Storia delle scienze agrarie/II/IV

Volume secondo
I terreni nuovi della ricerca agronomica nel maggiore trattato inglese del Settecento

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Volume secondo
I terreni nuovi della ricerca agronomica nel maggiore trattato inglese del Settecento
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La prima rassegna agronomica del Secolo dei lumi

La prima opera in cui identifichiamo i caratteri emblematici dell'agronomia inglese dell'Età illuministica è l’Arte completa della Coltivazione, Ossia Metodo di Amministrare e Migliorare le Terre. Dove si presenta una raccolta completa di tutto ciò che è stato scritto sia dagli Autori antichi che da quelli moderni, con l'Aggiunta di molti nuovi Esperimenti e Miglioramenti non ancora trattati da nessun altro. Con l'Illustrazione delle specifiche Forme di Coltivazione in uso nei diversi Paesi..., un oneroso volume di 632 pagine che John Mortimer pubblica a Londra nel 1707.

Riferisce Donald McDonald, lo scrupoloso cronista della letteratura agraria britannica, che Mortimer esercita nella capitale inglese attività di mercante. La buona sorte negli affari gli consente di acquistare una fattoria nell’Essex. Vi intraprende esperienze di coltivazione, che conduce consigliandosi con amici della cerchia della Royal Society: il volume è il frutto della riflessione sui loro risultati. Il favore che accoglie l’opera ne determina una rapida successione di ristampe, cinque entro il 1721, che il possidente dell’Essex arricchisce facendone un vero monumento di scienza agronomica. Dopo la sua morte, nel 1761 sarà pubblicata l’ultima edizione inglese, nel 1765 verrà stampata in francese dall’editore Saugrain in quattro eleganti volumi, che saranno il veicolo di penetrazione della nuova scienza agronomica in Italia, la cui cultura è tradizionalmente ignara delle opere in lingua inglese.

È nello stesso titolo che reperiamo il primo elemento per collocare l'Arte completa nella storia delle scienze agrarie: definendola «raccolta... di tutto ciò che è stato scritto sia dagli Autori antichi che da quelli moderni» Mortimer dichiara i propri legami con l'agronomia classica, quei legami che nel corso della trattazione prendono corpo nelle frequenti citazioni di Esiodo, di Virgilio, di Columella e di Plinio. L'enunciazione successiva, «con l'Aggiunta di molti nuovi Esperimenti e Miglioramenti non ancora trattati da nessun altro», rivela come al riconoscimento delle radici del proprio sapere nella tradizione l'autore associ la consapevolezza del carattere innovativo dei principi sperimentali ai quali si ispira la nuova agronomia britannica.

La composizione della tradizione con le acquisizioni nuove non è intento realizzabile senza contraddizioni: tanto dall'esame del piano espositivo dell'Arte completa quanto dalla lettura delle sue parti emergono gli attriti del passaggio dalla vecchia alla nuova cultura agronomica, che se l'acume e l'impegno dell'autore riescono a smussare, non sono capaci di elidere. È l’articolazione dell'opera il primo terreno sul quale il mercante londinese si scontra con i limiti del proprio disegno: conoscitore dell'agronomia classica, in particolare di Columella, le cui citazioni si moltiplicano nel corpo di tutta l'Arte completa, per dare spazio alle esigenze scientifiche e didattiche della nuova agronomia abbandona lo schema espositivo del De re rustica e sviluppa un disegno originale. Le difficoltà di armonizzare le cognizioni della scienza antica con le acquisizioni della scienza nuova rendono assai incerti i risultati del proposito: l'ordine degli argomenti che ne risulta si rivela disorganico e frammentario, prodotto emblematico dell'eclettismo che costituisce il rischio di ogni conciliazione di culture diverse.

