consuetudini, che riconosciute poi e confermate dai Berengarii e dagli Ottoni, formarono la base del dritto comunale; fin d’allora cominciarono quelle giure o gilde, o compagnie, quelle associazioni di mutua guarentigia, con cui i popoli indifesi o mal difesi cercavano d’assicurare a se medesimi una forza ordinata che tenesse luogo di legge efficace, e di protezione pubblica. La perfezione della forma comunale si otteneva solo [p. 145 modifica]nella seconda metà del secolo xi; ma il fatto della associazione comunale era già antico, dove d’uno, dove di due secoli.

Dopo Ammoio, troviamo al 901 memoria del ve­scovo Eginolfo, al 906 di Guglielmo ii, il quale ac­colse i monaci della Novalesa, e scrisse la passione di S. Solutore e de’ suoi compagni martiri; al 928 Amalrico, e verso il cader del secolo, Amizone.


  1. [p. 154 modifica]Lamberti regis tempore fuit Maginfredus quem interfecit; nec non et Ammulus episcopus tuareinensis qui ejusdem civitatas turres et muros preversitate sua destruxit. Nam inimicitiam exercens cum suis civibus qui continuo illum a civitate exturbarunt; fuitque tribus annis sine episcopali cathedra. Qui postmodum pace peracta, revestus et manu valida cinctus destruxit sicut diximus. Erat siquidem civitas condensissimis turribus bene redimita et arcus in circuitu per totum deambulatorios cum propugnaculis desuper atque antemuralibus.