Identificare un ordine logico nella successione degli argomenti sviluppati nel corpo del trattato costituisce impegno sterile di risultati: nozioni di fisica del terreno, cognizioni botaniche, prescrizioni agronomiche e consigli di veterinaria si succedono e si alternano secondo un procedere che amplia o restringe lo spazio di ciascun argomento in dipendenza della mole delle notizie che l'autore ha raccolto, senza che la loro giustapposizione risponda ad alcun disegno di organizzazione. La priorità attribuita alla descrizione dei fenomeni sulla loro disposizione sistematica costituisce, lo abbiamo constatato commentando il Lascito di Weston, caratteristica peculiare della scienza britannica, preoccupata di accumulare la mole maggiore di dati sperimentali piuttosto che di organizzarli in teorie organiche: una caratteristica che segnerà il confine tra le opere inglesi e quelle composte nell'altro grande polo delle scienze nell'età dell'Illuminismo, la Francia, dove lo spirito enciclopedico, sistematore e teorizzante, imprimerà un'impronta inconfondibile anche ai trattati di scienza della coltivazione.

Praterie, strumenti meccanici, qualità del terreno

Nell'ultima edizione, quella che verrà tradotta in francese, l'Arte completa è suddivisa in sedici libri: nel primo l'autore illustra i modi in cui effettuare la recinzione di una proprietà, un'operazione di precipua importanza nei decenni in cui la nobiltà britannica persegue al ritmo più intenso quell'appropriazione delle terre di uso civico, i commons, che abbiamo visto iniziata ai tempi di Tusser. Affronta successivamente il tema delle praterie, che distingue in asciutte e palustri, svolgendo la rassegna delle specie foraggere che vi si possono coltivare: di ciascuna esamina le caratteristiche botaniche e agronomiche, le tecniche di coltura e gli impieghi più convenienti nell'alimentazione degli animali.

Il secondo libro è dedicato alle tecniche di aratura: Mortimer vi svolge un esame dettagliato delle caratteristiche costruttive di alcuni aratri nazionali (quello dell'Hertfordshire, quello dell'Oxfordshire) e di uno spagnolo. Esamina, quindi, la forma e le condizioni di funzionalità dell'erpice, lo strumento cui è affidato il completamento del lavoro dell'aratro. Anche tra gli erpici di cui illustra le caratteristiche uno è spagnolo, prova dell'interesse per le tecniche agronomiche straniere che, propugnato da Weston, rappresenterà una delle costanti dell'agronomia britannica.

Nel terzo libro, adempiendo ad un altro invito di Weston, l'autore inglese propone la rassegna dei tipi più comuni di terreno agrario, indicando per ciascuno le colture capaci di meglio sfruttarne le capacità naturali. Abbiamo seguito, nel corso del nostro itinerario, lo sviluppo della classificazione dei suoli: dalla combinazione di Columella di tre categorie di giacitura (pianura, collina e montagna) e di sei classi di qualità (terra grassa, magra, sciolta, forte, umida o asciutta), alla tassonomia di Al ‘Awwâm, basata sulla distinzione di sabbia, limo, argilla e humus, dalla ripartizione di Crescenzi, fondata sulla mera destinazione colturale (seminativi, arborati, pascoli e maggesi), fino all'elenco di suoli composto da Gallo, tanto ricco di tipi quanto privo di ogni intento sistematico. Per la nuova scienza agronomica la varietà dei terreni è stimolo ad esercitare quell'osservazione dei fenomeni naturali e della loro variabilità al mutare delle condizioni fisiche che costituisce la stessa anima del nuovo sapere scientifico. All'impulso sperimentale si connette lo stimolo utilitaristico: se ogni terreno possiede, infatti, caratteristiche peculiari, la loro conoscenza è condizione per lo sfruttamento più accorto della sua produttività, quindi per ritrarne il maggior beneficio possibile.

Il quarto libro è dedicato ai mezzi per il miglioramento della fertilità: Mortimer esamina la pratica della debbiatura, lo spargimento del gesso, della marna, della terra saponosa, dell'argilla, della sabbia marina, considera, successivamente, il potere fertilizzante degli escrementi delle principali specie animali e di quelli umani, definendo di ogni specie le proprietà e le modalità di impiego.

Le colture, gli allevamenti, i boschi, il frutteto

Il quinto libro è dedicato alle principali specie coltivate: cereali (segate, frumento, orzo, avena), leguminose (piselli, fave, lenticchie), piante tessili (canapa e lino), specie ortive (navoni e carote) e tintorie (robbia e guado). A ciascuna delle piante considerate il possidente britannico dedica un capitolo specifico, in cui descrive le caratteristiche botaniche della specie, le esigenze ambientali, le tecniche di coltivazione, esamina le modalità per la migliore utilizzazione economica. Segue una serie di capitoli dedicati ad alcune coltivazioni di rilievo minore, quali lo zafferano e il luppolo.

Il sesto libro è dedicato all'utilizzazione dei cereali nella preparazione del malto; nel settimo l'autore affronta i temi dell'allevamento svolgendo la rassegna delle principali specie domestiche: quadrupedi, volatili, api e bachi da seta. In tema di allevamento dei bovini Mortimer illustra i criteri per la scelta degli animali più idonei ad ogni condizione aziendale, tanto in relazione all'ambiente di allevamento quanto al suo scopo: la riproduzione, la produzione di latte, il lavoro. I parametri di scelta costituiscono, palesemente, criteri per la selezione dei riproduttori. Tanto al capitolo dedicato ai bovini quanto a quello dedicato agli equini segue la trattazione delle malattie più comuni e delle relative cure. L'ottavo libro esamina i danni dei parassiti delle colture, tra i quali comprende topi, uccelli da preda, vermi, rughe e formiche, il nono approfondisce l'analisi delle caratteristiche meccaniche degli strumenti agricoli, apre il decimo un prontuario di architettura rurale: Mortimer illustra le tecniche di costruzione degli edifici rurali e dei mulini, affronta, quindi, il tema della contabilità dell'azienda agraria suggerendo come registrare spese e entrate.

Il primo capitolo dell'undicesimo libro riprende il tema del suolo agrario, Mortimer dedica un capitolo all'illustrazione dell'importanza dei boschi per l’economia e la stessa vita civile, nei ventitrè capitoli successivi esamina le caratteristiche di altrettante specie forestali, illustrando di ciascuna le peculiarità botaniche, le esigenze ambientali, gli impieghi del legname nelle industrie umane. Esaurito il tema degli alberi dai quali si ricava legname da opera, nel libro successivo illustra le regole per la coltura dei boschi cedui. Ai capitoli dedicati al ceduo ne segue una serie sulle malattie degli alberi, sulle tecniche di abbattimento, sul trapianto, sulla conservazione del legname.

Il tredicesimo libro esamina le pratiche di coltivazione dell'orto, i due successivi sono dedicati al giardino (progettazione e apprestamento di siepi, viali, fontane) e all'esame delle diverse specie floreali. Il sedicesimo affronta il tema del frutteto: per la coltivazione degli alberi da frutta Mortimer propone il quadro delle pratiche di coltura comuni a tutte le specie, entra, nei capitoli successivi, nei dettagli delle operazioni colturali peculiari per ciascuna (pere, ciliegie, prugne, albicocche, pesche, sorbe).

La lettura dell'indice suggerisce l'imponenza dell'Arte completa, un'opera la cui vastità conferma i legami con l'agronomia classica, il capolavoro di Olivier de Serres, i trattati compilati in Francia sul modello della Maison rustique di Estienne e Liébault. Credo sia il confronto con la pubblicistica francese coeva, al di là delle opere di La Quintinye sostanzialmente ripetitiva, ad imporre i caratteri innovativi del trattato inglese, che si inoltra su una molteplicità di terreni di indagine sconosciuti alla tradizione classica, i terreni che Weston ha additato nelle pagine del Lascito e che costituiranno le sfere di indagine caratteristiche della scienza agronomica britannica.

La stessa lettura dell'indice ci ha consentito di individuarne più di uno: la coltivazione dei foraggi, la meccanica degli attrezzi agricoli, la classificazione dei suoli, il miglioramento delle specie animali, l'ingegneria rurale, l'economia aziendale, cui possiamo aggiungere l’attenzione per i legami tra prosperità dell’agricoltura e ricchezza nazionale, un tema ricorrente in più di uno dei capitoli dell’opera inglese. Il loro rilievo per lo sviluppo del pensiero agronomico impone che ad ognuno dedichiamo qualche rilievo più minuzioso.

Le foraggere, fondamenta della rivoluzione agronomica

Il ruolo nuovo assegnato, negli ordinamenti colturali, alle specie foraggere, costituirà il cardine della rivoluzione agronomica che dall'Inghilterra si dilaterà, nel corso dell’Ottocento, a tutto il Continente. Ampliamento della superficie a foraggere significa incremento del patrimonio zootecnico, quindi maggiore disponibilità di letame per le colture cerealicole. Dalla pubblicazione del Discourse di Weston è il trifoglio la foraggera in cui può identificarsi il simbolo della rivoluzione agronomica: riprendendo i temi svolti dal predecessore Mortimer enuncia con lucidità le ragioni che assegnano alla coltura il ruolo fondamentale che gli autori inglesi dei decenni successivi confermeranno unanimemente.

«Tra tutte le diverse specie di semi -traduco, dall’edizione francese di Saugrain, al quarto capitolo del primo libro-, quella cui si assegna comunemente la preferenza è quella del Trifoglio, a causa del miglioramento che essa determina nel terreno... Uno dei grandi vantaggi del Trifoglio è che migliora le terre per la grande quantità di bestiame che nutre, e perché le prepara dopo due o tre anni a produrre del grano, ciò che costituisce uno dei mezzi più sicuri che si hanno a disposizione per migliorare la maggior parte delle terre, soprattutto quelle che sono argillose e dove si manchi di letame.» Un acro di trifoglio, sottolinea Mortimer, mantiene altrettanto bestiame di cinque - sei acri di prato ordinario, consentendo un aumento dei capi allevati che moltiplica straordinariamente le capacità produttive dell'azienda.

Identificato il significato agronomico della coltura del trifoglio, Mortimer non compie il passo successivo, l'enunciazione della possibilità di sostituire le foraggere al maggese, il cui uso costituisce ancora, in Inghilterra pratica universale. Per l'agronomo britannico il maggese rappresenta, anzi, condizione essenziale della coltivazione:

«Il lavoro dei maggesi è di tale utilità -scrive nel terzo capitolo del primo libro- che non lo si trascura da nessuna parte, e che i Proprietari delle terre obbligano i loro Affittuari a lasciare le terre a maggese una volta ogni tre anni, essendoci poche terre capaci di dare più di due raccolti, quando li si trascura. Io credo che nessuno si sia mai pentito di aver lasciato le sue terre a maggese per un anno, quale che ne sia la natura, e che non sia stato ripagato dalle spese delle arature che ha eseguito.»

Saranno proprio i costi dei ripetuti lavori imposti dal maggese a spingere i successori di Mortimer all'esame delle possibilità di sostituirgli le foraggere per la rigenerazione della fertilità. Rievocando il confronto, sull’argomento, tra gli autori britannici successivi constateremo, tuttavia, l’entità degli ostacoli che la sostituzione dovrà superare, le opposizioni che è destinata a sollevare tra scienziati, proprietari, affittuari.

Il terreno e le modalità della sua lavorazione

L'analisi delle peculiarità dei suoli agrari è uno dei temi in cui si esprime più chiaramente il gusto dell'osservazione empirica che è carattere tipico della scuola inglese. Le accurate descrizioni dei terreni inglesi e l'analisi delle modalità da seguire nella coltivazione di ciascuno per valorizzarne le potenzialità distinguono molte delle pagine più interessanti dell'Arte completa.

«Le terre argillose -leggiamo al terzo capitolo del primo libro, che affronta il tema Del prodotto naturale delle differenti specie di terre e del modo in cui si coltivano nei diversi paesi- sono o nere o blu, o gialle, o bianche. Le nere e le gialle sono le migliori per il frumento; le bianche e le blu sono le peggiori. Alcune sono di natura tanto cattiva e ostinata che nulla può domarle... Esse assorbono nella propria sostanza tutto quello che vi si mette, e per quanto tra queste terre argillose se ne trovino alcune più grasse e altre meno: esse sono comunque tutte tanto tenaci, che l'acqua ristagna sulla loro superficie, e fa imputridire le piante, senza penetrarle. Nella stagione asciutta esse si induriscono al vento e al Sole, fino a quando non siano rese più friabili e più dolci.»

Caratteristiche estrinseche e proprietà meccaniche, dotazione chimica e necessità di apporti ammendanti, fino alle pratiche diffuse per il dissodamento e la coltivazione di ciascuna: il profilo che Mortimer traccia di ciascuno dei suoli che considera è singolarmente organico. Seguendo uno schema omogeneo include nella propria rassegna le terre più comuni nelle contee del Regno, di cui l’Arte completa propone la prima catalogazione della storia dell’agronomia.

Un catalogo ispirato al più lucido spirito empirico: i procedimenti più efficaci per la coltivazione di un suolo possono costituire, insegna l’esperienza agronomica, mezzi imprecisi o persino dannosi per la coltura di un suolo diverso. Se deve riconoscersi, peraltro, nella pratica regionale il frutto del confronto secolare degli agricoltori con la propria terra, la tradizione locale tende a perpetuarsi immutata: solo la comparazione di pratiche e strumenti, l'identificazione di analogie e differenze, la ricerca delle loro ragioni, può stimolarne l'evoluzione. Tracciando la propria rassegna di suoli e tecniche colturali lo scrittore britannico propone la dimostrazione dell'efficacia dell'empirismo baconiano per l'ampliamento delle conoscenze nel campo di indagine più ampio e multiforme col quale ha dovuto misurarsi, nel procedere millenario, la scienza della coltivazione.

Tra i profili di suoli e di pratiche regionali leggiamo l'illustrazione del procedimento seguito dagli agricoltori dell'Oxfordshire per la coltura delle terre sassose, e la descrizione della procedura seguita nel Kent per la bonifica delle terre di brughiera: «Nella Provincia di Oxford, dove il suolo è magro e pieno di pietrame, frammisto ad una sorte di terra acida, regolano il loro lavoro secondo la quantità di fieno e di erbe infestanti che vi crescono... Se la terra è umida, la arano molto tardi, ma non tanto quanto le terre acide: se essa è pelata, come dicono, cioè se non vi è alcun cotico erboso, vi fanno stabbiare d'inverno i propri montoni, e aggiungono al concime dei montoni un poco di semente di fieno, per farvi crescere del verde... Essi sono convinti che quando le loro terre non sono coperte da un prato non diano alcun raccolto...

Nella Provincia di Kent si taglia la brughiera nel mese di Maggio: quando è seccata, vi si appicca il fuoco, la si brucia e si disseminano le ceneri sul terreno: si lavora allora il cotico con un aratro a grandi orecchie, si dà di nuovo fuoco, e dopo aver mescolato la cenere con della calce e della sabbia di mare, supposto che se ne disponga, la si spande, e vi si getta di sopra una buona quantità di letame. Si semina verso la fine di Settembre del frumento per tre anni consecutivi, e successivamente dell'orzo, dopo aver fatto stabbiare i montoni. Il quinto, il sesto e il settimo anno vi si semina avena, e l'ottavo dei piselli, dopo di che esse assicurano dell'ottimo fieno.»

L’aratro: analisi tipologica e funzionale

Affrontando il tema delle caratteristiche costruttive degli attrezzi agricoli, sulle orme di Plinio, di Gallo e di Heresbach è all’aratro che Mortimer rivolge la maggiore attenzione: «Si registra una grande differenza nella costruzione e nella forma che viene data agli aratri nei diversi luoghi -leggiamo nel secondo capitolo del secondo libro-, essi differiscono per lunghezza e per forma, per la bure, per il coltro, per i manici, eccetera. In ogni contea si è prevenuti in favore di una costruzione particolare, senza alcuna considerazione per la bontà, la comodità e l'utilità di quella di cui ci si serve. Tuttavia, siccome ve ne sono alcuni che sono migliori di altri sotto certi aspetti, e che sono più adatti a certi tipi di terreno, cercherò di descrivere quelli più comuni, senza trascurare i vantaggi e gli inconvenienti di ciascuno, convinto che sia una delle strade più sicure per perfezionare questo strumento indispensabile.»

Mantenendo fede al proposito, Mortimer esamina le caratteristiche di cui deve essere in possesso un aratro per lavorare le terre argillose, quelle umifere, quelle sabbiose, descrive minuziosamente gli aratri diffusi in alcune contee del Regno.

«La miglior specie di aratro per le terre argillose nere e tenaci -leggiamo poco oltre al brano citato- è quella che è lunga, larga, con un vomere spesso e un versoio quadrato, che solleva una grande larghezza di terra, il coltro largo e poco ricurvo, con un'orecchia molto larga, un piede lungo e largo, per fare un solco profondo.

L'aratro per le terre grasse, bianche, blu o grigie, non ha bisogno di essere altrettanto grande del precedente, esso deve soltanto essere un po' largo sul retro, e avere un coltro lungo e ricurvo e il vomere minuto, con un'orecchia che sale fino al braccio, e che impedisce al versoio di caricarsi.

L'aratro per la sabbia o i terreni ghiaiosi rossi, bianchi o per talaltra terra sciolta, deve essere più leggero del primo, esso deve avere il coltro più minuto e più curvo, e l'orecchia meno larga.

Non riuscirei a concludere, se volessi descrivere tutte le diverse specie di aratro che sono in uso... Mi limiterò quindi ai più comuni, o a quelli che presentano qualche vantaggio particolare. Il migliore che io conosca è quello di cui ci si serve nella provincia di Hertford. Esso è montato su due ruote, è uno dei migliori e dei più forti, per i differenti usi cui può essere impiegato, uno dei più agevoli da condurre, e uno di quelli adatti a ogni sorta di terreno, eccetto quelli che sono motosi o argillosi durante l'inverno, a causa delle ruote che hanno difficoltà ad avanzare...

Ci si serve nei dintorni di Colchester di un aratro estremamente leggero con il quale si lavorano con due cavalli due acri di terra al giorno, ma è vero che il loro terreno è molto leggero. Quello che esso ha di particolare è un versoio di ferro incavato di dentro, che rivolta la terra infinitamente meglio di qualsiasi altra specie di aratro che io abbia visto.» È al termine dell'ampia rassegna che, enucleando, dalle caratteristiche dei modelli descritti, le condizioni per la funzionalità dello strumento, dal terreno dell'osservazione empirica l'argomentazione dell'autore inglese si eleva all'autentica analisi meccanica:

«Ecco le regole che bisogna osservare in relazione alla forma degli aratri -leggiamo al secondo capitolo del secondo libro-. Bisogna proporzionare le loro dimensioni alla profondità e alla forza del terreno che si vuole lavorare, non meno che alla sua umidità o alla sua secchezza; ecco la ragione per cui è opportuno averne diversi.

Quando il terreno è tenace il coltro deve essere più grande e più forte che sia possibile, per penetrare bene innanzi nella terra. Bisogna regolarsi perciò sulla qualità del terreno, per la ragione che nelle terre profonde le radici degli alberi si distendono ampiamente... Una cosa che è essenziale osservare nella costruzione degli aratri è di fare in modo che essi seguano la direzione che si è data loro senza deviare né a destra né a sinistra, ciò che dipende essenzialmente dall'opera del Fabbro. È quindi meglio che l'aratro sia proporzionato ai ferri, che i ferri all'aratro, perché è molto più facile rimediare ai difetti del legno che a quelli del ferro.

Stento a credere che un aratro corto e largo sia più facile da tirare di uno che sia lungo e stretto. Più uno strumento è appuntito, più penetra con facilità e minore forza richiede: lo si può costruire in modo che apra un solco altrettanto bene di uno largo. Per il resto... che sia tanta o poca la difficoltà che le bestie da tiro trovano a trainare l'aratro, dipende dal modo in cui è costruito.»

La classificazione dei modelli regionali si integra all'analisi costruttiva, sulla quale si fonda l'apprezzamento funzionale: nella composizione dei tre elementi identifichiamo la prima manifestazione matura, dopo i precorrimenti che abbiamo registrato nel corso del nostro itinerario, di un'autentica scienza delle macchine agricole, una disciplina che fino alla metà dell'Ottocento non si discosterà sostanzialmente dal modello di Mortimer: nei capitoli, sempre più ampi, che nei propri trattati dedicheranno agli strumenti meccanici gli agronomi del Settecento e della prima metà dell'Ottocento, non troveremo che l'approfondimento della descrizione di aratri ed erpici, con l’inclusione, da parte degli scrittori d’avanguardia, della seminatrice. Sarà solo con l'avvento nelle campagne dei congegni prodotti dalla rivoluzione industriale e, soprattutto, con l'invenzione del motore termico, che la meccanica degli attrezzi acquisirà, nel corpo delle scienze agrarie, un'ampiezza ed un rilievo che nei secoli precedenti gli spiriti più lungimiranti non avrebbero potuto immaginare.

Allevamento, architettura rurale, politica forestale

Anche le procedure per il miglioramento delle razze animali sono comprese tra i terreni di impegno in cui Richard Weston ha individuato le premesse del rinnovamento dell'agricoltura: nelle terre da cui hanno cacciato i contadini, i landlords abbandonano, infatti, le colture arative convertendole nei pascoli destinati a mandrie e greggi, nei cui capi si impegnano ad accentuare le caratteristiche morfologiche capaci di moltiplicare la produttività di carne e di latte. All'alba del processo che porterà alla nascita della zootecnia moderna non è privo di interesse rilevare l'ossequio verso la tradizione che induce John Mortimer a proporre una descrizione del riproduttore bovino che ricalca sostanzialmente quella di Lucio Columella: «Un buon toro -leggiamo nel quarto capitolo del settimo libro- per essere forte e vigoroso deve avere la fronte larga e rugosa, gli occhi neri e taglienti, le corna lunghe, il collo muscoloso, il ventre allungato e largo, il pelo molto soffice, il petto largo, il dorso dritto e piano, le natiche quadrate, le cosce rotonde, le gambe dritte e le giunture corte.»

Le differenze tra l'ideotipo proposto dallo scrittore inglese e il modello fissato nel De re rustica si risolvono nel diverso aggettivo impiegato per definire la forma delle natiche, rotonde per Columella, quadrate per Mortimer, e nell'indifferenza del successore per alcuni particolari cui il predecessore ha dedicato la propria attenzione: la fittezza del pelo della coda, il colore del mantello, la forma delle unghie. Tre quarti di secolo saranno sufficienti perché il modello antico venga superato da una dottrina della morfologia animale che lascerà alle proprie spalle ogni retaggio di una tradizione millenaria: ne constateremo i caratteri innovativi analizzando i principi per la selezione animale enunciati, alla fine del secolo, da Arthur Young.

L’architettura rurale costituisce l'oggetto dei primi tre capitoli del decimo libro. Un’attenzione particolare Mortimer dedica alla costruzione dei mulini, tra i quali sostiene la superiorità di quelli a vento rispetto a quelli ad acqua e a trazione animale:

«Anticamente si macinava il grano nei mortai: ma siccome questa operazione era estremamente lenta, essi sono stati sostituiti dai mulini... Alcuni sono a braccia, altri a cavalli, altri a vento, altri infine ad acqua. Siccome gli ultimi sono i più economici, e il loro prodotto è più sicuro e più vantaggioso, essi vengono preferiti agli altri... ma essi procurano un danno a tutto il Reame in generale, siccome arrestano l'acqua, ciò che nuoce ai prati, e impediscono l'irrigazione delle terre. Si potrebbe del resto macinare egualmente il grano con mulini a vento, che fanno due volte più di lavoro in un'ora: o si potrebbe anche modificare questi, in modo che fosse necessaria una minore quantità d'acqua per farli funzionare.»

All’economia aziendale, tema nuovo della manualistica agraria, lo scrittore britannico dedica il quarto capitolo del decimo libro:

«Un'azienda è ordinariamente caricata di tre rendite, delle quali una è per il Signore, la seconda per i carichi, la terza per il mantenimento dell'Affittuario che la coltiva. Ma sono poche le aziende in grado di pagarle, e che si possono gestire a quel prezzo...» Comparati, infatti, il livello degli affitti e il valore della produzione di alcune aziende, Mortimer sottolinea la necessità di un controllo analitico delle spese e delle entrate, per realizzare il quale propone uno schema di bilancio di cui attribuisce la paternità a Tusser, che in una delle appendici ai Five hundreth pointes ha insegnato all'agricoltore a registrare con scrupolo entrate e uscite della propria borsa.

L’attenzione per il contributo delle produzioni agricole alla prosperità e alla ricchezza nazionale traspare da più di uno dei capitoli dell'Arte completa. Trascrivo quanto l'autore britannico scrive sui rapporti tra la cura dei boschi e l'efficienza della flotta, il fondamento sul quale il Regno Unito sta costruendo, nei primi decenni del Settecento, la propria potenza imperiale, il tema che ha suscitato la passione di Evelyn:

«Quando si considera che il commercio, la ricchezza e la forza, sono pressoché inseparabili, e che essi dipendono interamente dalla marina, un elemento tanto rilevante deve impegnare una nazione a perpetuare e a conservare con tutta la cura possibile il legname da carpenteria, di cui non è assolutamente possibile fare a meno nella costruzione del naviglio. La stessa consapevolezza dell'utilità e del profitto avrebbe dovuto impedire a coloro che ne hanno conosciuto per esperienza i vantaggi di operare una devastazione tanto generale dei nostri boschi quale quella che è stata perpetrata negli ultimi anni...

Questa parte dell'agricoltura non impone minore cura e attenzione che le altre, e chiunque la trascura non può attenderne gran profitto.»

Sviluppo scientifico dell'agricoltura, ricchezza economica, potenza militare: la ricerca dei legami tra i tre elementi costituirà una costante della riflessione di agronomi che vivono nel medesimo paese e negli stessi anni in cui vedono la luce le opere dei primi studiosi dell’origine della ricchezza dei popoli: David Hume, Adam Smith, David Ricardo. A formulare una dottrina organica dei rapporti tra agricoltura, potenza economica e militare presterà un contributo significativo il più estroso degli agronomi inglesi di Età illuministica, Arthur Young, lo studioso che sarà investito della guida del Consiglio nazionale dell'agricoltura negli anni cruciali in cui, sconfiggendo Napoleone, l'Inghilterra imporrà la propria supremazia militare ed economica al Pianeta.

All'apice del primato editoriale britannico

Se il trattato di Mortimer segna una tappa della cultura agraria nella ricomposizione, con l’introduzione di temi nuovi, dell’ordine tradizionale dello scibile rustico, non riveste un ruolo meno significativo sul piano editoriale: conclude, infatti, la stagione dei trattatelli e dei prontuari, apre quella dei voluminosi tomi che si moltiplicheranno, nel corso del Settecento, di cui faranno il secolo d'oro della cultura agraria britannica.

Nel suo corso gli editori londinesi si impegneranno nella vivace competizione per la stampa di opere onerose: grandi raccolte di dati e rilievi quasi sempre prive, peraltro, di organicità. Fedeli al precetto baconiano della meticolosa registrazione degli eventi naturali, più di una stupisce il critico, incapace di credere che testi tanto prolissi abbiano suscitato l'interesse necessario a ripagare le spese di stampa. Dotato di eloquenza inoppugnabile, il fervore editoriale testimonia che ai volumi stampati in Fleet Street non dovettero mancare gli acquirenti: quanti, tra gli acquirenti, siano stati i lettori, resta domanda di risposta problematica.

Sono esempio emblematico delle raccolte di esperienze che si accumulano nelle biblioteche inglesi le Observations in Husbandry che Edward Lisle, scrittore di teologia e agricoltore a Crux Easton, nell'Hempshire, verga tra il 1707 e il 1717, e che uno dei venti figli pubblica nel 1756. Avendo intrapreso tardivamente l'attività di agricoltore, Lisle si avvale del prestigio di uomo di lettere per chiedere suggerimenti a proprietari e affittuari più esperti: con scrupolosa pedissequità registra le opinioni che gli vengono proposte dagli occasionali interlocutori, che ordina sommariamente per argomenti.

Riveste un carattere analogo il volume in cui William Ellis, anch'egli uomo di cultura, in quanto libraio, e agricoltore, conducendo un'azienda a Hempted nell'Hertfordshire, raccoglie osservazioni e rilievi che pubblica, in forma di disordinato calendario, nel 1731, intitolandolo The modern Husbandman;or, Practice in Farming. La disorganicità non ne impedisce il successo, che è tale da indurre l'autore a cimentarsi in nuove raccolte di esperienze. Dopo ripetute riedizioni, assorbendo altre operette, il primo libro si trasforma, nel 1750, negli otto volumi del Modern Husbandman complete: la prova che i lettori inglesi non pretendono ordine e sistematicità.

Mentre si sviluppa la pubblicazione delle onerose serie di tomi, l'editoria inglese non interrompe la stampa di saggi e operette minori: sarà tra le opere minori che reperiremo i contributi essenziali dell’agronomia britannica al progresso delle scienze agrarie.